Ridurre i livelli di colesterolo protegge davvero il cuore? L’assunzione di statine rappresenta una scelta sempre vantaggiosa? A queste domande ha risposto il dottor Cai Kaizhou, presidente dell’Istituto di Ortopedia Naturale di Taiwan e medico presso l’Ospedale Universitario Nazionale.
Secondo il dottor Cai, la vera chiave per la salute cardiovascolare non risiede nel semplice abbassamento del colesterolo. Negli ultimi 50 anni questa sostanza è stata demonizzata, pur essendo essenziale per i processi di riparazione del corpo. Il timore del colesterolo è strettamente legato alla paura delle malattie cardiache, ma la sua responsabilità in queste patologie è stata ampiamente sopravvalutata. Sebbene l’obiettivo di abbassarne i livelli sia quello di prevenire infarti e ictus, tale strategia non sempre si traduce in una reale riduzione della loro incidenza.
Uno studio pubblicato nel 2019 su Scientific Reports, condotto su 12,8 milioni di cittadini coreani per un periodo di dieci anni, ha mostrato una relazione a curva U tra colesterolo totale e mortalità: quando i livelli scendono sotto i 200 mg/dL, la mortalità aumenta. Questo dato si è confermato stabile in tutte le fasce d’età, suggerendo che valori troppo bassi risultano più dannosi di quelli elevati.
«Questi risultati contraddicono la convinzione comune che abbassare il colesterolo riduca la mortalità», spiega il dottor Cai, aggiungendo che ogni individuo ha un fabbisogno diverso. Piuttosto che puntare a un valore standardizzato, sarebbe più utile intervenire sui reali fattori di rischio, come l’infiammazione vascolare.
IL COLESTEROLO: UN NUTRIENTE ESSENZIALE
Il colesterolo non è una sostanza nociva. Al contrario, svolge numerose funzioni fondamentali nell’organismo. Viene in gran parte prodotto dal fegato e distribuito ai vari organi, con l’eccezione del cervello che provvede autonomamente a sintetizzarlo, trattenendone il 25% del totale corporeo.
Questa molecola è parte integrante delle membrane cellulari, favorisce la comunicazione tra le cellule nervose e contribuisce alla produzione della vitamina D, degli ormoni sessuali e dei sali biliari, necessari per l’assorbimento delle vitamine A, D, E e K.
EFFETTI COLLATERALI DEI FARMACI IPOLIPEMIZZANTI
Numerose osservazioni cliniche riportate dal dottor Cai indicano che l’assunzione di statine può causare effetti avversi significativi. Dolori muscolari, infiammazioni articolari, osteoporosi e perdita di memoria sono tra i disturbi più frequenti riscontrati nei pazienti trattati.
Alcuni casi hanno mostrato gravi forme di fragilità muscolare: pazienti incapaci di mantenere l’equilibrio, affetti da fascite plantare o soggetti a cadute frequenti. Un uomo sulla cinquantina ha sviluppato un’andatura instabile dopo poche settimane di terapia.
«Quando si assumono farmaci ipocolesterolemizzanti, oltre a valutarne l’efficacia, è fondamentale considerarne i potenziali effetti collaterali», ha sottolineato il dottor Cai. Le statine, tra i farmaci più comuni, inibiscono la sintesi epatica non solo del colesterolo, ma anche del coenzima Q10, sostanza cruciale per la produzione di energia cellulare. La conseguente compromissione mitocondriale può generare debolezza muscolare e dolori persistenti. A questi si aggiungono possibili danni epatici, alterazioni cognitive e disfunzioni sessuali, in particolare negli uomini.
MANTENERE IL CUORE IN SALUTE
Secondo il dottor Cai, l’idea che abbassare il colesterolo sia sempre benefico risulta fuorviante. La produzione epatica di colesterolo segue un ritmo naturale, regolato in base alle necessità dell’organismo. È quindi necessario guardare oltre il colesterolo per prevenire patologie cardiovascolari.
Uno degli indicatori più significativi in questo ambito è il livello d’infiammazione sistemica, misurabile tramite la proteina C-reattiva. Un valore inferiore a 0,1, o ancor meglio sotto 0,02, corrisponde a un rischio molto basso di sviluppare malattie cardiache.
L’infiammazione delle cellule endoteliali, spesso provocata da zuccheri e amidi raffinati, oppure dall’esposizione a metalli pesanti, stimola la produzione epatica di colesterolo Ldl a bassissima densità, aumentando il rischio cardiovascolare.
INDICATORI DA MONITORARE PER UNA MIGLIORE PREVENZIONE
Tra i parametri ematici più rilevanti per valutare lo stato di salute figurano i trigliceridi, che dovrebbero restare sotto i 150 mg/dL, obiettivo raggiungibile con una dieta povera di carboidrati.
Il colesterolo Hdl, noto come “buono”, aiuta a rimuovere l’eccesso di colesterolo dal sangue: livelli superiori a 60 risultano protettivi. Il consumo di olio di pesce ricco di omega-3, o un integratore di alta qualità, può favorirne l’aumento.
Anche la circonferenza vita rappresenta un valido indicatore: dovrebbe essere inferiore alla metà dell’altezza.
Livelli di colesterolo Ldl denso elevati sono associati a un rischio cardiovascolare maggiore; è consigliabile mantenerli sotto 50, idealmente sotto 35.
L’omocisteina va tenuta sotto il valore 8, poiché in concentrazioni elevate aumenta il rischio di demenza, infarto e ictus.
La vitamina D, se mantenuta sopra 50 in condizioni normali e sopra 80 durante trattamenti specifici, può contribuire alla prevenzione di eventi cardiovascolari gravi.
«Abbassare il colesterolo non riduce necessariamente il rischio di infarti o ictus», ha concluso il dottor Cai. La salute non si conquista solo con i farmaci: al contrario, l’uso eccessivo può comprometterla. Cambiare lo stile di vita, adottando una dieta a basso contenuto di carboidrati, praticando il digiuno intermittente e mangiando solo in risposta alla fame reale, rappresenta la strada più efficace per mantenere il cuore in salute.
Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.