La dieta carnivora fa bene o fa male?

di Gabriele Terenzani
7 Febbraio 2025 17:44 Aggiornato: 7 Febbraio 2025 17:44

Nutrirsi di sola carne. Sembra un approccio estremo, eppure sempre più persone stanno sperimentando una dieta carnivora con l’obbiettivo di migliorare la propria salute. Nel mondo dell’alimentazione è in corso un acceso dibattito sui rischi e benefici di questo particolare modello alimentare.

Molti sollevano dubbi sulla mancanza di vitamina C, sulla sostenibilità a lungo termine o sull’eccessiva restrizione delle fonti. Il contesto e le situazioni specifiche sono fondamentali per trarre delle conclusioni ragionevoli. In questo articolo cerchiamo di capire meglio i dettagli e le implicazioni di un’alimentazione animal based.

MANCANZA DI PROVE

Alcuni sostengono che non esistono prove a sostegno di una dieta carnivora. In realtà, sono stati pubblicati diversi articoli di ricerca a riguardo, tra cui ad esempio un recente studio di indagine di Harvard che include 2.029 partecipanti e nel quale si afferma: «i partecipanti hanno riportato alti livelli di soddisfazione e miglioramenti nella salute generale (95%), benessere (66%-91%), varie condizioni mediche (48%-98%)». Inoltre il dottor Nicholas Norwits, che ha conseguito un dottorato di ricerca sulla salute metabolica, ha recentemente pubblicato due serie di casi studio riguardo la dieta carnivora in relazione alla malattia infiammatoria intestinale e all’anoressia nervosa.

«Bisogna premettere che questo tipo di dieta è relativamente giovane e la ricerca è in una fase iniziale. Infatti, non sono ancora stati condotti studi randomizzati controllati sulla dieta carnivora. Di conseguenza, prima che la medicina convenzionale possa raccomandare una dieta carnivora per curare disturbi specifici, come le patologie autoimmuni e infiammatorie sarà necessario attendere uno studio randomizzato. Ma è più facile a dirsi che a farsi, soprattutto considerando lo stigma che circonda una dieta carnivora e, ancora di più, il fatto che Big Pharma non spenderà mai 10 milioni di dollari per una sperimentazione dietetica che non farà guadagnare né loro né il sistema sanitario. Non si tratta di una critica all’industria sanitaria o alla medicina convenzionale: è semplicemente la realtà», spiega il dottor Norwitz.

CARENZA DI VITAMINA C

Assumere la dose giornaliera raccomandata (Rda) di vitamina C (75-90 microgrammi) mangiando solo carne è difficile. Questo è un fatto. Nella carne di manzo fresca nutrita a erba sono presenti circa 25 microgrammi/g di vitamina C. Quindi, mangiare 900 grammi di carne al giorno fornisce circa 18 mg di vitamina C, ben al di sotto della Rda (25ug/g*204g/kg*900g)/1.000 = 18mg).

Tuttavia, ciò non significa che si svilupperà necessariamente una carenza di vitamina C o la patologia associata, cioè lo scorbuto. Infatti, già nel 1906, l’esploratore Vilhjalmur Stefansson ha vissuto nell’Artico con gli Inuit per diversi mesi conducendo una dieta quasi interamente carnivora, e rimanendo in ottima salute generale. E senza ammalarsi di scorbuto. Inoltre, Stefansson ha condotto un esperimento in cui per un anno, insieme a un collega, ha mangiato soltanto carne e definendo sé stesso in «buone condizioni fisiche [senza] alcuna prova soggettiva o oggettiva di alcuna perdita di vigore fisico o mentale».

Una spiegazione è che i fabbisogni nutrizionali specifici cambiano a seconda del proprio stato metabolico. «Dovremmo semplicemente esserne consapevoli e non dare per scontato che se l’assunzione di un nutriente non raggiunge il “valore raccomandato”, sarà lo stesso anche in uno stato metabolico diverso – spiega il dottor Norwitz – Ad esempio, l’assunzione di zucchero può ridurre l’assorbimento di vitamina C. Quindi, quando si segue una dieta a bassissimo contenuto di carboidrati e senza zucchero, il fabbisogno di vitamina C potrebbe essere ridotto. Inoltre, i sistemi antiossidanti dell’organismo, compresi gli antiossidanti endogeni (come il glutatione) e quelli esogeni (come la vitamina C), per rinnovarsi si affidano a una molecola chiamata NADPH. La restrizione dei carboidrati fino al raggiungimento della chetosi può aumentare i livelli di NADPH. In questo modo la vitamina C potrebbe essere riciclata in modo efficace», spiega Norwitz. La chetosi è quel processo fisiologico per cui il metabolismo trae energia non dai carboidrati ma dai grassi (preferibilmente animali).

UN INTESTINO SANO HA BISOGNO DI FIBRE

Diversi studi suggeriscono che l’eliminazione delle fibre alimentari, come legumi e verdure, può aiutare a gestire i sintomi della sindrome dell’intestino irritabile (IBS) con stitichezza. E può addirittura aiutare a mettere in remissione la malattia infiammatoria intestinale (IBD). Quindi, in alcuni casi, eliminare le fibre può essere addirittura terapeutico.

