La piovra che strangola lo sport, continua il viaggio nell’industria del doping

Industrie che producono farmaci principalmente per il mercato illecito, laboratori underground fatiscenti, sostanze illegali inviate in busta anonima e possibili collusioni tra doping e autorità: dopo le esaurienti spiegazioni sulle responsabilità dei produttori di farmaci, Epoch Times ha pubblicato gli approfondimenti che il maresciallo del Nucleo Anti Sofisticazioni dell’Arma dei Carabinieri, Renzo Ferrante, ha affrontato, riportando anche un caso osservato personalmente in Italia. Alla fine, il maresciallo Ferrante suggerisce un possibile approccio per cercare di debellare questo fenomeno.

Maresciallo Ferrante, ha parlato di tre forme di organizzazione che producono farmaci dopanti: la produzione industriale ‘etica’, quella ‘dedicata’ in strutture di buon livello tecnologico e i laboratori clandestini.

Non sono definizioni derivate da una nomenclatura tecnica ufficiale. Io ho dato questa accezione di ‘etico’ non tanto per sottolinearne l’aspetto morale quanto per chiarire che hanno uno scopo etico, cioè di curare. È opportuno essere precisi sui termini, in modo che vengano interpretati in modo giusto.

Nella produzione industriale ‘etica’ i farmaci nascono quindi per curare ma possono essere dirottati per altri scopi, in questo caso l’aumento delle prestazioni fisiche. Poi esiste la produzione industriale ‘dedicata’.

Ho avuto modo di visionare filmati e immagini. Le confermo che esistono facility di livello industriale, costituite con lo scopo principale (ma magari non esclusivo) di produrre per soddisfare le esigenze del mercato illegale.

Ne ha trovata qualcuna in Italia?

No assolutamente, anche perché sono realtà difficili da nascondere, sarebbero difficili da nascondere e quindi facilmente oggetto di attività repressiva. È invece possibile trovarne viaggiando verso est, fin alle porte dell’Europa.

Se queste strutture operano alla ‘luce del sole’ o quasi, ci deve essere una collusione con le autorità?

Certo, il problema esiste. Va poi considerata la larghezza delle maglie legislative: perché se è vero che generalmente, nel mondo, l’assunzione di doping da parte di un atleta non costituisce reato (a differenza dell’Italia e di poche altre nazioni), la maggior parte dei Paesi punisce il traffico di queste sostanze. È chiaro che anche laddove esiste una normativa, la stessa venga rispettata; mentre in Italia il problema viene affrontato immediatamente, vi sono Stati in cui far chiudere gli occhi a chi è preposto a controllare e impedire certi illeciti è molto facile. È evidente che mi riferisco a Paesi dove, al di là della sensibilità ridotta su questo problema (rispetto a problematiche più pressanti), è facile pagare per far tenere gli occhi chiusi; sono Paesi dove le paghe di doganieri e poliziotti e in generale dei funzionari e delle autorità pubbliche preposte sono da fame o poco più, e quindi diventa facile garantirsi l’impunità pagando.

Il professor Sandro Donati in un’intervista precedente a Epoch Times aveva spiegato che a tutt’oggi la Cina dovrebbe essere il maggior produttore al mondo di farmaci destinati all’uso dopante.

Il problema sta a monte, cioè nella produzione dei principi farmacologicamente attivi. Il farmaco è un prodotto industriale oggetto di una trasformazione che può essere prodotto ovunque. La produzione di massa è quella dei principi attivi e su questo si può dire che sicuramente la Cina riveste un ruolo di primo piano. Per quanto riguarda il farmaco, ossia il prodotto della trasformazione, ci sono altre provenienze importanti. Il mercato cinese è preponderante per quanto riguarda la produzione del principio attivo, cioè la molecola, che poi ha la sua efficacia dentro la compressa o nella fiala. Stesso discorso potrebbe essere fatto per l’India.

I principi attivi vengono prodotti nelle strutture che lei ha definito «dedicate»?

