Cosa c’è dietro Usaid e i suoi 50 miliardi di budget

di Redazione ETI/Lawrence Wilson
13 Febbraio 2025 10:38 Aggiornato: 13 Febbraio 2025 15:52

L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, Usaid, era sempre stata una delle tante “agenzie” internazionali note solo agli addetti ai lavori, fino a quando non è diventata oggetto di una feroce battaglia tra il potere politico (legale) di chi è un funzionario eletto e il potere politico (fattuale) di una  burocrazia tanto estesa e pervasiva da poter contrastare chi il potere lo esercita su delega del popolo. E al popolo rende conto del proprio operato.

Quando l’amministrazione Trump ha chiuso gli uffici dell’agenzia il 3 febbraio, e in seguito ha messo la maggior parte dei dipendenti in congedo amministrativo, l’Usaid è diventata l’emblema di questo braccio di ferro. Da una parte c’è lo sforzo costante dell’amministrazione Trump di far sì che la pubblica amministrazione si conformi alle direttive del governo; dall’altra ci sono le strenue resistenze di alcuni dipendenti pubblici e dei parlamentari democratici, che definiscono l’azione del governo un pericoloso abuso e che si oppongono con ogni mezzo.

Il 3 febbraio, il presidente Donald Trump ha nominato il ministro degli Esteri Marco Rubio direttore ad interim di Usaid. Il giorno dopo, il presidente ha dichiarato che l’agenzia potrebbe essere chiusa e le sue funzioni trasferite in modo permanente appunto al Dipartimento di Stato.

INFLUENZA E POTERE
Usaid è stata fondata per ordine esecutivo del presidente John Kennedy nel 1961, per promuovere la politica estera degli Stati Uniti offrendo alle nazioni in via di sviluppo assistenza tecnica, aiuto per l’istruzione e assistenza sanitaria e soccorsi in caso di calamità. L’idea era che stabilizzare i Paesi più poveri del mondo avrebbe portato benefici anche ai cittadini statunitensi: una nazione stabile e prospera è un buon alleato, diceva la teoria.

Ad oggi, sostenitori di Usaid continuano a vederla sia come uno strumento essenziale per la politica estera sia come un’espressione tangibile della bontà e della generosità del popolo statunitense. La maggior parte degli osservatori concorda sul fatto che l’agenzia faccia del bene. Relativamente piccola per gli standard di Washington, l’Usaid impiega circa 10 mila persone. E ha un budget annuale complessivo di circa 50 miliardi di dollari.

Secondo il Congressional Research Service, nel 2023, Usaid ha speso 10 miliardi e mezzo di dollari in aiuti umanitari e altrettanti in programmi sanitari in tutto il mondo. Totale: 21 miliardi di dollari.
Un programma che viene spesso pubblicizzato come una brillante storia di successo è l’U.S. President’s Emergency Plan for AIDS Relief, che ha erogato oltre 110 miliardi in totale per contenere la diffusione dell’HIV/AIDS in oltre 50 Paesi: «La maggior parte delle stime è che circa 27 milioni di persone siano vive oggi perché il presidente Bush ha avviato e il Congresso ha sostenuto quel programma», dice Scott Pegg, direttore ad interim del programma Global and International Studies, e preside di Scienze politiche presso l’Indiana University a Indianapolis.

E anche Trump ammette che «parte del denaro è ben speso».

Ma c’è il rovescio della medaglia: Usaid è anche accusata di sprecare milioni e milioni di dollari di tasse in programmi inutili, di rifiutarsi di rispondere alle più elementari domande poste dalle commissioni parlamentari, e persino di remare contro gli obiettivi di politica estera degli Stati Uniti. Il 3 febbraio, la Casa Bianca ha infatti prodotto un elenco di progetti finanziati da Usaid che ha caratterizzato come esempi di spreco e abuso;
cose come 1 milione e mezzo di dollari per «promuovere l’equità della diversità e l’inclusione nei luoghi di lavoro e nelle comunità imprenditoriali della Serbia», 47 mila dollari per «un’opera transgender» in Colombia, 2 milioni e mezzo di dollari per certi veicoli elettrici in Vietnam eccetera.
Il deputato Wesley Hunt ha elencato altri esempi sul social X, tra cui 56 milioni di dollari per promuovere il turismo in Egitto e Tunisia e 27 milioni di dollari per «sacchetti regalo di reintegrazione» per i deportati centroamericani.

Ma c’è di (molto) peggio: fra i beneficiari di sovvenzioni Usaid figurano organizzazioni controllate da terroristi, secondo uno studio del Middle East Forum pubblicato il 1° febbraio, che rileva come 122 milioni di dollari siano andati a gruppi allineati con organizzazioni terroristiche; e vari milioni di dollari risultano finiti nelle tasche di organizzazioni direttamente controllate da Hamas. Usaid è accusata di dare i soldi dei contribuenti a una delle peggiori organizzazioni terroristiche al mondo.

