Venezuela, violenza e caos non spengono le speranze di pace

Il Venezuela «ha un immenso potenziale per poter raggiungere una prosperità economica e sociale sostenibile», ha dichiarato la Banca Mondiale riferendosi a un Paese che oggi conta 31 milioni di abitanti. Tuttavia, pur essendo così ricco di risorse naturali, è ancora lontano dal poter raggiungere la stabilità economica e politica. Oggi il Paese vive inoltre un aumento di criminalità e corruzione tale che la sua popolazione risulta tra le più violente al mondo.

Un documento attuale dell’Osservatorio sulla Violenza, preparato da sette università pubbliche e private, infatti, afferma che nel 2015 nel Paese si sono contate 27.875 morti violente, il che equivale a 122 casi per 100 mila abitanti. Questa cifra supera di tre volte quella registrata in Colombia, che necessita del sussidio di paramilitari e Farc, e di quattro volte quella del Brasile.

L’aumento della violenza nel Paese sotto il governo socialista dell’ex presidente Hugo Chávez e del suo successore Nicolás Maduro, ha però mobilizzato l’opposizione che si è riversata nelle strade dietro un’unica bandiera: quella della pace.

Tra la popolazione, non tutti hanno avuto il coraggio di affrontare il futuro ancora troppo incerto, e così, nel mezzo della ricerca della tanto anelata prosperità economica e del benessere sociale, il documento stima che negli ultimi 15 anni «un milione e 500 mila persone hanno lasciato il Paese».
«In particolar modo giovani e professionisti hanno scelto di andarsene quando hanno capito di non avere sbocchi per il futuro». Tra questi si contano centinaia di ingegneri petroliferi che sono emigrati nel Kuwait, e più di 20 mila specialisti in materia petrolifera che hanno fatto le valigie per recarsi in nazioni che producono e processano idrocarburi. Alcuni studenti dell’Università Centrale del Venezuela (Ucv), hanno calcolato che negli ultimi anni sono emigrati negli Stati Uniti mezzo milione di professionisti assieme alle loro famiglie.

Mario Bonucci Rossini, il rettore dell’Università delle Ande, è stato uno degli accademici a denunciare pubblicamente la presenza di gruppi armati e la situazione insostenibile di insicurezza nello Stato di Mérida. Per questa ragione, il 14 febbraio 2014, ha deciso di chiudere l’accesso alle aule dell’Università. In seguito ha comunicato che il Consiglio riteneva «inammissibile la presenza di gruppi fuori legge armati o meno che stavano aggredendo o sparando a civili indifesi». Ha poi precisato: «In particolare, non riconosciamo i comportamenti che hanno visto protagoniste alcune minoranze violente, che violano le regole basilari della convivenza democratica».

Durante la settimana precedente al suo comunicato si erano intensificate le proteste in tutto il Paese. Il Segretariato permanente della Rete latinoamericana e dei Caraibi per la Democrazia (Redlad), ha spiegato che le cause di queste mobilitazioni pacifiche, che si sono susseguite per diversi giorni per chiedere al governo di ristabilire i diritti, sono: carestie, insicurezza cittadina, tassi di inflazione travolgenti (121 per cento nel 2015), indebolimento del sistema democratico, politiche autoritarie, persecuzione della società civile e dei media, violazione delle libertà fondamentali e dei diritti umani.

Nelle prime manifestazioni del 2014, secondo stime ufficiali, sono morte 37 persone, alle quali vanno aggiunti 559 feriti; le organizzazioni dei diritti umani hanno ricevuto in totale 81 denunce di violazioni. Il Procuratore generale del Venezuela non ha riconosciuto il diritto a manifestare quando questo va contro alle autorità politiche, e ha dichiarato: «Abbiamo le misure per far fronte a queste manifestazioni. Sanzioneremo e puniremo i responsabili di tali eventi».

Alcuni giorni dopo, il governo ha arrestato leader studenteschi e politici. Alcuni di loro, come ad esempio Leopoldo López, ex sindaco di Chacao e leader nazionale del Partito Voluntad Pupular, sono ancora dietro le sbarre: «Mi accusano di aver tentato, tramite le mie parole e i miei discorsi, di spezzare il filo costituzionale per proporre un cambio di governo», ha scritto sul suo profilo Twitter il 14 giugno del 2014.

Nel 2015 il leader di Voluntad Popular è stato condannato a tredici anni di carcere, nonostante le richieste di liberarlo arrivate da diversi governi. A questo si aggiunge che il 6 ottobre 2016, Diosdado Cabello, presidente del Parlamento venezuelano e vicepresidente del partito ufficiale, ha annunciato che avrebbe accusato Leopoldo López per le morti occorse durante le manifestazioni del febbraio 2014. Il rappresentante del governo, secondo quanto afferma Abc, ha rilasciato le dichiarazioni durante il suo programma pubblico ‘Con el mazo dando’.

