I dazi americani sui beni cinesi hanno raggiunto il 145%. Trump è tornato alla Casa Bianca da meno di tre mesi. Perché i dazi imposti alla Cina hanno toccato un livello senza precedenti?
Per prima cosa, Pechino si rifiuta di fermare il traffico di fentanile verso gli Stati Uniti. Da anni, i precursori di questa droga letale provengono dalla Cina, Pechino avrebbe potuto bloccare le esportazioni, ma non l’ha fatto. Perché?
Il regime cinese usa il fentanil come leva per fare pressione su Washington. Trump, però, non tollera più questo comportamento e ha imposto dei dazi sempre più alti sui beni cinesi, che sono arrivati al 145%, che include il 20% imposto a causa del traffico di fentanile.
In secondo luogo, Pechino finora ha respinto ogni negoziato con Washington sui dazi. Il 2 aprile scorso, Trump ha invocato l’International Emergency Economic Powers Act del 1977, una legge che autorizza il Presidente a imporre restrizioni commerciali, imponendo una serie di misure nei confronti degli altri Paesi, con un dazio cinese fissato al 34%, non il più alto.
Questi dazi non sono stati pensati come una soluzione definitiva, ma piuttosto come uno strumento per spingere i partner commerciali a negoziare con l’America, e in effetti, molte nazioni colpite dai dazi si sono mostrate aperte al dialogo. Trump ha dichiarato su Truth Social che «più di 75 Paesi» hanno contattato Washington per discutere sulla questione. Il ministro del Tesoro Scott Bessent, a Fox Business, ha confermato che Trump «sarà direttamente coinvolto nei negoziati».
Trump ha incontrato Netanyahu, primo leader straniero a confrontarsi con lui sul commercio, che ha accettato le condizione dei dazi americani.
La terza ragione potrebbe essere una sfida nei confronti di Pechino. In merito alla questione dei dazi, il ministero del Commercio cinese ha dichiarato di voler «combattere fino alla fine», imponendo a sua volta dei dazi del 125% sui beni americani, escludendo 12 aziende statunitensi dal commercio con la Cina e limitando l’export delle terre rare.
Bessent aveva avvertito i partner commerciali: «Io suggerisco a ogni Paese di non reagire. Aspettate e valutate la questione, perché una ritorsione da parte vostra porterà a un’escalation. Se invece non fate nulla, la questione finisce lì». Questi sviluppi mostrano come il regime cinese ignori le preoccupazioni di Washington, rifiuti il dialogo e mantenga una comportamento aggressivo, rischiando una vera guerra commerciale con Trump.
A mio avviso, il pensiero strategico di Pechino sembra essere il seguente: considera gli Stati Uniti, specie Trump, il principale ostacolo alle sue ambizioni a livello internazionale. Per questo motivo, Pechino vuole destabilizzare e indebolire l’America, sperando che, dopo il mandato di quattro anni del Presidente, ci sarà un nuovo governo più transigente nei suoi confronti.
Inoltre, il regime scommette anche sulle difficoltà interne presenti in America. L’economia americana sta affrontando la pressione dell’inflazione, con un debito nazionale oltre 36 mila miliardi di dollari. La reindustrializzazione di Trump è una scommessa, e il deficit commerciale ha toccato un record di 1210 miliardi nel 2024. Le sue politiche radicali, inoltre, attirano critiche e generano ostacoli, aumentando la speranza di Pechino in un fallimento della sua amministrazione.
Inoltre, la politica di dazi reciproci di Trump punta a ridefinire l’ordine economico internazionale, e Pechino crede che una dura opposizione nei confronti degli Stati Uniti possa unire altri Paesi in un cosidetto “fronte unito”. Ma questo piano è irrealistico.
Pechino sopravvaluta la propria forza economica e sottovaluta l’America. Il divario di Pil tra le due nazioni è sceso da 11 mila miliardi di dollari nel 2007 a 5900 miliardi nel 2021, ma dal 2022 è aumentato, raggiungendo 10 mila miliardi nel 2024. Il Pil cinese, pari al 75,3% di quello americano nel 2021, è sceso al 64,86% nel 2024, confermando un costante declino economico di Pechino iniziato l’anno prima.
I dati ufficiali indicano che la dipendenza della Cina dal commercio con gli Stati Uniti è calata dal 14% nel 2017 all’11% del 2023, mentre le sue esportazioni internazionali sono cresciute del 2%. Ma è un successo finto: il surplus commerciale di 992 miliardi di dollari nel 2024 alimenta infatti la paura di una sovrapproduzione cinese.
Gli Stati Uniti, principale mercato di consumo, hanno importato beni per circa 3.290 miliardi di dollari nel 2024, pari al 15% delle importazioni mondiali, nonostante un deficit commerciale di 1.210 miliardi, rendendo la loro economia indispensabile. In questo contesto, la spinta di Pechino per una coalizione anti-Usa appare assurda. Interrogato sulla questione, Trump ha dichiarato: «Non è un problema. Alla fine, tutti vogliono stare con gli Stati Uniti, non con i cinesi».
Pur con i suoi problemi, l’economia americana resta solida. Le riforme di Trump possono portare alcuni effetti negativi nell’immediato, ma mirano a una crescita duratura nel tempo. Al contrario, l’economia cinese è in netto declino dal 2022, e con le politiche imprevedibili di Pechino rischia di peggiorare. Una guerra commerciale con Washington non farà che aggravare la situazione.
Il regime cinese si concentra sui punti deboli dell’America, ignorando le proprie fragilità. Scegliendo di insistere sulla guerra commerciale, Pechino non agisce con strategia, ma corre piuttosto verso il disastro.
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