Le tensioni commerciali innescate dai dazi statunitensi, l’azione di penetrazione cinese in Sud America e l’emergere di nuovi attori sulla scena globale. Sono alcuni degli elementi che rendono sempre più urgente la ratifica dell’accordo di libero commercio tra Unione europea e Mercosur (l’area di integrazione economica che comprende Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay). Se ne è parlato al convegno «Ue-Mercosur: accordo?», svoltosi a Roma il 15 aprile e promosso dal Centro studi di politica internazionale (Cespi). Un appuntamento in cui sono state presentate caratteristiche e implicazioni del trattato, ma anche lo scenario geopolitico in cui questo si inserisce, le posizioni all’interno del dibattito europeo e italiano e i rimanenti passi da compiere per giungere alla sua ratifica. Il trattato, hanno convenuto gli interlocutori intervenuti dalle due sponde dell’Atlantico, può far lievitare la cooperazione commerciale ma anche politica, creando anche le condizioni per un nuovo protagonismo dell’Italia nella regione. Occorre dunque mettere un punto a un dibattito che va avanti da oltre vent’anni.
I negoziati del trattato hanno preso il via nel 1999, momento in cui gli Stati Uniti lavoravano a un’intesa economica e politica estesa su tutto il continente, che permettesse loro – tra le altre cose – di consolidare l’influenza nei Paesi dell’America latina. In quel contesto, si è ricordato, per l’Ue si rendeva necessario trovare uno strumento alternativo, che permettesse di non perdere l’accesso ai mercati di quel continente. Le discussioni sono andate avanti per anni, tra alti e bassi spesso dettati dalle condizioni politiche di contorno, fino alla svolta impressa a Montevideo, nel dicembre dello scorso anno: presente la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, le parti hanno firmato il testo nella sua formulazione più completa. Attualmente sono in corso le revisioni giuridiche, a cui seguiranno le traduzioni nelle 24 lingue ufficiali dell’Ue. Terminata questa parte, inizieranno le fasi politiche, con una proposta da parte della Commissione europea al Parlamento e al Consiglio degli Stati membri, che dopo un esame si pronunceranno, dando il via libera alla firma che dovrà ottenere il consenso dei parlamenti degli Stati membri per entrare in vigore.
L’accordo coinvolge 31 Paesi, che potrebbero diventare 32 con l’adesione della Bolivia (Paese che ha aderito al Mercosur in seguito ai negoziati con l’Ue). Complessivamente l’unione dei blocchi è pari a 700 milioni di cittadini, creando l’area di libero scambio più grande al mondo. L’elemento più importante è la rimozione progressiva del 91 per cento dei dazi, che secondo le stime farebbe risparmiare 4 miliardi di euro. Senza contare la possibilità per le imprese europee di accedere agli appalti pubblici statali nei Paesi Mercosur. Oggi le importazioni dal Mercosur sono il 2,2 per cento del totale in Europa (con un valore di 109 miliardi di euro) e sono in prevalenza prodotti agricoli, materie prime e minerali critici. In senso opposto l’Ue è il secondo partner del blocco sudamericano ed esporta soprattutto manifattura. Dal punto di vista europeo si prevede una maggiore crescita soprattutto nelle importazioni, anche grazie ai minori costi, fornendo ai consumatori europei più prodotti con prezzi più bassi. La stima è che il commercio bilaterale possa incrementare fino al 68 per cento soprattutto grazie alla riduzione dei dazi su auto (oggi al 35 per cento), prodotti chimici (18 per cento oggi), calzature in pelle (oggi 35 per cento) ma anche alimenti come cioccolato e vino (oggi rispettivamente al 20 e 27 per cento). Una delle carenze riguarda invece gli investimenti, che non sono un settore adeguatamente incluso nel trattato. Per questo, sottolineano gli esperti, il testo dovrebbe integrarsi con il programma di investimenti dell’Ue in America Latina lanciato quest’anno (Global Gateway).
