All’inizio, le emicranie di Sara sembravano quelle di un’influenza. Le erano iniziate quando aveva 36 anni, e le procuravano anche dolori muscolari e stanchezza. Col passare del tempo, sono peggiorate, fino procurarle delle crisi che la costringevano a letto anche per una settimana. E i dottori non riuscivano a spiegarle il motivo. Sara era spaventata: «È stato spaventoso dover dipendere da tutti quei farmaci alla mia età. Capivo che non avrei potuto continuare così per tutta la vita».
La sua famiglia la incoraggiava a eliminare possibili cause, come profumi e detersivi, ma senza risultati. Sara aveva quindi iniziato a rinunciare a vari alimenti., ma smettere di mangiare glutine non serviva a molto; mentre ridurre i carboidrati raffinati come zuccheri, pane e pasta le procurava invece un profondo sollievo. Gli specialisti le avevano assicurato che non era il cibo a causarle problemi, ma la sua esperienza le diceva il contrario.
Ma questo solo l’inizio: per Sara resistere al proprio cibo confortante, anche quando le provocava dolore e malattia, sembrava una battaglia senza speranza. La sua guarigione definitiva è arrivata quando è riuscita finalmente ad affrontare e gestire la dipendenza dal cibo: un disturbo complesso e talvolta controverso, strettamente legato agli alimenti ultra-processati e ai loro effetti dannosi sul nostro corpo e cervello.
UN DISTURBO NON RICONOSCIUTO
Quando si smette di mangiare determinati cibi, spesso si manifestano sintomi di astinenza. Diversi studi suggeriscono infatti che gli alimenti ultra-processati, progettati appositamente per essere gustosi, possono creare dipendenza. Il sistema di classificazione alimentare Nova, utilizzato nella ricerca, considera alimenti ultra-processati le bevande zuccherate e gli snack confezionati, i piatti surgelati preconfezionati, le zuppe in scatola, i gelati e gli alimenti a base di carne ricostituita (ossia prodotti ottenuti con una miscela di trombina e fibrinogeno che permette di compattare piccoli pezzi di carne in un’unica pezzatura, utilizzati ad esempio in wurstel assortiti, cotolette/bocconcini di pollo impanati, hamburger ottenuti con carni diverse eccetera).
Spesso pazienti e medici non collegano sintomi come emicrania, dolori articolari e resistenza all’insulina, al cibo. Il sistema medico inizia solo ora a concentrarsi sulla nutrizione e non riconosce ancora la dipendenza dal cibo.
Questa patologia presenta caratteristiche simili all’obesità e al disturbo da alimentazione incontrollata. Ad alcuni pazienti vengono somministrati farmaci o interventi chirurgici per curare l’obesità. Oppure viene diagnosticato un disturbo da alimentazione incontrollata, ma continuano a non sentirsi bene. La dipendenza dal cibo è strettamente legata al cibo industrializzato ultra-processato. Pane, cereali, snack confezionati, bevande zuccherate, fast food e pasti surgelati sono spesso realizzati con una combinazione di zucchero, sale e grassi che innesca quello che viene chiamato ” punto di beatitudine“, ovvero una risposta dopaminergica che ne alimenta il desiderio. Diverse ricerche dimostrano che la reazione delle persone a ingredienti come grassi, zuccheri aggiunti, altri dolcificanti, sale e amido è simile a quella delle droghe: spingono assumere dosi sempre maggiori e sono assorbite rapidamente.
IL CIBO COME “DROGA”
Secondo Ashley Gearhardt, professoressa di psicologia all’Università del Michigan, il cibo ultra-processato è «completamente diverso» dal cibo vero. E dovrebbe essere considerato una sostanza chimica, soprattutto per i bambini. La sua ricerca ha scoperto che il 12% dei bambini e il 14% degli adulti mostrano segni di dipendenza dal cibo.
«Non è solo una questione di calorie. Si comincia a parlare di edonismo, di piacere, di regolazione delle emozioni già da un’età molto giovane», spiega la Gearhardt. «Vediamo che i bambini che mostrano questi segni di dipendenza nel proprio modo di mangiare hanno un indice di massa corporea più alto e una maggiore tendenza a mangiare troppo per bisogni emotivi. Sono meno sensibili ai segnali di sazietà e hanno percentuali di grasso corporeo maggiori».
