Yum fast food, di veloce c’è rimasta solo la caduta

La strategia di ritirarsi dal mercato cinese, elaborata attentamente dal Gruppo Yum Brands Inc, leader mondiale del fast food deve far fronte a numerosi ostacoli. Il mese scorso, un cartello formato da China Investment Corp (CIC) e dalla società a capitale privato americana KKR & Co ha improvvisamente abbandonato la sua offerta d’acquisto del pacchetto maggioritario delle attività in Cina della società Yum Brands.

Diverse ragioni da entrambe le parti hanno portato a questa decisione, compresa l’analisi delle difficoltà legate al rimpatrio degli utili per Yum Brands, così come la preoccupazione degli acquirenti in merito al rendimento, tenuto conto del calo dell’economia cinese. L’azienda attiva nel fast food deve ora rivedere la sua strategia di crescita in Cina annunciata il marzo scorso per la fine del 2016 

ASCESA E CADUTA

La situazione di Yum in Cina è precipitata velocemente. Per anni Yum Brands è stato un esempio perfetto di quello che le imprese americane sperano di fare in Cina. Yum Brands, proprietario di KFC (Kentucky Fried Chicken, è la più famosa catena di ristorazione statunitense specializzata in pollo fritto, ndt), Taco Bell e Pizza Hut è la prima catena di fast-food in Cina, con 5 mila punti vendita KFC e 1900 ristoranti Pizza Hut in tutto il Paese.

Tuttavia, nel corso degli ultimi tre anni, la filiale Yum in Cina ha dovuto affrontare molti problemi, compresi quelli legati alla qualità e alla sicurezza dei prodotti alimentari venduti nei punti KFC, insieme alla concorrenza feroce delle altre catene di fast-food. La quota di mercato del KFC, senza dubbio il più grande marchio di fast-food in Cina, è quindi diminuita dal 5,2 per cento del 2010 al 3,5 per cento nel dicembre 2015.

Il fatturato nello stesso tipo di ristoranti – indice di misurazione del rendimento comunemente utilizzato nel commercio al dettaglio – sono state negative per Yum Cina nel 2014 e nel 2015, sebbene siano cresciute del 6 per cento nel primo trimestre del 2016.

Questo si spiega in parte con la strategia di una pubblicità aggressiva attuata dal KFC sul Nuovo Anno cinese.

IL CALO DELLA CRESCITA

La Cina rappresenta il maggiore mercato nel mondo per la società Yum Brands. Nel 2015 Yum Cina ha realizzato quasi 5 miliardi di euro di vendite e 670 milioni di euro di margine, e questo rappresenta rispettivamente il 61 per cento e il 39 per cento degli introiti mondiali.

Sebbene Yum Cina sia il settore più importante di Yum Brands, è sempre più difficile gestire le sue attività sul mercato cinese. La Cina e il resto del mondo rappresentano due mercati diversi con esigenze diverse. A causa delle pressioni da parte della società d’investimento Corvex Management,

il cui fondatore fa parte del consiglio d’amministrazione di Yum Brands, quest’ultimo ha annunciato l’intenzione di dividere l’azienda in due differenti società. Considerate le numerose difficoltà incontrate in quel Paese, Yum ha quindi deciso di ritirarsi dalla Cina.

A parte il rallentamento dell’economia cinese, Yum ha perso quote di mercato a favore di McDonald e deve far fronte alla concorrenza agguerrita delle catene locali come Hua Lai Shi e Ting Hsin International, che stanno avanzando rapidamente.

La svalutazione del 6 per cento dello yuan in rapporto al dollaro – e l’ulteriore calo previsto – significa poi che ci saranno ripercussioni sulle finanze della casa madre, che calcola i suoi utili in dollari.

La Reuters ha stimato il patrimonio di Yum in Cina tra gli 8 e gli 11 miliardi di dollari, ossia 8-11 volte i suoi profitti annui di un miliardo di dollari. Questa cifra è probabilmente più alta di quanto CIC e KKR siano disposti a pagare, sebbene lo scorso aprile, Keith Meister della Corvex Capital abbia dichiarato in un’intervista alla CNBC che «la vendita da parte del consiglio di amministrazione della Yum per 7 o 8 miliardi di dollari non è un buon affare», influenzando notevolmente la quotazione azionaria di Yum Cina.

IL PERICOLO PER LA CINA

A parte i rischi economici, ci sono anche dei rischi sociali e politici nella gestione di un’importante azienda straniera in Cina. La sicurezza alimentare è una preoccupazione molto grande in questo Paese: nel 2014, la Cina ha denunciato alcuni punti vendita di KFC con l’accusa di vendere carne contaminata. L’azienda ha liquidato il suo fornitore, Shanghai Husi Foods, ma le conseguenze di questa vicenda sono state pesanti.

Nonostante le numerose campagne pubblicitarie dirette a convincere i cinesi che i cibi di Yum Cina siano buoni, gli introiti della società sono rimasti stabili e l’utile operativo nel 2014 è diminuito.

La catena KFC non è stata la sola a essere implicata in questo scandalo: anche le americane McDonald, Burger King, Starbucks e Papa John hanno avuto ripercussioni per aver acquistato prodotti a base di carne da Shanghai Husi, filiale del Gruppo OSI con sede negli Stati Uniti.

Lo scandalo è scoppiato a opera dei media ufficiali cinesi, dopo che un giornalista aveva visto degli operai di Shanghai Husi mischiare della carne andata a male con prodotti di carne fresca.

In un precedente scandalo del novembre 2012, i media ufficiali cinesi avevano accusato i fornitori locali di KFC di iniettare ormoni della crescita e antibiotici nel pollame per accelerarne la crescita. In entrambi i casi, i media avevano pubblicato dei servizi e le catene di ristorazione straniere ne avevano risentito. 
La sicurezza alimentare è la preoccupazione maggiore per tutti i ristoratori in Cina, a causa della mancanza di controlli e della frammentazione dei fornitori di prodotti alimentari.

A ogni modo, Pechino non fa mistero del suo recente programma volto alla riduzione della crescita delle aziende straniere e alla promozione delle imprese nazionali nello stesso settore economico.
Il rischio di trovarsi in condizioni concorrenziali svantaggiose, per multinazionali che operano in Cina, è un fatto da tenere presente e probabilmente è quanto hanno fatto i dirigenti, prima di decidere di chiudere Yum Cina.

L’ENTRATA IN BORSA

In assenza di acquirenti immediati, Yum Cina potrebbe attuare il suo progetto iniziale e lanciare una IPO [Initial Public Offering, offerta pubblica iniziale, ndr] sulla Borsa Usa.

Bloomberg ha riferito che i dirigenti di Yum stanno considerando l’eventualità di una doppia quotazione a New York e a Hong Kong con la prospettiva, a un certo punto, di trasferirsi del tutto alla borsa di Hong Kong.

La quotazione negli Stati Uniti non darebbe a Yum Brands la qualifica di investitore faro che cercava di ottenere presso la China Investment Corporation. Ma consentirà a Yum Cina, che potrà contare su Yum Brands per le licenze e per altre forme di assistenza, di offrire a Yum Brands una migliore soluzione fiscale per rimpatrio degli utili.

Dieci anni fa, sembrava impossibile che Yum Cina potesse essere disprezzata dagli investitori cinesi. Sic transit gloria mundi.

 
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