La settimana in corso si profila come un momento decisivo per il futuro del conflitto ucraino, giunto ormai al suo terzo anno. Le recenti mosse diplomatiche, culminate nell’incontro del 26 aprile a Roma tra il presidente Trump e il presidente ucraino Zelensky, hanno riacceso speranze per un possibile cessate il fuoco.
Il presidente statunitense, parlando ai giornalisti dal New Jersey, ha descritto il colloquio con Zelensky come un passo avanti, sottolineando la volontà ucraina di ottenere maggiori aiuti militari per contrastare l’offensiva russa. Zelensky, da parte sua, ha definito l’incontro «simbolico» e potenzialmente «storico», a patto che produca risultati concreti. Le dichiarazioni di Trump sono arrivate al termine di un incontro con il presidente ucraino, avvenuto a Roma, alla vigilia dei funerali di Papa Francesco.
«Mi è sembrato più calmo», ha osservato Trump, aggiungendo: «Credo abbia compreso la situazione e che sia intenzionato a raggiungere un accordo. Vedremo cosa accadrà nei prossimi giorni». Il presidente ha poi espresso profonda delusione per il fatto che, nonostante il colloquio tra l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff e il presidente Putin a Mosca il 25 aprile, la Russia abbia comunque intensificato gli attacchi contro l’Ucraina. «Voglio che smetta di sparare, che si sieda al tavolo e firmi l’accordo», ha affermato riferendosi a Putin. Secondo Trump, i termini dell’intesa sarebbero già stati delineati e il passo successivo dovrebbe essere la ratifica da parte di Mosca: «Abbiamo già i termini dell’intesa, a quanto mi risulta, e desidero che li sottoscriva».
Yuri Ushakov, consigliere del Cremlino, ha descritto come «costruttivo» il vertice di tre ore tra Putin e Witkoff, senza però fornire ulteriori dettagli. Prima di partire per Roma, Trump aveva indicato che «la maggior parte dei punti principali» era stata concordata e che le due parti erano «molto vicine» a un’intesa.
Sul fronte statunitense, il ministro degli Esteri, Marco Rubio, ha delineato con chiarezza i contorni della situazione. Intervenendo il 27 aprile al programma Meet the Press di Nbc, il ministro ha indicato che il governo statunitense potrebbe decidere di interrompere gli sforzi di mediazione se Mosca e Kiev non riusciranno a trovare un accordo. «Sono più vicini di quanto non lo siano stati negli ultimi tre anni», ha osservato, pur riconoscendo che l’obiettivo potrebbe essere ancora lontano.
Rubio ha definito la prossima settimana «molto critica», evidenziando che gli Stati Uniti dovranno valutare se restare impegnati nei colloqui di pace o concentrare l’attenzione su altre priorità internazionali. Ha poi precisato che Washington potrebbe prendere provvedimenti contro chi ostacolerà gli sforzi per porre fine al conflitto, pur sottolineando che «si preferirebbe evitare questo scenario, nella convinzione che sia ancora possibile mantenere aperta la via diplomatica».
Dal canto suo, Mosca mantiene una posizione ambivalente. Il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, in un’intervista a Cbs News del 24 aprile, ha ribadito la disponibilità russa a un accordo, ma ha sottolineato la necessità di definire «alcuni punti specifici». Sul campo, tuttavia, le azioni sembrano contraddire le parole: dopo la «tregua pasquale» annunciata da Putin per il 19 e 20 aprile, entrambe le parti si sono accusate di aver violato la pausa, e le operazioni militari russe sono riprese con intensità.
L’Ucraina, che 45 giorni fa aveva accolto una proposta statunitense di cessate il fuoco, si trova in una posizione delicata. Zelensky ha rivelato di aver avanzato a Mosca una richiesta diretta per fermare gli attacchi contro obiettivi civili, ma la proposta è stata respinta. Questo rifiuto, unito alla continua pressione militare russa, complica il percorso verso un’intesa.
Trump ha infine criticato aspramente Putin per avere colpito aree civili ucraine con missili durante le trattative, esprimendo dubbi sulle reali intenzioni di Mosca riguardo alla cessazione delle ostilità. «Mi fa pensare che forse non voglia davvero fermare il conflitto», ha commentato, facendo intendere che gli Stati Uniti, pur preferendo la via diplomatica, non escludono un cambio di strategia, che potrebbe comprendere misure più dure contro chi ostacola la pace.