Un recente studio, pubblicato su Nature Medicine il 3 febbraio, conferma che minuscoli frammenti di plastica attraversano la barriera emato-encefalica del cervello, causando potenziali impatti sulla salute e sulla funzione cognitiva. I ricercatori dell’Università del New Mexico hanno analizzato campioni prelevati da autopsie eseguite nel 2016 e nel 2024. In soli 8 anni, la quantità di microplastiche nel cervello è aumentata di circa il 50%. I campioni cerebrali del 2024 contenevano una quantità di microplastiche pari al peso di un cucchiaio di plastica.
«Trovare concentrazioni così elevate nel cervello è stato inaspettato e allarmante. Le persone sono esposte a livelli sempre crescenti di micro e nano-plastiche. Il tasso di accumulo riflette l’aumento dell’inquinamento ambientale e dell’esposizione» spiega il ricercatore e tossicologo Matthew Campen.
INQUINAMENTO DA PLASTICA
Lo studio ha rilevato che il cervello contiene da 7 a 30 volte più microplastiche rispetto ad altri organi vitali come fegato e reni, rendendolo uno dei tessuti più contaminati. Analizzando 52 campioni prelevati tra il 2016 e il 2024, i ricercatori hanno riscontrato una concentrazione di circa 5.000 microgrammi per grammo nel cervello, rispetto ai 400 microgrammi in fegato e reni. E nei pazienti con demenza, la concentrazione superava i 26.000 microgrammi per grammo. Alcune particelle erano raggruppate in aree con infiammazione, suggerendo un possibile legame tra microplastiche e danni cerebrali. Tuttavia, sebbene lo studio mostri una correlazione tra microplastiche e demenza, non prova che livelli più elevati di plastica nel cervello causino la malattia. È infatti possibile che sia la malattia stessa a ridurre la capacità del cervello di eliminare la plastica.
I ricercatori hanno identificato 12 tipi di plastica nel cervello. Il 75% del totale è polietilene (PE), comunemente usato in bottiglie, sacchetti e contenitori. Altri tipi di plastica trovati includono materiali utilizzati in imballaggi, parti di automobili, tubature, pavimenti, bottiglie, contenitori, tessuti e altri prodotti industriali. «È significativo che queste proporzioni rispecchino in gran parte i polimeri presenti nel nostro ambiente», spiega Marcus Garcia, coautore dello studio e ricercatore post-dottorato presso l’Università del New Mexico.
Le particelle di plastica trovate nel cervello sono per lo più minuscole schegge e scaglie affilate di dimensioni nanometriche, grandi come la larghezza di due virus COVID affiancati. Ma le microplastiche sono state trovate anche in arterie, cuore, polmoni, sangue e placenta. I ricercatori ritengono che possano entrare nel corpo attraverso l’alimentazione, le bevande e la respirazione. Uno studio pubblicato il 30 gennaio ha rilevato un inquinamento da plastica significativamente più alto nelle placente di nascite premature.
Secondo Garcia, un possibile motivo dell’accumulo nel cervello è che organi come il fegato e i reni sono progettati per filtrare le tossine, mentre il cervello ha sistemi di eliminazione più limitati. Un’altra teoria è che il tessuto cerebrale, composto per circa il 60% da grassi, possa intrappolare più facilmente le particelle di plastica. Questa scoperta solleva anche preoccupazioni sull’uso della plastica in alcune applicazioni mediche, come stent cardiaci o articolazioni artificiali. Secondo i ricercatori il problema principale potrebbe essere rappresentato dalle proprietà fisiche delle particelle di plastica piuttosto che dalla loro tossicità chimica.
IL QUADRO GENERALE
Nonostante l’allarmante aumento delle microplastiche i dati offrono un certo ottimismo. Il fatto che i livelli di plastica siano simili tra persone anziane e giovani suggerisce che potrebbero esserci processi naturali in grado di gestire o eliminare, nel tempo, queste particelle dal corpo. Secondo i ricercatori, molte di queste particelle provengono da plastiche degradate vecchie di decenni che, nel corso degli anni, hanno iniziato a decomporsi nell’ambiente. L’inquinamento da microplastiche sta aumentando rapidamente, con livelli che raddoppiano ogni 10-15 anni. Affrontare le cause di questa contaminazione potrebbe contribuire a rallentare l’accumulo di plastica nei nostri corpi.
Attualmente, non esiste alcun trattamento per rimuovere le microplastiche dal corpo. Per ridurre l’esposizione, i ricercatori stanno indagando sulle fonti ambientali delle microplastiche, inclusi suolo, piante e persino carne. «Non mi sento a mio agio con tutta questa plastica nel mio cervello. Non voglio aspettare altri 30 anni per scoprire cosa succederà se le concentrazioni continueranno ad aumentare», conclude Campen.