Ma come è possibile? Un rapporto di luglio 2024 dell’Ufficio dell’ispettore generale degli Stati Uniti, ha rilevato varie carenze e vulnerabilità nel processo di verifica di Usaid che dovrebbe impedire ai soldi statunitensi di finire in tasca ai terroristi. In un caso di palese abuso, Usaid risulta aver collaborato con Chemonics, una società di consulenza internazionale, per spendere 9 miliardi e mezzo di dollari per migliorare certe forniture sanitarie; Chemonics avrebbe fatturato all’agenzia fino a 270 milioni di dollari in eccesso e senza nemmeno raggiungere gli obiettivi stabiliti dal progetto.

In seguito sono arrivate 31 incriminazioni per la rivendita illegale di materiali finanziati da Usaid, come denunciato dalla senatrice Joni Ernst che ha chiesto un’analisi indipendente dei beneficiari delle sovvenzioni Usaid. Non solo: la senatrice Ernst ha affermato che Usaid avrebbe anche fornito quasi 1 milione di dollari di finanziamenti al Wuhan Institute of Virology, che la Cia ormai riconosce essere la più probabile sorgente del virus che ha causato la pandemia Covid.

In tutto questo, da decenni Usaid è accusata di resistere alla supervisione del Parlamento federale degli Stati Uniti, sfidandone perfino l’autorità. «L’agenzia ha adottato un modello dimostrato di ostruzionismo», ha scritto la senatrice Ernst in una lettera a Marco Rubio il 4 febbraio. Che parla di false dichiarazioni, secondo cui certi documenti sarebbero stati secretati per ritardare la revisione da parte dei parlamentari, e per ingannare il Parlamento sui costi indiretti dei programmi, spiega la senatrice Ernst, aggiungendo che in alcuni casi, questo “cono d’ombra” ha coperto oltre il 25 percento del totale delle sovvenzioni. Usaid rifiuta di fornire dati sui costi amministrativi, rincara poi la Ernst, e sostiene che fornire certi dati al Parlamento violerebbe delle leggi federali; Usaid dice persino di non avere alcun obbligo di rispondere perché la senatrice Ernst non ha presentato una richiesta formale attraverso un “comitato di giurisdizione”.

Nonostante tutto questo, il deep state, «è più arrabbiato col Doge che cerca di fermare le spese inutili che con Usaid che usa in modo improprio i soldi delle tasse», commenta la senatrice, «questa agenzia mi ha fatto ostruzionismo e ha usato ogni stratagemma esistente per nascondere al popolo americano quello che sta facendo. Ha mentito, fuorviato e ingannato i contribuenti».

E il ministro degli Esteri Rubio è sulla stessa lunghezza d’onda: il 3 febbraio, dopo essere stato nominato direttore ad interim, ha dichiarato: «fondamentalmente si è evoluta in un’agenzia che nemmeno si considera più un’agenzia governativa degli Stati Uniti» ma piuttosto «un ente di beneficenza mondiale», ha detto Rubio in un’intervista a Fox News.
Peggio ancora, Usaid lavora spesso in contrasto con gli interessi degli Stati Uniti, dice Rubio: «Una delle lamentele più comuni […] dai funzionari degli Esteri, dagli ambasciatori e dai diplomatici in generale, è: ‘Usaid non solo non è collaborativa, ma mina il lavoro che stiamo facendo in quel Paese’», a volte promuovendo programmi che anche il governo ospitante ritiene discutibili, spiega Rubio, che parlando di Usaid presso l’ambasciata degli Stati Uniti a El Salvador il 4 febbraio, ha detto: «sono 20 o 30 anni che si cerca di riformarla, ma questa si oppone. Quando eravamo in Parlamento, non riuscivamo nemmeno a ottenere risposte alle domande più elementari sui loro programmi. E questo deve finire».

I parlamentari democratici si sono rivoltati, affermando che chiudere Usaid sarebbe un abuso di potere da parte del Presidente, e promettendo raffiche  di ricorsi e denunce. Il deputato Ilhan Omar parla di «dittatura» e di «destituzione del Parlamento». Rubio risponde sottolineando la gravità della situazione e dicendo che si tratta di riprendere il controllo di un ente gestito da burocrati insubordinati: «non avevamo altra scelta che adottare misure drastiche per riportare la situazione sotto controllo».

Sebbene una riorganizzazione dell’Usaid sembri rientrare pienamente nell’autorità del presidente, chiuderla o metterla direttamente sotto il controllo del Dipartimento di Stato potrebbe non esserlo, secondo il Congressional Research Service. Questo perché, quando è stata creata, nel 1961, Usaid faceva parte del ministero degli Esteri ma, nel 1998, il Parlamento l’ha trasformata in un “ente indipendente” all’interno dell’esecutivo. E un ente indipendente, in quanto tale, non fa parte di altre agenzie. Quindi, nemmeno il Presidente potrebbe scioglierlo né trasferirlo interamente sotto il controllo del ministero degli Esteri, senza l’approvazione del Parlamento.

La via d’uscita potrebbe essere quella di riorganizzare Usaid anziché chiuderla del tutto. D’altra parte, il ministro degli Esteri Rubio per primo ha detto chiaramente, in un’intervista a Fox News, che l’idea non è tanto quella chiudere del tutto quanto piuttosto di «ridimensionare» Usaid, tenendone solo la parte sana.

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