La mia cognizione diretta di impianti ‘dedicati’ riguarda solo stabilimenti di produzione di medicinali. Sulla capacità di un’azienda produttrice di principio attivo di stare sul mercato ‘lecito’ e di non doversi quindi nascondere pesa anche la questione dei brevetti. Il principio attivo è talvolta una molecola coperta da brevetto registrato da un’impresa farmaceutica in esito a ricerca e sperimentazione. Naturalmente parliamo di nuove molecole, che per un certo periodo di tempo dovrebbero essere prodotte solo da chi le ha inventate o ne ha ottenuto licenza. Esistono poi Paesi dove la normativa del brevetto viene ignorata o comunque poco applicata. La scelta del luogo in cui impiantare le fabbriche è influenzata quindi anche da questo fattore. È chiaro che parliamo di realtà industriali poiché vengono prodotti chili e chili di principio attivo.
Si tenga presente che il quantitativo di principio attivo contenuto in un unità di farmaco è pochissimo. Non escludo che possano esistere stabilimenti che producano sostanze per poi destinarle alle case farmaceutiche ufficiali e ai produttori della filiera illecita. Si rammenti che stiamo parlando di una fase iniziale, in cui è fabbricata la molecola e non la compressa o la fiala. Passando allo step successivo, se il destinatario del principio attivo è l’industria farmaceutica ufficiale, è ragionevole pensare che esista sicuramente anche un controllo sullo stabilimento d’origine. Se il destinatario di questa produzione è invece il mercato nero, anche le garanzie che la materia prima sia idonea (ossia che segua buone tecniche di produzione, eccetera) sono minori. Essenzialmente sono comunque grossi produttori di principio attivo.

I due mercati di cui ha parlato sono quelli del principio attivo e quello dei farmaci?

Sì, il farmaco rappresenta l’oggetto dell’assunzione, il prodotto finito. Il principio attivo è la base che comunque assicura l’effetto dopante. In questo settore la Cina sicuramente è un produttore mondiale di rilievo. Tenga presente che dal punto di vista investigativo parliamo di un Paese con cui non risulta sempre facile collaborare, così come sperimentato anche dalle Agenzie investigative americane durante Operazione Underground; forse, trattandosi di un settore industriale rilevante, non sono entusiasti di limitarlo. Uno degli obiettivi di chi cerca di affrontare il problema a livello globale è cercare di convincere Paesi come questo a collaborare, per riuscire quantomeno a isolare la parte clandestina. Come dire: “Aiutateci a capire quanta parte di quello che producete esce fuori dal canale produttivo e commerciale lecito e va a finire ai produttori clandestini”. Stimolare la Cina a impegnarsi in questo senso è stato un compito al quale di recente, e ‘in punta di piedi’, ha collaborato il mondo sportivo, nella fattispecie la Wada [l’Agenzia mondiale Antidoping, ndr]. Questo è avvenuto ad esempio proprio durante l’operazione Underground, in cui è stato chiesto alla Cina e ad altri Paesi produttori di principi attivi protagonisti dello sport ufficiale (anche a livello olimpico), di dimostrare la loro credibilità fornendo un contributo alla lotta ai traffici illeciti destinati al doping, allo stesso modo con cui gli è richiesto di essere severi e seri nel reprimere il doping tra gli atleti.

La Cina nel 2015 ha ottenuto le Olimpiadi invernali.

In queste decisioni possono entrare in gioco vari tipi di variabili che influenzano poi l’aggiudicazione di questo tipo di kermesse. È chiaro che avere un comportamento coerente e chiaro, prendere una posizione trasparente su questa problematica può essere un biglietto da visita per i Paesi che si presentano alle Olimpiadi. Non sarà sicuramente l’unico elemento che viene valutato, ma sicuramente può costituire un buon biglietto da visita.

Sembra quasi che i Paesi che hanno avuto più rapporto con il doping siano quelli poveri o le dittature, si pensi per esempio all’Urss o alla Germania dell’Est. Secondo lei esiste una correlazione?

L’aspetto nazionalistico della vittoria sportiva non è difficile da cogliere anche nella storia. Nella cerimonia d’inizio delle Olimpiadi, le delegazioni nazionali entrano nello stadio precedute dalla propria bandiera; a qualcuno potrà apparire retorico, ma una parte del biglietto da visita di ogni Paese è la gloria sportiva: dà fama, visibilità, un’immagine di efficienza, di prestanza legata alla potenza della Nazione; è un tipo di retorica nazionalista che è facile ricordare anche nel passato dell’Italia. Le dittature tendenzialmente tendono a rinforzare autorità e autorevolezza adottando un’immagine di Paese dal popolo forte e dominatore; è allora evidente che il fatto di vincere le medaglie sia sicuramente uno degli obiettivi che possa contribuire a rinforzare la proiezione di potenza del Paese verso l’esterno. Questa secondo me può essere una chiave di lettura.