Il testo attuale fornisce parziali risposte alle preoccupazioni del settore ambientale e agricolo, come l’obbligo a contrastare la deforestazione, ma ci sono ancora degli ostacoli da risolvere. Le posizioni opposte all’interno dell’Ue sono rappresentate da Francia e Spagna, che si collocano ai due estremi rispetto all’entusiasmo per l’accordo attuale. Le criticità individuate dal governo francese sono state riportate dal vice capo missione dell’ambasciata francese a Roma, Cyril Blondel. Seppur Parigi sia «consapevole del contesto geopolitico» e della necessità per le proprie imprese di trovare «nuovi sbocchi, soprattutto in America Latina», nel testo in esame, a differenza di altri accordi (come con Cile, Messico e Nuova Zelanda) ci sono «punti preoccupanti», ha detto Blondel. Il primo punto contestato è la possibilità, per il Mercosur, di mettere in discussione normative ambientali e sanitarie interne dell’Ue come quelle del meccanismo di aggiustamento alle frontiere e il regolamento europeo sulla deforestazione. Secondo la Francia, il Mercosur «avrà la possibilità di non rispettare questi testi o di prendere misure correttive su prodotti europei (anche industriali)». Questo «diventerebbe un problema anche con altri partner futuri, che vorranno usufruire dello stesso meccanismo correttivo» creando «un precedente negativo».
Inoltre, la versione 2024 del testo è un «passo indietro» rispetto alla bozza del 2019, per cui ad esempio il Brasile «ha ottenuto la possibilità di porre tasse sulle proprie esportazioni di materie critiche – di cui in Ue abbiamo bisogno – o di avere la possibilità di imporre tasse sulle nostre importazioni di auto elettriche». Per il governo francese, ha concluso Blondel, «non c’è principio di reciprocità». Rispetto alle tematiche ambientali, ha spiegato il diplomatico, non esistono vincoli seri per far rispettare l’accordo di Parigi sul clima. «Ad esempio se un Paese rimane nell’accordo ma non lo applica correttamente, è probabile che non succeda nulla». La protezione dei consumatori europei è il quarto punto su cui Parigi innesta delle critiche: «è vero che ci sono obblighi in materia di sicurezza alimentare, ma sappiamo che oggi questi standard non sono sempre applicati nel Mercosur e noi non abbiamo ancora abbastanza misure di sorveglianza». Infine, la cosiddetta «clausola di salvaguardia» sul mercato agricolo rimane un punto delicato per la Francia, che vorrebbe non una misura generica per problemi «a livello europeo» ma la possibilità di esercitare la clausola a livello specifico e individuale, nel caso in cui un solo Stato membro – ad esempio Italia o Francia – sia danneggiato.
Di segno opposto la Spagna: il suo ambasciatore in Italia, Miguel Fernandez Palacios, ha parlato del 6 dicembre come «traguardo storico» e ha ribadito che Madrid sostiene la necessità di una ratifica «al più presto». L’accordo certifica la volontà reciproca di rinforzare il legame fra due blocchi «che condividono valori» come commercio equo, sostenibilità, multilateralismo. «Non solo scelta economica ma una scelta di campo. I paesi che si aprono ottengono più vantaggi di quelli che si chiudono», ha detto l’ambasciatore. Inoltre, per la Spagna è di grande valore l’impatto economico dell’accordo su oltre 30 mila piccole-medie imprese (pmi) europee, anche nei settori delle materie prime delle catene di valore e della transizione ecologica. In merito al settore agroalimentare, Palacios ha ricordato l’esistenza di quote alle quantità di prodotti – come la carne bovina – che si possono importare. «Per capirci, l’importazione (esente o quasi da dazi) prevista equivale a una sola bistecca per anno per cittadino europeo», quota che non rappresenterebbe una minaccia. Inoltre, il mercato europeo offre una scarsa possibilità di ampliarsi, e l’apertura al Mercosur permetterà una più agevole pianificazione strategica del settore agricolo. L’inclusione dell’aspetto ambientale, considerato «insufficiente» per i più critici, è per Madrid «uno dei punti più qualificanti» dell’accordo, dato che spinge per combattere la deforestazione e favorire catene di approvvigionamento più sostenibili. L’apertura agli appalti pubblici, inoltre, permette di accedere alle gare «in condizioni di trasparenza e non discriminazione» e ampliare la presenza europea nei settori di telecomunicazioni, finanza, mobilità professionale, commercio elettronico. La Spagna, ha concluso l’ambasciatore, ritiene l’accordo «ben bilanciato, equo, moderno e orientato al futuro», con vantaggi per imprese e consumatori.
