Cina, Birmania (o Myanmar) e Israele sono emersi come i Paesi più repressivi nei confronti dei giornalisti, secondo il censimento annuale delle carcerazioni del Committee to Protect Journalists (Cpj). Almeno 361 giornalisti erano incarcerati nel mondo al 1° dicembre 2024, con oltre 100 arrestati nell’ultimo anno.
Il Partito Comunista Cinese mantiene il primato assoluto della persecuzione della libera informaiozione, con 50 reporter imprigionati. La Birmania conta 35 giornalisti nelle sue carceri, il Vietnam 16
Israele, una democrazia parlamentare multipartitica che raramente compariva nel censimento annuale del Committee to Protect Journalists prima dell’inizio della guerra a Gaza nel 2023, è apparso al secondo posto l’anno scorso, con 43 giornalisti incarcerati nel tentativo di limitare la copertura dei territori palestinesi occupati.
Il Committee to Protect Journalists afferma che le principali cause dell’incarcerazione dei giornalisti nel 2024 sono state la repressione autoritaria (Cina, Birmania, Vietnam, Bielorussia, Russia), la guerra (Israele, Russia) e l’instabilità politica o economica (Egitto, Nicaragua, Bangladesh). Oltre il 60% (228) dei giornalisti inclusi nel censimento sono detenuti con l’accusa di aver violato una serie di “leggi statali” non meglio definite. Le autorità di questi Paesi hanno sistematicamente violato le procedure del giusto processo, tra cui la detenzione arbitraria di giornalisti anche dopo il termine della pena o il trattenimento ingiustificato per lunghi periodi senza processo. Molti dei giornalisti sono stati condannati a lunghe pene detentive. Dieci hanno ricevuto l’ergastolo, e uno è stato condannato a morte. Un totale di 54 giornalisti sta scontando più di 10 anni di reclusine, 55 tra cinque e dieci anni, e 62 tra uno e cinque anni.
BIRMANIA
In Birmania, la giornalista Shin Daewe—privata della rappresentanza legale durante il processo da un tribunale militare segreto—è stata condannata all’ergastolo l’anno scorso con l’accusa di possesso illegale di un drone non registrato, un reato secondo la legge antiterrorismo locale. La sua condanna è stata ridotta a 15 anni in seguito a un’amnistia generale nel gennaio 2025.
Il giornalista di Dawei Watch Myo Myint Oo è stato condannato all’ergastolo per accuse legate al terrorismo.
Ancora in carcere con una condanna a 20 anni per reati tra cui la sedizione è il fotoreporter Sai Zaw Thaike, arrestato nel maggio 2023 mentre documentava le conseguenze di un ciclone che aveva causato oltre 140 vittime, inclusi molti appaertenenti alla minoranza Rohingya.
Tutti i 35 giornalisti incarcerati in Birmania al momento del censimento erano stati arrestati con accuse legate alla sicurezza dello Stato. Sono tra i più di 28 mila prigionieri politici detenuti dal colpo di Stato militare del 2021 che ha rovesciato un governo democraticamente eletto.
I membri dei media incarcerati vengono solitamente processati da tribunali militari, privati della rappresentanza legale e condannati a lunghe pene detentive con accuse vaghe relative a terrorismo, diffusione di false informazioni o istigazione.
VIETNAM
Dei tre nuovi giornalisti incarcerati in Vietnam nel 2024, due—Nguyen Vu Binh e Nguyen Chi Tuyen—sono stati condannati rispettivamente a sette e cinque anni di carcere per «propaganda contro lo Stato».
Il terzo, Truong Huy San, è in carcerazione preventiva dopo aver pubblicato commenti critici sui due massimi leader del Vietnam: il segretario generale del Partito Comunista vietnamita Nguyen Phu Trong e il presidente To Lam.
INDIA, BANGLADESH E FILIPPINE
In Bangladesh, quattro giornalisti sono stati incarcerati, tutti considerati sostenitori dell’ex primo ministro Sheikh Hasina, rimossa nell’agosto 2024 dopo massicce proteste che hanno posto fine ai suoi 15 anni di governo. Successivamente, decine di giornalisti ritenuti vicini all’amministrazione Hasina sono stati presi di mira con indagini penali.
L’India ha tre giornalisti detenuti, due dei quali di etnia kashmira arrestati nel 2023, in un contesto di incarcerazioni crescenti nella regione a maggioranza musulmana dopo l’abolizione del suo status di autonomia speciale nel 2019.
Nel frattempo, nelle Filippine, la giornalista comunitaria Frenchie Mae Cumpio continua a essere tenuta in carcere con accuse di possesso illegale di armi e finanziamento del terrorismo. Accuse che i suoi avvocati, familiari e colleghi definiscono false e che potrebbero portare a una condanna all’ergastolo.