Quando ha parlato della produzione industriale ‘dedicata’, ha spiegato che in queste strutture di buon livello tecnologico, si opera secondo le tecniche Gmt. Cosa sono?

Sono le ‘Good manufaturing practice’, gli standard di buona produzione. È possibile trovarne esempi su internet. Sono in pratica degli standard, delle norme di accortezza, che si usano nei processi produttivi affinché il prodotto sia, oltre che efficace e buono, anche sicuro. Sono procedure che costituiscono la base delle valutazioni che portano alla certificazione dei prodotti. È un qualcosa che viene stabilito e accettato a livello internazionale per creare il parametro di valutazione della produzione industriale.

Si riferisce quindi agli standard di qualità?

Sì. Le norme di buona fabbricazione sono norme o prassi. Sono tutte quelle procedure, linee guida, regole e norme che assicurano che il prodotto sia efficace per lo scopo per cui è stato ideato e sia allo stesso tempo, per quanto riguarda le medicine o le sostanze alimentari, sicuro e che quindi non crei un problema durante l’assunzione. Sono comunque degli standard produttivi, che chiaramente possono essere garantiti solo dove esiste una struttura idonea.
Nel caso del farmaco, uno dei criteri fondamentali che deve essere garantito è la sterilità in ogni fase di produzione, per permettere che quello che poi verrà assunto ponga al riparo l’assuntore da infezioni. Tra gli utilizzatori di steroidi anabolizzanti si verificano sovente casi di infezione grave, e addirittura, anche di recente, di sepsi, cioè di diffusione massiva nell’organismo di patogeni con il rischio di perdere la vita. Ho constatato direttamente più di un episodio di infezione o sepsi causato da sostanze prodotte in strutture che non garantivano questi standard e che quindi erano già infette in origine. Per esempio il culturista che si era iniettato uno steroide anabolizzante nel muscolo pettorale, causandosi un’infezione con necrosi del muscolo, con il rischio di perdere la vita e di diffusione in tutto il corpo: questo è il senso.

La sterilità è comunque solo uno dei parametri imprescindibili nella produzione del farmaco, ci sono tanti altri fattori in campo. È comunque evidente che una struttura deve essere in grado di controllare la qualità di ciò che produce; solo una struttura ben organizzata può fare questo. Se il prodotto viene fabbricato nel sottoscala, tutte queste caratteristiche non le può avere. In rete, se uno vuole approfondire l’aspetto del Gmt, trova tanto materiale.

Immagino quindi che i laboratori underground non rispettino questi standard.

Assolutamente no. Ho avuto modo di vedere con i miei occhi immagini di laboratori ricavati in locali fatiscenti, veramente raccapriccianti, considerato che stiamo parlando di sostanze che vengono iniettate o ingerite. Ricordo un garage, che scoprimmo nel 1997 in Lombardia, dove un personaggio molto noto nell’ambiente del body building che riusciva ad acquistare piccoli bidoni di testosterone in polvere da un produttore di principio attivo (questa volta italianissimo), confezionava flaconi multidose per iniezione, applicandovi etichette che si faceva stampare per lo scopo. Una persona sana non si somministrerebbe mai un farmaco prodotto in queste condizioni poiché il rischio è oggettivo; non parliamo di una cover del cellulare, che può essere relativamente problematica dal punto di vista della salute se non viene prodotta in maniera corretta. I rischi sono enormi e abbiamo visto direttamente le conseguenze di questa imprudenza.

Nella sua esperienza quali sono i tipi di farmaci dopanti che vengono prodotti maggiormente in questi laboratori clandestini?

Come macrocategorie sono sicuramente gli steroidi anabolizzanti a occupare la posizione di testa, posto che il mercato che assorbe il grosso della produzione, sia essa organizzata o improvvisata, è quello dei praticanti il body building. Parliamo quindi di doping estetico, non sportivo, in quanto in questo caso si tratta di sostanze deputate ad alterare la morfologia del fisico.

