L’incursione della Cina in Giappone

Di Anders Corr

L’autore dell’articolo, Anders Corr, ha conseguito una laurea/master in scienze politiche presso la Yale University (2001) e un dottorato in governance presso la Harvard University (2008). È preside di Corr Analytics Inc., editore del Journal of Political Risk, e ha condotto ricerche approfondite in Nord America, Europa e Asia. È autore di «The Concentration of Power» (in uscita nel 2021) e «No Trespassing» e ha curato «Great Powers, Grand Strategies».

 

Secondo le forze di difesa giapponesi, per la prima volta un aereo militare cinese è penetrato nel territorio giapponese.

Il 26 agosto, il velivolo di sorveglianza Y-9 dell’Esercito Popolare di Liberazione (Pla) ha violato lo spazio aereo territoriale delle isole Danjo per circa due minuti. Il Giappone ha risposto con piani per acquistare un sistema di difesa satellitare da 2 miliardi di dollari.

L’incursione avvantaggia Pechino su più fronti. Anche se due minuti possono sembrare un periodo di tempo breve, questa brevità è probabilmente parte della strategia di gradualismo di Pechino, progettata per violare progressivamente i confini, acquisire territori e guadagnare influenza all’estero in un modo che non suscita una risposta forte.

L’obiettivo nelle strategie gradualiste è spesso descritto come una rana viva che viene bollita o come una fetta di salame che viene affettata. Se si riscalda la rana troppo rapidamente, essa salta fuori dalla pentola. Se si ruba troppo salame in una volta sola, il proprietario si arrabbia. Quella emotività potrebbe portare a un conflitto. Ma se fatto lentamente nel tempo, la rana rimane nella pentola e il proprietario del salame non agisce fino a quando non è troppo tardi.

Nel caso dell’Asia, poiché nessuno con i mezzi ha ancora intrapreso un’azione decisiva contro il Partito Comunista Cinese (Pcc), l’intero continente potrebbe venire perso nel tempo. Ciò che è iniziato come il controllo del Pcc su piccole parti della Cina — Jiangxi nel 1933 e le colline di Yan’an poco dopo — potrebbe trasformarsi nella sconfitta di Taiwan o del Giappone se il Pcc non fosse mai sconfitto in modo decisivo.

La deterrenza non è sufficiente quando il Pcc è sempre alla ricerca di un modo per eluderla.

Il Giappone ha fatto decollare caccia intercettori per fermare l’ultimo aereo spia della Cina, ma ha esitato nel lanciare dei razzi segnaletici. Tokyo temeva probabilmente di «provocare» Pechino. Un funzionario cinese è stato convocato per un rimprovero verbale. Ma l’incidente apparentemente non ha raggiunto il livello di una reprimenda da parte dell’ambasciatore. Non è stata sparata neanche una raffica di colpi di rabbia mentre la Cina invadeva il Giappone per quei due minuti. Sparare sarebbe stato avventato: è stato questo il ragionamento.

Ma la mancanza di una risposta è praticamente un invito a raddoppiare l’incursione la prossima volta, forse portando a quattro minuti su due isole, che potrebbero trasformarsi in otto minuti sull’isola principale e, infine, dopo ripetuti transiti non contrastati, nella possibilità di lanciare una bomba su Tokyo con così poca preavviso da rendere impossibile ogni difesa.

La difesa di Tokyo richiede una distanza di standoff in cui l’Aeronautica dell’Esercito Popolare di Liberazione (PlaAF) rispetti i confini giapponesi, incluse le sue isole lontane. Quel rispetto non può essere il normale rispetto per il Giappone come popolo e nazione che abbiamo noi. Il Pcc non si interessa affatto a quello. Qualsiasi «rispetto» del Pcc per i confini del Giappone richiede «deterrenza», il che significa che Pechino deve temere di provocare il Giappone al confine, e solo allora «rispetterà» quel confine.

Se la violazione dei confini giapponesi da parte della PlaAF non comporta alla fine colpi sparati dal Giappone, quei confini non esisteranno per la PlaAF. Quei colpi non devono essere necessariamente un colpo sicuro. Possono essere nella direzione generale degli aerei invasori, «lasciando qualcosa al caso», come ha argomentato il stratega militare Thomas Schelling. Ma devono esserci colpi, e tanto maggiore è la rabbia nel loro sparo, tanto meglio, secondo Schelling.

Il Pcc preferisce un attore razionale e prevedibile per i suoi giochi mortali di gradualismo e gioco al limite. Questo è un partner che non urla durante le negoziazioni, ma rivela informazioni riservate, come dove si trovano esattamente le «linee rosse» degli Stati Uniti quando si tratta di proteggere i nostri alleati in Asia. Se il nostro avversario riesce a scoprire le nostre «linee rosse», proprio come un abile negoziatore d’affari scopre la nostra «migliore alternativa a una soluzione negoziata» (Batna), il nostro avversario ci batte al tavolo delle trattative e può prendere tutto fino alla nostra linea rossa. Ciò rende l’avversario più potente per il turno successivo di negoziazioni e il successivo, ogni volta affettando un po’ di più il salame fino a farlo scomparire, e noi ci ritroviamo a non avere nulla da utilizzare per difendere la nostra capitale.

È possibile che alcuni interlocutori statunitensi o giapponesi del passato abbiano comunicato in modo sottile o anche inconsapevole a Pechino che un breve volo di spionaggio sulle isole Danjo non avrebbe raggiunto il livello di una seria risposta militare o persino diplomatica. Quel tipo di «indizio» è ciò che il Pcc cerca nelle sue interminabili negoziazioni che alimentano la sua strategia di «prendi e parla». Quell’«indizio» sarebbe sufficiente per il Pcc per pianificare un’operazione che tenta di stabilire un precedente: un volo breve in Giappone, un piede nella porta che può essere progressivamente aperta nel tempo senza conseguenze significative.

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi potrebbe aver cercato proprio questi tipi di indizi nei suoi prolungati colloqui con il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, più recentemente a Pechino, così come a Vienna, Malta, Bangkok e Washington. Secondo Sullivan i colloqui del 29 agosto di Pechino hanno incluso un «vigoroso scambio», e un accordo per una telefonata tra il presidente Joe Biden e il leader del Pcc Xi Jinping nelle prossime settimane. Pechino continua a fare richieste agli Stati Uniti, con una nuova richiesta riportata nello stesso giorno in cui gli Stati Uniti sono stati sfidati a fermare l’aumento del numero delle proprie armi nucleari.

Non si deve mai dare a un avversario troppe informazioni sulle nostre linee rosse o la capacità di prevedere accuratamente le nostre mosse. Vogliamo mantenerli in uno stato di instabilità in cui temono le sanzioni e la potenza militare degli Stati Uniti. Questa è la «deterrenza» che impedisce alla PlaAF di fare qualcosa di ancora peggio contro il Giappone rispetto a quanto già fatto, o di attaccare Taiwan. Una forte e coerente difesa di ogni uomo, donna e bambino su queste isole dalla tirannia del Pcc è esattamente ciò che è necessario oggi. La mancanza di difesa è ciò che offre al Pcc una possibilità di estendere il suo dominio, nel tempo, al mondo.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times

Versione in inglese: China’s Incursion Into Japan

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