Il Pcc «è pronto alla guerra» contro gli Stati Uniti

di Lily Zhou
6 Marzo 2025 12:47 Aggiornato: 6 Marzo 2025 12:47

Il regime cinese ha risposto ai nuovi dazi statunitensi imposti martedì sui beni provenienti dalla Cina, dichiarando di essere pronto a combattere qualsiasi tipo di guerra che gli Stati Uniti vogliano intraprendere. Il mese scorso, il presidente Donald Trump ha imposto un dazio del 10% sulle importazioni dalla Cina, aumentando l’aliquota al 20% il 4 marzo, citando il mancato impegno del regime nel fermare il flusso di fentanyl verso gli Stati Uniti.

Pechino ha risposto con dazi su alcuni prodotti agricoli statunitensi e ha inserito nella lista nera decine di aziende americane, adducendo motivi di sicurezza nazionale e il coinvolgimento di alcune di esse nella vendita di armi a Taiwan. Parlando con i giornalisti a Pechino, il portavoce del Ministero degli Esteri Lin Jian ha descritto i dazi statunitensi come «intimidazione» e «bullismo» e ha dichiarato che «chiunque voglia esercitare la massima pressione sulla Cina sta scegliendo il bersaglio sbagliato e sta commettendo un errore di calcolo».

Lin si è spinto oltre affermando: «Se gli Stati Uniti vogliono la guerra, che sia una guerra dei dazi, una guerra commerciale o qualsiasi altro tipo di guerra, siamo pronti a combattere fino alla fine» una dichiarazione poi ripubblicata su X dall’ambasciata cinese a Washington. Interpellato in merito al post dell’ambasciata durante il programma «Fox & Friends» di Fox News, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti Pete Hegseth ha risposto che gli Stati Uniti sono «preparati».

«Chi vuole la pace deve prepararsi alla guerra» ha affermato. Hegseth ha dichiarato che il regime cinese sta «aumentando rapidamente la spesa per la difesa e la tecnologia moderna» e vuole sostituire gli Stati Uniti come potenza dominante, «Se vogliamo dissuadere la Cina o altri dal fare la guerra, dobbiamo essere forti».

COME FUNZIONA LA DIPLOMAZIA CINESE

Yeh Yao-Yuan, professore di studi internazionali presso l’Università di St. Thomas a Houston, in Texas, pensa che, più che una reale volontà di entrare in guerra con gli Stati Uniti, il Partito comunista cinese sta continuando con la sua diplomazia da “lupo guerriero” per mostrarsi forte, probabilmente perché il ministero degli Esteri non sa come trovare una soluzione che possa portare benefici alla Cina.

Riguardo ai dazi imposti alla Cina, l’amministrazione Trump ha inviato un segnale chiaro di voler portare Pechino al tavolo delle trattative, ma il regime cinese non vuole essere costretto a negoziare. Il professor Ye aggiunge che il regime cinese ha sempre dato priorità alla salvaguardia dell’immagine piuttosto che alla sostanza sul piano internazionale, perché il Partito comunista cinese (Pcc) e il suo leader Xi Jinping hanno «speso molto tempo» per alimentare il sentimento nazionalista nella popolazione cinese e dipingere gli Stati Uniti come un nemico: «È semplicemente la continuazione della diplomazia da lupi guerrieri»  che serve a «mantenere la linea di propaganda e la coerenza di questa propaganda all’interno». Per cui, il regime cinese deve per forza apparire «molto aggressivo».

Il fentanyl causa decine e decine di migliaia di morti per overdose ogni anno negli Stati Uniti. Un rapporto pubblicato lo scorso anno dalla Commissione speciale della Camera statunitense sul Partito comunista cinese ha identificato la Cina come «la principale fonte geografica» della crisi del fentanyl negli Stati Uniti. Il rapporto ha rilevato che le aziende cinesi sono i principali produttori dei precursori utilizzati per fabbricare il fentanyl.

Il regime cinese ha ripetutamente respinto le critiche degli Stati Uniti, affermando di avere «le politiche di controllo della droga più severe e complete al mondo» e di aver sostenuto gli sforzi americani per affrontare la crisi per pura buona volontà. Trump in precedenza aveva dichiarato che «la rete di sorveglianza interna più sofisticata» e «l’apparato di sicurezza più capillare» della Cina, oltre alle persecuzioni di dissidenti politici anche al di fuori del Paese, dimostrano che Pechino «non manca della capacità di contrastare drasticamente l’epidemia globale di oppiace illeciti» ma che piuttosto «semplicemente non ha la volontà di farlo».

D’altra parte, il professor Yeh osserva che se Pechino rispondesse ai dazi di Trump con misure per rafforzare il controllo sul fentanyl, questo equivarrebbe a «un’ammissione di aver danneggiato gli Stati Uniti con il fentanyl negli ultimi anni», oltre al fatto che il regime potrebbe trovare ben più vantaggioso indebolire gli Stati Uniti con il fentanyl.

Quanto alla possibilità di una guerra diretta tra Stati Uniti e Cina, in particolare nello Stretto di Taiwan, il professore, che è originario di Taiwan, crede che la posizione militare statunitense nell’Indo-Pacifico e la strategia di Trump sulla Cina «influenzino in modo significativo la prontezza militare della Cina». Vale a dire che, senza una sufficiente certezza di vittoria in un’eventuale invasione di Taiwan, Xi Jinping difficilmente avvierà un conflitto. A meno che il Pcc non si trovi ad affrontare una crisi «irrisolvibile», come un crollo economico di immane portata, o lotte di potere particolarmente feroci interne ai vertici del Partito.

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