Il conflitto nello Stretto di Taiwan sarebbe un grosso problema per l’economia globale

Di Frank Fang

Un conflitto sullo Stretto di Taiwan avrebbe conseguenze di vasta portata per l’economia globale, secondo un think tank con sede a Washington, che ha analizzato le stime dei flussi commerciali che passano per lo stretto che separa Cina e Taiwan.

Il Center for Strategic and International Studies (Csis) ha spiegato che prima della pubblicazione del suo rapporto, avvenuta il 10 ottobre, mancavano «stime pubblicamente disponibili e accademicamente rigorose dei flussi commerciali» per lo Stretto di Taiwan. I ricercatori del rapporto hanno utilizzato una «metodologia unica» e hanno scoperto che lo stretto rappresentava oltre un quinto del commercio marittimo globale nel 2022, ovvero circa 2 mila 450 miliardi di dollari.

«Questo rapporto mostra l’immensa importanza dello Stretto di Taiwan per il commercio internazionale e dimostra l’entità delle conseguenze economiche nel caso in cui Pechino dovesse turbare la fragile stabilità dello stretto usando la forza contro Taiwan», hanno scritto i ricercatori.

«Per Washington, lavorare a stretto contatto con gli alleati e i partner per mantenere la stabilità dello Stretto è essenziale per salvaguardare il commercio internazionale».

Il regime comunista cinese minaccia di impadronirsi di Taiwan, ritenendo che l’isola autogovernata sia una provincia rinnegata che dovrebbe essere unita al continente. A marzo, l’ammiraglio John Aquilino, allora capo del Comando indo-pacifico degli Stati Uniti, ha ritenuto che l’esercito cinese sarebbe stato pronto a invadere Taiwan entro il 2027.

Il 14 ottobre, il ministro della Difesa di Taiwan ha condannato il regime cinese per le sue «azioni irrazionali e provocatorie», dopo che il Comando del Teatro Orientale cinese ha annunciato esercitazioni militari congiunte intorno all’isola.

Secondo i ricercatori, un conflitto nello Stretto di Taiwan costringerebbe le compagnie di navigazione a cambiare rotta, con conseguenti ritardi e aumenti dei prezzi per i consumatori.

«Le interruzioni di questo commercio manderebbero onde d’urto ben oltre Taiwan e la Cina, con ripercussioni sui principali alleati degli Stati Uniti e su ampie fasce del Sud globale», si legge nel rapporto.

I ricercatori hanno scoperto che la Cina è il Paese che dipende maggiormente dallo stretto, con circa 1.300 miliardi delle sue merci in transito nel 2022.

«Se lo Stretto di Taiwan fosse completamente impraticabile per le navi mercantili, le imbarcazioni dirette in Cina potrebbero deviare, ma se fossero costrette ad attraversare lo Stretto di Miyako, questo potrebbe rendere la Cina suscettibile di un blocco a distanza da parte delle forze statunitensi, giapponesi e di altre forze che cercano di privare la Cina del commercio», hanno scritto i ricercatori.

I Paesi più colpiti

Due alleati chiave degli Stati Uniti, il Giappone e la Corea del Sud, sarebbero tra i Paesi più colpiti dalle interruzioni nello stretto, secondo il rapporto, basato sui dati commerciali del 2022.

Il Giappone dipende dallo stretto per il 25% delle sue esportazioni e il 32% delle importazioni, per un totale di quasi 444 miliardi di dollari. La Corea del Sud dipendeva dallo stretto per il 23% delle esportazioni e il 30% delle importazioni, per un totale di circa 357 miliardi.

Il rapporto fa notare che il Giappone e la Corea del Sud importano ogni anno grandi quantità di petrolio, gas e carbone passando per lo stretto. Entrambe le nazioni dipendono fortemente dallo stretto anche per le spedizioni di elettronica e macchinari.

Anche l’Australia dipende profondamente dallo stretto, in base ai dati del 2022. Secondo il rapporto, quasi il 27% delle esportazioni australiane, pari a 109 miliardi di dollari in merci, attraversava lo stretto, di cui l’83% era costituito da minerale di ferro, carbone e gas naturale liquefatto.

«In particolare, tuttavia, l’entità del dolore per l’Australia dipenderebbe probabilmente dall’entità dell’aggressione cinese», scrivono i ricercatori. «Durante un assedio o un blocco, l’Australia potrebbe continuare a vendere minerale di ferro e altri beni alla Cina, assorbendo alcuni dei costi derivanti dall’allontanamento dalle acque intorno a Taiwan.

«In una guerra su vasta scala per Taiwan, la questione potrebbe essere irrilevante, in quanto Canberra potrebbe trattenere le esportazioni di minerale di ferro e altri beni alla Cina in risposta».

Il Csis ha già pubblicato due rapporti che analizzano diversi scenari in cui Pechino potrebbe imporre un assedio o formare un blocco contro Taiwan. Nell’ambito dello schema di assedio, la Cina dispiegherebbe le sue navi della guardia costiera per far rispettare le norme doganali intorno a Taiwan. In termini di blocco, la Cina cercherebbe di privare Taiwan del suo fabbisogno energetico bloccando alcune delle sue importazioni di petrolio, gas naturale e carbone.

Secondo il rapporto, nel 2022 anche i Paesi non asiatici dipendevano dallo stretto.

I Paesi Brics, esclusa la Cina, si appoggiavano infatti allo stretto per circa il 14% delle loro importazioni e il 15 delle loro esportazioni.

Oman, Arabia Saudita, Iraq, Kuwait, Qatar e Yemen utilizzavano lo stretto per oltre il 30% delle loro esportazioni.

Il Giappone è stato il primo fruitore dello stretto tra i Paesi del G7. Gli Stati Uniti sono secondi, con 54 miliardi di esportazioni e 100 miliardi di importazioni per lo stretto nel 2022.

In Africa: la Repubblica Democratica del Congo, il Gabon, l’Eritrea e l’Angola sono stati i principali utilizzatori dello stretto nel 2022.

 

Articolo in lingua inglese: Taiwan Strait Conflict Would Send Shockwaves Through Global Economy: Report

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