Cancro al seno e alimentazione

di Redazione ETI/George Citroner
12 Aprile 2025 20:24 Aggiornato: 12 Aprile 2025 20:24

Un tipo di grasso contenuto negli oli di semi più utilizzati in cucina è stato associato alla crescita accelerata di una forma di cancro al seno tra le più aggressive e difficili da trattare. Una recente ricerca ha evidenziato che un consumo elevato di acido linoleico attiva un processo biologico in grado di favorire lo sviluppo delle cellule tumorali. Sebbene lo studio sia stato condotto su topi, i dati offrono nuove prospettive per strategie nutrizionali mirate alla prevenzione. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Science.

ACIDO LINOLEICO E SVILUPPO TUMORALE

L’acido linoleico è un acido grasso essenziale, indispensabile per l’organismo e introdotto esclusivamente attraverso l’alimentazione. Nel corso dell’esperimento, una dieta ad alto contenuto di questo composto ha stimolato nei topi una crescita più rapida del cancro al seno, accompagnata da un aumento della proteina Fabp5, già associata al sottotipo triplo-negativo, noto per la sua aggressività. Alti livelli di acido linoleico e della stessa proteina sono stati rilevati anche nei tumori e nel sangue di pazienti recentemente diagnosticati con questa forma tumorale.

«Queste scoperte chiariscono il rapporto tra grassi alimentari e cancro, indicando quali pazienti potrebbero beneficiare di raccomandazioni nutrizionali mirate», spiega John Blenis, ricercatore alla Weill Cornell Medicine e autore principale dello studio. Mentre l’incidenza generale del cancro al seno mostra una tendenza alla diminuzione, il triplo-negativo è in crescita, in particolare tra le donne più giovani e di origine africana, rappresentando circa il 10-15% dei casi complessivi.

L’AUMENTO DEGLI OMEGA-6 NELLA DIETA

L’acido linoleico contribuisce a processi fondamentali come la crescita e la rigenerazione cellulare. Alcune evidenze suggeriscono che un suo consumo adeguato possa anche ridurre lievemente il rischio di mortalità per malattie cardiovascolari e oncologiche. Secondo l’American Heart Association, gli oli di semi – ricchi di acidi grassi omega-6 – non sono da considerare nocivi: fanno parte dei grassi polinsaturi essenziali, che il corpo non è in grado di produrre autonomamente.

L’American Heart Association raccomanda di ricavare tra il 5% e il 10% dell’apporto calorico giornaliero da omega-6, pari a circa 11-22 grammi in una dieta standard da 2.000 calorie. Dalla metà del secolo scorso, il consumo di questi acidi grassi nelle diete occidentali è aumentato sensibilmente. Gli omega-6 si trovano soprattutto in oli vegetali come quelli di soia, mais e girasole, largamente impiegati in prodotti industriali, snack confezionati, fast food e piatti pronti. Quantità inferiori sono presenti anche in carne, pollame, semi e frutta secca.

Questo mutamento alimentare suscita preoccupazione in una parte della comunità scientifica, che ipotizza un legame tra un’eccessiva assunzione di omega-6 e l’aumento di stati infiammatori associati a patologie croniche, tra cui malattie cardiovascolari, cancro e disturbi autoimmuni. «L’acido linoleico non è di per sé dannoso — precisa la nutrizionista Aderet Dana Hoch — ma un’assunzione sbilanciata, senza un adeguato apporto di omega-3, può favorire infiammazioni e aumentare i rischi per la salute nel lungo termine».

LO SQUILIBRIO TRA I GRASSI OMEGA

La dieta occidentale presenta oggi un rapporto tra omega-3 e omega-6 stimato tra 1:14 e 1:25. Questo squilibrio è fonte di allarme, poiché gli omega-3 sono noti per le loro proprietà antinfiammatorie, mentre un eccesso di omega-6 può alimentare processi infiammatori persistenti. Il rapporto ideale dovrebbe essere di 1:1 o 1:2. L’infiammazione cronica è ritenuta un fattore chiave nello sviluppo di numerosi tumori e di diverse patologie croniche. Ridurre l’introduzione di omega-6 implica innanzitutto una minore esposizione a oli di semi raffinati e ai cibi che li contengono.

INDICAZIONI PER UN’ALIMENTAZIONE EQUILIBRATA

Per riequilibrare l’apporto tra omega-6 e omega-3, è utile limitare il consumo di cibi industriali e ultra-processati, principali fonti di grassi omega-6. Una maggiore assunzione di prodotti da allevamenti estensivi, come carne e uova da animali al pascolo, consente un aumento naturale degli omega-3. Anche l’introduzione regolare di pesce grasso di acqua fredda – da due a quattro volte alla settimana – rappresenta una strategia efficace. Sostituire gli oli di semi con olio extravergine di oliva o olio di avocado può contribuire a migliorare il profilo lipidico della dieta. In alcuni casi, può essere utile valutare con un professionista l’integrazione con omega-3 di alta qualità.

PROSPETTIVE FUTURE DI RICERCA

Gli studi sugli effetti degli omega-6 sul rischio di cancro hanno finora prodotto risultati contrastanti. Questo nuovo studio punta a fare chiarezza, soprattutto in relazione al cancro al seno, patologia influenzata anche da fattori metabolici come l’obesità. Il gruppo di ricerca guidato dal dottor Blenis intende approfondire il ruolo dell’acido linoleico e della proteina Fabp5 anche in relazione ad altri tumori e a malattie croniche come diabete e obesità.

«L’importanza della proteina Fabp5 suggerisce che potrebbe diventare un biomarcatore utile per sviluppare interventi nutrizionali e terapie personalizzate nei pazienti con cancro al seno triplo-negativo, attualmente privi di cure specifiche» spiega il dottor Blenis. Si tratta, secondo gli autori, del primo lavoro che identifica un meccanismo preciso con cui un componente comune della dieta può influenzare lo sviluppo di un tumore, aprendo nuove strade per la prevenzione e il trattamento di forme oncologiche particolarmente aggressive.

Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.

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