I prezzi delle importazioni negli Stati Uniti sono calati a marzo, grazie a costi energetici più bassi, in vista dei nuovi dazi. Secondo il Bureau of Labor Statistics americano, i prezzi delle importazioni sono scesi dello 0,1% il mese scorso, rispetto all’aumento rivisto al ribasso dello 0,2% di febbraio. É il primo calo mensile da settembre. Su base annua, i prezzi delle importazioni sono cresciuti dello 0,9%.
I prezzi dei carburanti importati sono diminuiti del 2,3%, record di calo mensile dal -7,2% di settembre, spinto soprattutto dall’abbassamento dei costi di petrolio e gas naturale. I beni importati, esclusi i carburanti, sono cresciuti dello 0,1% per il secondo mese consecutivo, un rialzo controbilanciato dal calo dei prezzi di automobili e beni di consumo. A trainare l’aumento sono stati i prezzi più alti di beni, materiali e forniture industriali, oltre che di alimenti e mangimi.
A marzo, i prezzi delle esportazioni americane sono rimasti stabili, dopo un aumento rivisto al rialzo dello 0,5% a febbraio. Su base annua, le esportazioni registrano una crescita del 2,4%. L’indice dei prezzi dei prodotti agricoli esportati, comunque, è rimasto invariato, mentre quello di altri beni è calato dello 0,1%. Tuttavia, i costi di beni esportati come veicoli, beni di consumo, macchinari industriali e computer, sono aumentati durante il mese. Questi dati confermano un rallentamento dell’inflazione prima dell’entrata in vigore dei dazi annunciati da Trump.
Il tasso di inflazione su base annua a marzo è crollato al 2,4%. L’indice dei prezzi alla produzione, che misura quanto le imprese pagano per beni e servizi e anticipa l’inflazione al consumo, è diminuito dello 0,4%.
Nonostante i prezzi negli Stati Uniti continuino a scendere, i “mercati finanziari” insistono a temere che i nuovi dazi americani possano far risalire l’inflazione e danneggiare la crescita economica.
FLESSIBILITÀ COMMERCIALE
Trump ha sospeso per 90 giorni i dazi reciproci a quasi tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, tranne la Cina, su cui restano dazi del 145% .
«Il 64% delle importazioni statunitensi da Taiwan, il 44% della Malaysia e circa il 30% da Vietnam e Thailandia sono esenti dal dazio del 10%. Lo stesso vale per il 10% e il 12% delle importazioni provenienti da India, Corea e Messico», ha scritto Paul Ashworth, capo economista per il Nord America di Capital Economics.
Il ministro del Commercio Howard Lutnick ha però precisato che le esenzioni dai dazi per i prodotti elettronici sono temporanee: questi beni saranno soggetti ai prossimi dazi sui semiconduttori; l’obiettivo è «fare in modo che vengano prodotti negli Stati Uniti», ha dichiarato Lutnick in un’intervista a This Week di Abc.
Donald Trump ha infine accennato a un possibile «incentivo» per le case automobilistiche che devono affrontare i dazi.
IL DIBATTITO SUI DAZI
L’effetto dei dazi si può vedere solo nel tempo: non è immediato. Molti esperti temono un rincaro dei prezzi e una crescita economica più lenta, un fenomeno meglio noto come stagflazione, ossia stagnazione economica e inflazione: il Pil non cresce e i prezzi salgono. E anche se, come si è detto, finora i prezzi in America stanno scendendo, i verbali della Federal Reserve continuano ad alimentare timori di un aumento dell’inflazione.
«I dazi probabilmente faranno salire l’inflazione, almeno nel breve periodo, anche se gli effetti potrebbero protrarsi più a lungo», ha affermato Jerome Powell, presidente della Federal Reserve. Christopher Waller, governatore della Fed, ha dichiarato: «Io mi aspetto che l’aumento dell’inflazione sia temporaneo. E per “temporaneo” intendo “transitorio”».
«Pur considerando temporaneo l’aumento dell’inflazione causato dai dazi, gli effetti su produzione e occupazione potrebbero protrarsi e influire pesantemente sulle decisioni di politica monetaria», ha poi aggiunto Waller.
A marzo, la Fed ha mantenuto i tassi di interesse invariati: tra il 4,25% e il 4,5%. Gli operatori dei mercati finanziari prevedono che la banca centrale americana sospenderà i tagli dei tassi da maggio.
Alti funzionari dell’amministrazione Trump hanno ripetutamente negato che i dazi possano scatenare l’inflazione. In un’intervista a Face the Nation sulla Cbs, il ministro del Tesoro Scott Bessent ha dichiarato: «La Cina sosterrà i costi dei dazi, poiché la sua economia si basa sull’export per tenere a bada l’inflazione».
Peter Schiff, capo economista di Euro Pacific Asset Management, prevede due scenari rispetto all’impatto dei dazi sui prezzi negli Stati Uniti. «Se gli americani continuano a comprare beni importati a prezzi più alti a causa dei dazi, avranno meno denaro da spendere per prodotti nazionali, facendo calare i prezzi e mantenendo l’inflazione stabile» ha scritto su X, «Se invece acquistano meno beni importati e preferiscono i prodotti nazionali, l’aumento della domanda ne farà salire i prezzi, alimentando l’inflazione».
In conclusione, nonostante siano tutti accomunati dal minimo comune denominatore dei “timori” di inflazione, gli addetti ai lavori non si sbilanciano su quale sarà l’effetto complessivo dei dazi nel lungo periodo.
Forse perché andrebbe realizzata una (complicata) analisi del quadro d’insieme della politica economica dell’amministrazione Trump, a partire dalle conseguenze portate dalla creazione di nuovi posti di lavoro e del calo dei prezzi di energia e materie prime (cose di cui gli Stati Uniti sono molto ricchi). Le variabili di un sistema economico sono numerose: non esiste solo il commercio internazionale.
O forse perché a nessuno che si occupi di “mercati” (e di speculazioni) interessa valutare l’effetto complessivo di una politica economica. D’altronde, come diceva un certo economista molti anni fa, «nel lungo periodo siamo tutti morti».