Imprigionati per la loro fede

3 Luglio 2015 11:09 Aggiornato: 20 Gennaio 2025 17:12

LONDRA – Secondo L’Elenco dei prigionieri per motivi religiosi, di coscienza e per blasfemia del 2014, recentemente rilasciato dall’organizzazione per i diritti umani belga Human rights without frontiers international, il 26enne Dolkun Erkin della città cinese di Gulja, è stato accusato di attentato all’unita dello Stato e condannato a dieci anni di carcere. In particoare, il ‘crimine’ commesso dal giovane sarebbe stato quello di insegnare la dottrina dell’islam.

Questa e diverse altre profonde violazioni della libertà di credo attualmente in atto in tutto il mondo, sono il contenuto di una specifica relazione sull’intolleranza religiosa indirizzata all’Unione Europea e dell’Elenco generale dei prigionieri del 2014, documenti consegnati alla Camera dei Lord il 24 giugno 2015.

Nel punto saliente della relazione, la dottoressa Nazila Ghanea-Hercock ha dichiarato che se lo stato delle leggi in alcuni Paesi «Non fosse così tragico, sarebbe comico».
Il medico ha infatti ironizzato sul fatto che da oltre 115 anni in tutti i Paesi del mondo vi sono leggi che garantiscono ai detenuti libertà di religione o di credo. Mentre le persone citate nella relazione non hanno garantite queste libertà nemmeno fuori dal carcere. «Non hanno fatto nient’altro che godere di uno dei loro diritti umani», ha commentato la dottoressa.

Un altro caso tragico contenuto nell’Elenco dei prigionieri è quello di Vahid Hakkani, condannato a tre anni e otto mesi di reclusione in Iran. Le accuse includevano propaganda contro il sistema e cospirazione contro l’umanità.
Il ‘crimine’ commesso da Hakkani sarebbe stato quello di frequentare una chiesa cristiana indipendente: un luogo di incontro ‘clandestino’ tra cristiani al di fuori della strettamente monitorata chiesa cristiana in Iran.

«Questa è la punta della punta dell’iceberg», ha commentato – mentre esponeva altri esempi simili – il presidente dell’organizzazione non governativa Human rights without frontiers international. Corea del Nord, Cina e Iran registrano nel 2014 il più alto numero di persone imprigionate per motivi di credo e religione: l’indagine ha documentato migliaia di casi.

La Corea del Nord, descritta da Fautre come una «macchia nera» sul mappamondo, si dice abbia il maggior numero di credenti incarcerati, per lo più cristiani. «L’accesso alle informazioni e la barriera linguistica hanno reso la raccolta di notizie sui singoli casi molto complessa» ha spiegato Fautre.

In Pakistan, poi, insultare il profeta Maometto può portare alla pena di morte. Mentre la profanazione del Corano, il libro sacro musulmano, può portare a una condanna da dieci anni fino all’ergastolo.

Senza considerare che la legge viene spesso utilizzata in controversie nate per questioni di interesse personale: Imran Ghafoor, ad esempio, è stato accusato di aver bruciato il Corano e alcuni documenti sacri davanti al suo negozio.
Nella dichiarazione rilasciata da Ghafoor, risalta il fatto che le accuse di blasfemia sarebbero sorte per ragioni di invidia e rivalità in affari tra Imran stesso, i cui affari stavano prosperando, e i suoi accusatori, il cui business non andava bene. Il 28enne Ghafoor è stato arrestato nel 2009 e condannato all’ergastolo.

I progressi nelle modifiche alle leggi sulla blasfemia in Pakistan risultano nulli: nel 2011, due politici che hanno messo in discussione la legge sulla blasfemia sono stati uccisi.

COSA PUÒ FARE L’UNIONE EUROPEA?

Gli ingranaggi che guidano i cambiamenti della legge tendono a girare molto lentamente. Le raccomandazioni politiche dell’Unione Europea delineate nella relazione, rappresentano una speranza per le persone di riconquistare la libertà di praticare la loro fede o religione. Tuttavia, è verosimile credere che l’Unione Europea intraprenderà azioni concrete per l’attuazione di alcune di queste raccomandazioni?

