Willem Buiter: no ai soldi dei contribuenti per salvare le banche

L’economista-capo di Citigroup, Willem Buiter, non è un’economista come tanti e, per essere uno che lavora per una delle maggiori banche al mondo, non usa mezzi termini.
Epoch Times lo ha già intervistato sui problemi legati alla svalutazione e alla sovraccapacità produttiva dell’industria cinese, e ora gli ha chiesto la sua opinione sul Brexit e le sue conseguenze, oltre che sulle banche europee (italiane, soprattutto) a rischio bancarotta e sulla necessità di non salvarle con i soldi dei contribuenti.

Perché la Brexit è responsabile della caduta dei prezzi delle azioni nelle banche europee, e della volatilità nei mercati finanziari?

Il settore bancario europeo, tranne alcune eccezioni – comunque diffuse un po’ ovunque – al momento manca di capitali. Questo fatto può essere nascosto, con soluzioni temporanee, col metodo dell’aspetta e spera e cose simili, finché le condizioni del mercato rimangono ‘ordinate’.

La gente dimentica i rischi delle forti leve finanziarie e dei coefficienti patrimoniali ponderati per il rischio, che probabilmente fanno sopravvalutare la quantità di capitale che uno ha, dato che i fattori di ponderazione del rischio sono molto ingannevoli, ed è anche probabile che evaporino quando il rischio cresce davvero.

Quindi la Brexit ha ricordato a tutti della fragilità dell’Unione Europea e dell’eurozona. Se può avvenire la Brexit, può avvenire anche la Frexit. Questo avrebbe un effetto immediato sulle banche transfrontaliere, quelle che hanno avuto un’esposizione significativa in varie parti dell’area euro. Potrebbero essere improvvisamente soggette ad ampie fluttuazioni della moneta, mentre verrebbero create dal nulla nuove valute.

Questo colpisce le banche europee tanto quanto la fragilità del Regno Unito, i cui rischi di rottura colpiscono prima di tutto le banche britanniche stesse.

Cosa accadrà alla Gran Bretagna?

Beh, per la sterlina le conseguenze sono note, no? Prima era sul dollaro e 40, e ora è a 1,30 e probabilmente scenderà ancora. Quindi senza dubbio è un grosso colpo. Un grosso colpo all’attività economica della Gran Bretagna, un colpo che consta di recessione e contrazione, ed è dovuto semplicemente all’incertezza sul futuro.

In cosa consiste la nuova relazione con l’Unione Europea e quella con il resto del mondo? Cosa accadrà al Regno Unito?

Gli investimenti declineranno rapidamente. I tassi di risparmio saliranno, di fronte all’aumento dell’incertezza. La più colpita sarà probabilmente Londra: non avrà il passaporto dell’Ue, allora le banche britanniche si ritroveranno in una situazione di notevole svantaggio competitivo.

Se i Paesi dell’Ue cercheranno di nuovo di restringere la possibilità di Londra di commerciare internamente con i derivati in euro e gli euro instruments, sarà un problema.

Entro certi limiti si può trovare una compensazione. Il Cancelliere dell’Exchequer ha già annunciato un piano per tagliare le aliquote fiscali a livelli simili a quelli irlandesi.
La chiave è la possibilità di incominciare la guerra delle normative con l’Ue, offrendo termini e condizioni per le istituzioni bancarie e finanziare finalizzate a rendere attraente la permanenza in Gran Bretagna.

Comunque, anche queste cose hanno conseguenze: se si diventa un ‘paradiso’ deregolamentato, si diventa finanziariamente fragili. L’abbiamo già visto in passato. Quindi penso che non ci sia alcun posto dove ‘nascondersi’. Questa è al 100 per cento una brutta notizia per il Regno Unito e per Londra.
Specialmente se la cosa si allargasse e se vi fosse un rischio di effetto domino, con conseguente spezzettamento dell’Europa, allora sarebbe una cattiva notizia per il resto dell’Ue. Sorgerebbe ancora la stessa identica incertezza.

Gli investimenti diminuiranno, i tassi di risparmio aumenteranno, e la voglia di correre rischi diminuirà. Questa è una cattiva notizia al 100 per cento: non c’è nessun lato positivo.

Perché le banche europee sono così vulnerabili?