Come mai il bodybuilding assorbe la maggioranza della produzione di farmaci?

Per motivi di posologia. Chi deve ottenere quegli effetti di incremento di massa muscolare utilizza dosi massicce di farmaci, rispetto a chi fa doping finalizzato alla performance atletica, che richiede mediamente meno sostanza da utilizzare. Mentre uno sportivo d’élite per aumentare la resistenza può usare uno stimolatore dell’eritropoiesi in microdosi (per esempio l’eritropoietina), un culturista che deve ingrossare per fare la sua gara o per guardarsi allo specchio o per ‘mostrarsi’ in spiaggia usa dosi veramente massicce di steroidi. Questo ha automaticamente un riflesso diretto sull’aspetto produttivo. Se in testa troviamo gli steroidi anabolizzanti, poi vengono i peptidi: in questa seconda categoria si trova l’ormone della crescita (hGH) e le sue evoluzioni come l’Igf o altri peptidi di più recente generazione. In questa famiglia si trova anche l’insulina, farmaco spesso usato in associazione con l’ormone della crescita e simili. Secondo la mia esperienza questo costituisce il secondo gradino. Non parlo statistiche alla mano ma per quanto ho visto con i miei occhi.

Lo scopo estetico è quello quindi che alimenta di più il mercato del doping?

Confermo, questo scopo raggruppa milioni di assuntori, diversamente dall’ambito sportivo, dove c’è ancora tanta gente che riesce a praticare senza doping. Mentre il culturismo – pur esistendo categorie chiamate natural che ne dovrebbero essere libere – è praticamente doping; è quasi un’ ‘equazione’ poiché certi livelli di incremento muscolare non si possono ottenere naturalmente senza ‘ingannare’ la fisiologia del muscolo.

Immagino che l’estetica sarà legata non solo al bodybuilding, ma anche al settore del fitness e dell’immagine, per cui un settore quindi più ampio.

Certo. È chiaro che più una persona vuole crescere di massa muscolare, maggiori dosi di farmaco usa. E anche chi della forma fisica o dell’aspetto fa il proprio mestiere (come rispettivamente il personal trainer oppure l’attore dei film d’azione) rientra in questo caso.

Mi vengono in mente anche gli operatori della sicurezza come per esempio nelle discoteche.

Certo. In questo caso il doping apre molti scenari legati ad aspetti prestativi diversi ed elitari poiché la prestazione può essere intesa in tanti modi. Si tratta di incidere nel migliorare la potenzialità umana.

Per quanto riguarda la vendita di farmaci su internet, che cosa può dire di interessate? Si trovano nel cosiddetto deep web?

No assolutamente, sono acquistabili con una facilità estrema, e questo costituisce un pericolo aggiunto. Il deep web non è tecnicamente alla portata da tutti, ci sono tantissime persone che non sanno neanche cosa sia; diciamo che esiste una deterrenza perché è difficile da raggiungere. Questi prodotti, ripeto, si trovano facilmente; se si digita il nome di una qualsiasi molecola o il suo nome commerciale su Google, si trovano migliaia di siti con una facilità estrema e senza alcun filtro o controllo. Si tenga presente che, soprattutto per quanto riguarda i piccoli dosaggi – una scatola, un blister o cinque fiale, eccetera – non hanno nemmeno un canale di spedizione particolare; non ci vuole il pacco commerciale. Viaggiano nelle buste di corrispondenza, nessuno li ferma e ne girano quantità industriali.

Immagino che siano pacchi anonimi?

Sì. Il palestrato o l’atleta o la persona che compra la confezione, diciamo ad esempio di Stanozololo (un farmaco a base di derivato dal testosterone), ordina una confezione che ha una grandezza limitata. Chi la vende può usare una busta leggermente imbottita come ne girano tante, ci scrive il destinatario sopra ed è una busta di corrispondenza: in quanto tale, gira il mondo senza essere soggetta a nessun tipo di controllo. Nei Paesi democratici nessuno può aprire la corrispondenza senza l’intervento dell’Autorità giudiziaria. Può facilmente immaginare come attraverso sistemi di pagamento come Paypal, i Money Transfer o con una carta di credito si può comprare di tutto.
Questo vale per il farmaco in genere, non solo quello doping. Diciamo che i mercati prevalenti oltre al doping sono quelli dei medicinali per la disfunzione erettile. In tutti questi casi, ai rischi legati alla non idoneità dei luoghi e dei metodi di produzione si aggiungono quelli di incappare nei farmaci contraffatti, altra problematica che in quanto a pericoli per la salute insidia ampiamente il fenomeno del doping. Ripeto, si può comprare veramente tutto in maniera facilissima, anche senza possedere una carta di credito grazie agli altri metodi di pagamento elettronico.