«Non stiamo andando avanti sulla base di un’utopia: la realtà è che stiamo sperando in una via di mezzo», ha dichirato Alfiaz Vaiya, project manager di Human Rights Without Frontiers, che ha spiegato come l’Unione Europea abbia stabilito di rivedere il proprio piano d’azione sui diritti umani e sulla democrazia nel corso del mese di luglio.

Sebbene la stabilità economica e la prosperità siano tra le priorità nell’agenda di qualunque Paese, è un serio problema quando la questione dei diritti umani fondamentali viene ignorata. E, purtroppo, questo è il caso di diversi Paesi: alla fine del 2013 l’Ue ha varato una legge, l’accordo Spg+, che ha consentito al Pakistan maggiori sbocchi commerciali verso i Paesi dell’Ue.

Secondo il sito web della Commissione Europea, l’Ue, ricevendo il 21,2 per cento del totale delle esportazioni del Pakistan, costituisce il principale partner commerciale dello Stato asiatico. Vaiya ha commentato che se l’Ue avesse seriamente considerato la questione dei diritti umani, non avrebbe «In alcun modo» firmato questo accordo.

«Non è l’Unione Europea di per sé», spiega Vaiya in un’intervista telefonica. «Se i più forti Stati membri come il Regno Unito, la Francia, la Germania e i Paesi del Nord dell’Ue votano tutti a favore di un accordo, questo rappresenta già una semi-maggioranza».

Riguardo alla Cina, Vaiya osserva che questo Paese è «’Passato inosservato’ da parte dell’Ue». E non si può esserne sorpresi: la Cina è, dopo gli Stati Uniti, il secondo partner commerciale dell’Unione Europea e ha investito pesantemente in diversi Paesi dell’Ue. Tuttavia, la storia dello Stato a partito unico è costellata da violazioni dei diritti umani.

Un esempio emblematico è il lucroso commercio cinese dei trapianti di organi, in cui gli organi sono spesso espiantati forzatamente da prigionieri di coscienza mentre sono ancora in vita.

Le prove del prelievo di organi effettuato su donatori ancora in vita, sono state raccolte nel corso di un’indagine indipendente condotta nel 2006 dall’ex segretario di Stato canadese David Kilgour e dall’avvocato internazionale dei diritti umani David Matas.

L’indagine ha rivelato che la maggior parte di questi organi vengono prelevati forzatamente, a scopo di profitto, dai praticanti del Falun Gong (un’antica pratica spirituale cinese) imprigionati per motivi di credo.

Alla fine del 2014, inoltre, il Parlamento europeo ha ridotto drasticamente l’intergruppo sul Tibet, sulla base del fatto che nessun gruppo politico ne avesse fatto una priorità. Nel novembre del 2014, poco prima della votazione sugli intergruppi da mantenere nel 2015, tutti i deputati dell’Ue hanno ricevuto una lettera dalla missione cinese che esprimeva «preoccupazione» per l’intergruppo sul Tibet, e li sollecitava a non ristabilirlo.
Senza considerare che, durante la sua visita nel fine settimana nel Regno Unito, il Dalai Lama – leader spirituale del popolo tibetano – non è stato ricevuto da alcun funzionario.

In passato, l’Ue ha bloccato accordi commerciali con alcuni Paesi, come la Birmania, per questioni di diritti umani.
Vaiya sostiene quindi che la stessa pressione potrebbe essere esercitata nei confronti di quei Paesi in cui è repressa la libertà di credo: «L’Unione europea può fare la propria parte e sospendere degli accordi [commerciali, ndr]», ha sottolineato Vaiya.

«C’è ancora molto da fare, al livello dei parlamentari europei, per accrescere l’importanza della questione del rispetto dei diritti umani». «Questo è solo un documento», ha poi concluso. «La cosa fondamentale ora, è quella di trasformare questo documento in realtà».

Articolo in inglese: ‘Jailed For Their Belief

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