Non c’è stata alcuna ricapitalizzazione adeguata del sistema bancario dell’area euro. Ci sono ancora grossi buchi, a livello di capitale. Il gioco di rinviare e far finta di niente entra periodicamente in crisi e adesso è uno di questi momenti.

Ora le banche italiane sono a rischio, e si teme anche per le banche tedesche. Fino a che il problema non verrà affrontato e le banche non riceveranno una giusta ricapitalizzazione, non potranno consolidarsi. In realtà sono poche le banche interessate, e si tratta soprattutto di gruppi bancari transfrontalieri inseriti nell’unione bancaria europea.

A meno che non si ottenga la ricapitalizzazione, le banche europee faranno da freno alla crescita, e saranno fonte di instabilità finanziaria sistemica, non solo in Europa ma nel mondo, per diversi anni.

Come hanno fatto le banche europee a finire in questo stato, con scarsissimo capitale e un tante attività potenzialmente cattive?

Evidentemente, chi è responsabile delle normative nazionali non è all’altezza. Ci sono stati numerosi casi di enti di vigilanza che sono finiti a fare gli interessi dei soggetti che avrebbero dovuto sorvegliare.

La Banca centrale europea (Bce) ora ha preso in carica la supervisione delle 128 più grandi banche. Ci vorrà un bel po’ prima che faccia la stessa fine: questo è il momento di fare davvero le riforme.
In qualche modo sono fiducioso che ci sia un’apertura, ora che gli interessi nazionali non possono più fermare in automatico il necessario consolidamento, la necessaria ricapitalizzazione e la necessaria chiusura delle banche, dato che ce ne sono troppe in Europa.

È possibile che verrà iniettata nel sistema la giusta quantità di capitale che serve, ma il problema è da dove venga questo capitale.

Le banche sarebbero molto felici della ricapitalizzazione, qualora fossero i contribuenti a metterci i soldi. Se invece venissero dalle tasche dei creditori chirografari [cioè i detentori dei bond delle banche, ndr] allora naturalmente le banche non vorrebbero saperne perché, tecnicamente, significherebbe trovarsi in una situazione di insolvenza.
Anche se non deve per forza essere lunga, e anzi potrebbe essere tutto risolto in un weekend, quella sulla volontà di affrontare l’inadeguatezza del capitale facendo pagare chi dovrebbe pagare (cioè i creditori chirografari e non i contribuenti) è una guerra che si combatte ancora ferocemente in Europa.

La soluzione giusta da una prospettiva di incentivo, è chiaramente il bail-in, in cui i creditori chirografari, chiunque essi siano, paghino. Gli investitori istituzionali, i grandi investitori, subiranno un contraccolpo e questo va bene. Il Signore li ha fatti proprio per quello.
Se si vuole un alto rendimento, bisogna prendersi dei rischi, e non si può avere una cosa senza l’altra, o almeno non si dovrebbe potere.

In Europa, le banche sono abituate da decenni, ad avere, di fatto, il sostegno dei Paesi sovrani, cosa che ha permesso loro di prendersi dei rischi che non avrebbero dovuto, dando per scontato – sia loro che i loro creditori – l’arrivo di un futuro bail out. Ora è il tempo di mettere fine a quel modo di pensare.

Che dire delle banche statunitensi?

Anche lì, penso che se le banche non vengono adeguatamente capitalizzate, la prima cosa sarebbe il ricorso ai creditori chirografari. Ma dev’essere messo in atto un meccanismo tale che si possa fare senza distruggere il settore bancario. Bisognerebbe raccogliere il dovuto dai creditori della banca, dagli azionisti della banca, senza distruggere l’intermediazione fornita dalle banche.

Dubito che questo possa essere tradotto in pratica, al momento. Penso che negli Stati Uniti e in Europa ci sia ancora un chiaro problema di ‘troppo grande per fallire’, e non riguarda solo le banche, ma anche molte altre istituzioni finanziarie.

Si ricordi che sono state le compagnie assicurative a proprietà statale – come Fannie Mae e Freddie Mac – negli Usa, che si sono rivelate troppo grandi per fallire e che sono state salvate dai contribuenti. È davvero il momento di fermare questa cosa, da una prospettiva di giustizia e anche da una prospettiva di efficienza, perché disallinea il rischio.
E nessun premio per chi vuole farsi un giro gratis a spese dei contribuenti.

Articolo in ingleseCitigroup Chief Economist Explains Brexit

 
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