RIVELAZIONI SULLA DIPENDENZA
Grazie ai video dell’Addiction Reset Community (Arc), un gruppo di supporto online per la dipendenza dal cibo, Sara è diventata consapevole che la causa dei propri problemi fisici sono le voglie alimentari. E per Amy Lammert, infermiera e vicedirettrice dell’Arc, questa rivelazione è stata fondamentale. Aveva sempre mangiato quello che voleva ed era sempre rimasta magra, finché non è diventata mamma. Da lì in poi aveva provato una dieta dopo l’altra senza successo. Nel disperato tentativo di migliorare la propria mobilità, un giorno ha deciso di rinunciare del tutto a tutti i cibi processati e allo zucchero e, nel giro di quattro giorni, il dolore è scomparso. Aveva sempre saputo di avere la tendenza a cadere nella dipendenza, ma la sottovalutava; ora invece Amy dice «La mia droga preferita è lo zucchero».
DISTURBI SOVRAPPOSTI
Non sempre è facile distinguere la dipendenza dal cibo con altre condizioni mediche. Uno studio del 2024 pubblicato sul Journal of Behavioral Addictions spiega le differenze tra obesità, abbuffate compulsive e dipendenza dal cibo. Secondo i risultati dello studio, circa la metà di coloro che hanno avuto episodi di abbuffate compulsive (solitamente i casi più gravi) soffrono anche di dipendenza dal cibo. Per abbuffata compulsiva si intende il consumo di quantità di cibo superiori a quanto considerato normale in una determinata situazione o lasso di tempo, accompagnato da disagio e perdita di controllo.
Le persone affette da disturbo da alimentazione incontrollata spesso seguono periodi di digiuno o dieta per “recuperare” dalle abbuffate. E sono motivati da preoccupazioni relative alla perdita di peso e all’immagine corporea. Sia i disturbi alimentari che la dipendenza dal cibo sono associati a problemi nella risposta di ricompensa del cervello correlata alla dopamina. Questa base neurologica condivisa potrebbe spiegare perché i programmi di perdita di peso spesso non sono utili per le persone obese che lottano anche contro la dipendenza dal cibo. Secondo lo studio, distinguere tra questi disturbi potrebbe portare a «valutazioni personalizzate e trattamenti su misura».
COME USCIRE DAL TUNNEL
Secondo la dietista H. Theresa Wright, la chiave per combattere la dipendenza dal cibo risiede nell’astensione dal consumo di zucchero e farina, così come dai cibi che causano sensibilità individuali: «Astinenza significa non usare più il “cibo-droga” usato finora. Significa concentrarsi sull’uso di qualcosa di diverso dal cibo per gestire i propri sentimenti». La dietista considera inoltre necessario introdurre il riposo nella propria vita, altrimenti si rischia di ricorrere al cibo per sopperire alla mancanza di energia e alla conseguente tensione. Infatti, lo stress non gestito può rappresentare un fattore di rischio per la dipendenza dal cibo, in quanto può indurre a fare affidamento sulla natura iper-appetibile del cibo per indurre cambiamenti chimici positivi nel cervello.
La dipendenza dal cibo è spesso profondamente legata a problemi emotivi o mentali che possono emergere quando si interrompono pratiche alimentari scorrette; la terapia cognitivo-comportamentale è spesso una parte fondamentale perché da degli strumenti che aiutano a regolare la salute emotiva e a modificare modelli di pensiero distruttivi.
Secondo Joan Ifland, dottoressa in dipendenze alimentari, non riconoscere la dipendenza dal cibo spinge a desiderare costantemente cibi che danneggiano la propria salute metabolica e possono provocare obesità, diabete di tipo 2, colesterolo, pressione alta e malattie cardiache. Secondo uno studio del 2022 pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology, solamente il 7% circa degli adulti gode di una salute cardiometabolica ottimale. Poiché moltissime persone mangiano cibi ultra processati, il cervello è condizionato a percepire questi cibi come “normali” e a resistere invece al comportamento, divenuto purtroppo più insolito, di mangiare cibi sani.
Le informazioni e le opinioni contenute in questo articolo non costituiscono parere medico. Si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante e/o con specialisti qualificati.