In Italia il fronte produttivo ha posizioni differenti sull’accordo. Il settore industriale vi guarda con favore, minimizzando i possibili rischi, mentre il settore agricolo si mostra più preoccupato per la mancanza di clausole protettive del settore. Secondo Alessandra Ausanio, la responsabile dei rapporti con il Parlamento per Confagricoltura, «l’accordo risulta a tratti problematico» e potrebbe avere un impatto su 450 milioni di consumatori, colpendo la produzione di carne bovina, pollame, zucchero, etanolo, riso, con quote di importazione che «rischiano di saturare il mercato Ue, diminuire prezzi, fino al collasso di alcune filiere». Il tutto avverrebbe in una situazione economica «già molto pesante per imprese agricole», dovuta a situazioni geopolitiche e all’incremento dei costi di produzione dovuto al cambiamento climatico. L’ingresso di prodotti a basso costo, ha proseguito Ausanio, «eroderà i guadagni». Confagricoltura valuta peraltro «insufficiente» il fondo da un miliardo di euro che la Commissione ha creato per ammortizzare i possibili costi alle imprese: «si pensi che per superare l’uscita del Regno Unito (dall’Ue) erano stati stanziati 5 miliardi di euro per tutti i settori». Il punto sulle denominazioni protette e le indicazioni geografiche, puntualizza Confagricoltura, non è esaustivo «perché non vieta l’utilizzo di denominazioni evocative» e prevede «protezione totale solo per i nuovi marchi». Infine, secondo l’associazione di agricoltori, l’accordo «non soddisfa la reciprocità» per quanto riguarda «gli standard di protezione su sicurezza sul lavoro e alimentare, protezione ambientale, salute degli animali» e accetta «standard inferiori a quelli a cui siamo abituati». Infine, la Confederazione agricola denuncia l’assenza di «misure coercitive» per la risoluzione di controversie.
Tra aspetti positivi, tuttavia, c’è l’impatto per il settore vitivinicolo, agevolato dall’armonizzazione delle pratiche enologiche e di produzione, etichettatura e certificazione per eliminare barriere poste alle dogane dei paesi del Mercosur (in particolare Brasile) sotto forma di tasse doganali. Più positiva è invece la visione di Confindustria secondo cui, nelle parole del direttore per gli Affari internazionali Marco Felisati, l’attuale contesto globale «non consente o suggerisce all’Ue di limitare le partnership internazionali». Felisato ha ribadito che il trattato contiene numerosi elementi a tutela di regole e standard Ue e che sarebbe più conveniente – oltre che urgente – siglarlo ora, e poi dirigersi, in corso d’opera, verso una «convergenza» su «standard comuni o armonizzati». L’opinione degli industriali è che «se la finestra (per chiudere l’accordo) si chiude adesso, non se ne apriranno altre».
Nel complesso con la firma dell’accordo l’economia italiana godrebbe dei benefici nel manifatturiero e nell’agroalimentare ad alto valore aggiunto, in virtù del marchio «Made in Italy». L’impatto sarebbe simile a quello stimato per l’Ue nel complesso: crescita dello 0,1 per cento del prodotto interno lordo (Pil) e dello 0,8 per cento nel commercio. Ma è sul piano politico che l’accordo si potrebbe rivelare determinante per il nostro Paese, come sottolineato dal sottosegretario agli Affari esteri, Giorgio Silli nel suo intervento. «Lo strumento dell’Ue ci permette di porci come interlocutore di privilegio nelle trattative internazionali». Pur riconoscendo le «legittime» richieste dei diversi settori economici, Silli ha evidenziato che il Mercosur e l’America Latina tutta sono un mercato a cui prestare «più attenzione». Gli accordi di libero scambio «servono a questo: facilitare scambi e produzione e incentivare i nostri imprenditori a investire e creare ricchezza», ha concluso il sottosegretario.