Il dottor Ken Berry, medico di famiglia del Tennessee con oltre 20 anni di esperienza ritiene che non esista un quantitativo di fibra giornaliero ideale e che le generiche raccomandazioni alle quali siamo abituati siano basate su teorie e non su studi randomizzati controllati e una ricerca effettiva su reali esseri umani. Anche il dottor Robert Cywes, che esercita in Florida ed è specializzato nella gestione del peso e chirurgia bariatrica, con oltre 8.000 interventi all’attivo, ritiene che le fibre non siano necessarie nella dieta umana: «Il nostro intestino scompone il cibo usando principalmente gli enzimi (la digestione enzimatica riguarda principalmente prodotti animali) e non ha la capacità di fermentare, al contrario degli animali ruminanti».

Tuttavia, gli esperti ritengono che mangiare piccole quantità di fibra, sporadicamente, non rappresenti un problema. Ma se si esagera il rischio è un aumento di gas, gonfiore, stitichezza, diarrea o crampi.

CALO DELLE PRESTAZIONI ATLETICHE

Inoltre, un nuovo studio sugli atleti di Ironman ha sfatato il mito che l’organismo abbia bisogno di un elevato apporto di carboidrati durante l’esercizio intenso per mantenere prestazioni ottimali. Questo perché dopo che il corpo si adatta alla restrizione di carboidrati, la capacità di bruciare i grassi aumenta. È tuttavia corretto precisare che in questo studio è stata somministrata una dose molto bassa di carboidrati, ma solo per compensare l’ipoglicemia indotta dall’esercizio fisico estremo. E ancora non è chiaro se l’atleta professionista abbia davvero necessità di carboidrati.

In sintesi, la “stanchezza” e la riduzione delle prestazioni atletiche non sono causate tanto dall’esaurimento del glicogeno muscolare, quanto da un meccanismo del sistema nervoso centrale che può essere “hackerato” semplicemente somministrando una piccola quantità di carboidrati (circa mezzo cucchiaino di miele ogni 20 minuti) durante l’esercizio fisico ad altissima intensità per evitare un calo dell’afflusso di sangue. È inoltre probabile che la dose necessaria potrebbe essere ancora più bassa (o addirittura nulla) negli atleti adattati a una dieta chetogenica da lungo tempo (mesi).

CARNE TUTTI GIORNI = INFARTO

Una dieta ricca di carne rossa e grassi saturi può aumentare i livelli di colesterolo LDL (LDL-C) e del marcatore associato ApoB, entrambi fattori di rischio indipendenti per le malattie cardiache. Tuttavia, la misura in cui questo aumento si verifica è altamente soggettiva.

Alcune persone vedono addirittura diminuire i livelli di LDL-C e ApoB, soprattutto se la condizione di partenza è l’obesità e la resistenza all’insulina. Invece, per chi segue una dieta chetogenica o carnivora e riscontra un aumento di questi valori (in genere persone magre e sensibili all’insulina), è in corso uno studio prospettico che utilizza l’angiografia TC coronarica per vedere la rapidità con cui potrebbe svilupparsi una placca.

Il dottor Norwitz, co-autore dello studio in questione (il più letto sul Journal of the American College of Cardiology (JACC) Advances nel 2024) spiega: «Vale la pena sottolineare che sono molti i fattori di rischio per le malattie cardiache (grasso viscerale, resistenza all’insulina, infiammazione, trigliceridi e HDL-C) che possono essere migliorati con diete a bassissimo contenuto di carboidrati, comprese quelle carnivore. Ma la verità è che le persone reagiscono in modo diverso. Quindi, è meglio monitorare i propri biomarcatori e considerare il proprio caso specifico, piuttosto che fare supposizioni». Per cui è meglio «informarsi sui propri rischi personali», chiosa il dottor Norwitz.

MANGIARE SOLO CARNE È UN DISTURBO ALIMENTARE 

I disturbi alimentari sono definiti come “modelli alimentari restrittivi che compromettono la salute fisica o mentale”. Quindi, se una persona che segue una dieta carnivora guarisce o va in remissione da una malattia cronica debilitante, che sia obesità, diabete, depressione, schizofrenia, malattia infiammatoria intestinale, la dieta ha chiaramente avuto un impatto positivo sulla salute fisica o mentale. E non si può considerare un disturbo alimentare ma un modello alimentare adattivo, a patto che sia formulato in modo sostenibile. E una dieta carnivora può esserlo. Mangiare in modo “diverso” non è un disturbo alimentare. In effetti, se si considera cosa si intende per “normale” al giorno d’oggi, alcuni modelli alimentari cosiddetti normali potrebbero a loro volta riflettere un disturbo alimentare.

CONCLUSIONE

Uno dei motivi per cui la dieta carnivora, o il consumo di carne rossa in generale, riceve così tante critiche è perché questo modello alimentare è in conflitto con altri argomenti o convinzioni specifiche. La dieta carnivora rappresenta, per diversi medici, un potente strumento per regolare l’equilibrio metabolico, con casi d’uso particolari che meritano ulteriori approfondimenti e rigorose indagini scientifiche. La carne rossa e gli alimenti di origine animale vengano spesso e ingiustamente usati come capri espiatori; alla prova dei fatti, benché la dieta carnivora non sia una panacea valida per tutti, sicuramente mette in discussione le fondamenta del paradigma nutrizionale convenzionale.

 

Le opinioni espresse in questo articolo non costituiscono parere medico, si consiglia di confrontarsi sul tema col proprio medico curante. 

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