Questi siti non possono essere chiusi?

Tenga presente che possono essere chiusi, ma anche da quel punto di vista entra in gioco la geografia. Il web offre rifugi anche per quanto riguarda l’hosting, come per altro; più il sito è delicato o comunque ha contenuti illeciti, maggiore è la probabilità che sia scelto un server allocato in un Paese che ha una legislazione più favorevole o che comunque non si pone tanti problemi sui contenuti. È chiaro che chi crea un sito di steroidi anabolizzanti non lo registra sotto il proprio nome (il web pullula di servizi di registrazione di domini con garanzia dell’anonimato) e difficilmente si rivolge a un Isp [provider, ndr] italiano, dove noi e la Magistratura arriveremmo subito. Piuttosto lo va a registrare e allocare in un Paese più remoto possibile che magari non collabora; per far chiudere il sito ospitato su un server straniero occorrerebbe una rogatoria, e allora diciamo che più facilmente non lo si farà chiudere ma se ne inibirà l’accesso dall’Italia. Ok, lei ne inibisce uno e poi? È come svuotare il mare con il cucchiaio. Questi siti sono milioni, sono dinamici, aprono, chiudono, a volte sono online per un tempo limitato, cambiano server, cambiano provider, migrano, cambiano nome, eccetera. È talmente facile pubblicare un sito internet in maniera gratuita che è impensabile fermare il fenomeno in questo modo.

Quali possono essere gli approcci per contrastare questo fenomeno?

Per quanto riguarda la produzione, occorre tener presente che esiste una forte domanda. La domanda, quando si tratta di dipendenze da sostanze – e il doping, sia esso edonistico o sportivo, va considerato tale – più che in maniera repressiva va affrontata con un approccio educativo e preventivo. Si può fare deterrenza, limitare, rendere tutto sconveniente, ma credo che in questo modo si debellino pochi fenomeni. Si può incidere sulla produzione se la si colpisce a livello alto. Come per le droghe d’abuso, colpire il piccolo spacciatore è poco produttivo a livello di sistema; ma se arriva al trafficante internazionale che produce cocaina, l’incidenza è diversa. Io penso che occorra arrivare a incidere sempre più in alto e per realizzare questo l’unica chance ruota intorno alla cooperazione internazionale. Altrimenti è ridicolo, non lo si fermerà mai, anche perché internet, fatta salva la censura preventiva utilizzata da certi regimi – generalmente più per limitare diritti e commerci illeciti – è qualcosa di inarrestabile. In alternativa si può staccare la corrente elettrica e poi è chiaro che si fermano i siti: naturalmente questa è una provocazione.
Penso quindi che l’unico modo per contrastare il fenomeno sia quello di creare un network in grado di far fronte a un mercato sempre più globalizzato che sfugge al confine fisico e geografico. Se il controllore si deve fermare alla frontiera, ai trafficanti non si fa neanche il solletico.

Questa è la mia esperienza, quello che vorrei far passare è un messaggio alla Steve Jobs: mai smettere di pensare che si possa fare qualcosa, occorre provarci e riprovarci. E questa secondo me la filosofia vincente. Nel tempo siamo riusciti a costituire alcuni network di livello internazionale, non sempre formalmente strutturati ma siamo all’inizio di una nuova concezione che superi le vecchie barriere e che potrà permettere incidere. È da esperienze come questa che nascono operazioni come Underground; è una questione di consapevolezza e poi di volontà. Ovviamente se quest’ultima viene a mancare non si va da nessuna parte; fortunatamente alcuni Stati questa volontà ce l’hanno. La percezione della gravità del problema doping è oggi diffusa ed è sicuramente un passo avanti anche questo. Cerchiamo di essere ottimisti.

Per approfondire:

 
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