La vita di un politico in Venezuela può essere complicata, specialmente se è di opposizione. Leopoldo López ha conseguito un Master of Public Policy. Nel 2000 è stato eletto sindaco di Chacao con il 51 per cento dei voti, e rieletto con l’84 per cento nel 2004. Nel 2008 si è candidato come sindaco di Caracas, ma il governo gli ha proibito per decreto di candidarsi a qualsiasi incarico pubblico fino al 2014. Nel 2011 la Corte interamericana dei Diritti Umani ha ordinato l’immediato ripristino dei suoi diritti politici.

Nel 2013 il partito di López ha vinto nella maggior parte dei comuni del Paese: 18, 14 dei quali erano nelle mani del partito di governo Psuv (Partito Socialista). Nel 2014, nella sua campagna per le elezioni, ha collaborato con il candidato presidenziale dell’opposizione Henrique Capriles. Ufficialmente il risultato delle elezioni ha dato ragione a Nicolás Maduro, che ha vinto con lo stretto margine dell’1,48 per cento dei voti in una contestata riconta.

UN PAESE DIVISO TRA DUE VERSIONI CONTRASTANTI DELLA VIOLENZA

Il governo del Venezuela ha costantemente denunciato e convinto la popolazione del fatto che l’opposizione e i paramilitari sono la reale causa della violenza. Durante le manifestazioni infatti si distinguono quasi sempre due versioni dei fatti diametralmente opposte.

In merito a un dimostrazione di studenti dell’Università Centrale del Venezuela (Ucv), nella quale si sono verificati gravi atti di violenza in presenza della Guardia Nazionale e di gruppi armati di civili, il media ufficiale Correo del Orinoco ha riferito che sulla base di testimoni «un gruppo di individui mascherati, dai 40 ai 100, che facevano parte dell’opposizione, hanno attaccato con bottiglie molotov, tubi, bottiglie e almeno 5 pistole».

Tuttavia, un rapporto ufficiale rilasciato dal vicerettore amministrativo, dott. Bernardo Méndez Acosta, e da altre autorità locali, spiegava che si era trattato di una «forte repressione da parte della Guardia Nazionale contro la manifestazione pacifica di studenti, che volevano consegnare le loro proposte alla Vice Presidenza dell’area economica». Sui social media, Cecilia García Arochala, rettore dell’università, ha scritto: «Condanniamo tale repressione».

Questo contrasto nell’informazione si ripete in relazione alle proteste e i fatti che condannano i prigionieri politici in Venezuela, che è in effetti considerato il Paese più corrotto dell’America nell’indice di Trasparenza del 2015.

BAVAGLIO AI PARLAMENTARI DELL’OPPOSIZIONE PER L’APPROVAZIONE DEL BILANCIO 2017

Il governo del presidente Nicolás Maduro sta ora applicando nuove strategie per mettere a tacere gli oppositori, che hanno conquistato la maggioranza nell’An o Assemblea Nazionale (Potere legislativo). Il 5 settembre, una sentenza della Corte costituzionale Suprema del Venezuela ha dichiarato che l’An «disprezza la Camera elettorale, perché ha fatto prestare giuramento a tre deputati (d’opposizione) dello Stato di Amazonas», che il governo aveva destituito non appena erano stati eletti, secondo la denuncia della Commissione Internamericana dei Diritti Umani (Cidh) dell’Organizzazione degli Stati americani (Oea).

Ora, per il Tribunale, tutti gli atti e le leggi dell’attuale Assemblea Nazionale, «risultano palesemente incostituzionali e quindi del tutto privi di ogni validità o efficacia giuridica». Con l’Assemblea fuori dai giochi, la Corte ha preparato il bilancio 2017 senza passare attraverso l’approvazione dell’Assemblea nazionale, secondo come richiederebbe la Costituzione.

La Cnn, dopo aver fatto notare che erano state aumentate di sei volte i dati del 2016, ha posto il quesito: «Si temeva che il potere esecutivo controllasse la spesa?».

Il sito web della Presidenza del Venezuela, ammonisce i dissidenti e avverte:

Maduro «ha ribadito che ciascuno dei punti stabiliti all’interno della sentenza della Corte Suprema sarà pienamente conforme; di conseguenza, ha esortato le forze rivoluzionarie in tutto il Paese a restare mobilitate».

Riferisce anche che «ha applaudito l’ordine assolto da 270 sindaci e 20 governatori che hanno firmato la sentenza rivoluzionaria della Corte Suprema: “Ognuno di loro riceverà quello che gli spetta e chi non firma dovrà affrontarne le conseguenze”».

Maduro ha continuato: «Il governatore o sindaco che non rispetti la Corte Suprema si aspetti quello che abbiamo fatto con l’An per non aver adempiuto alle sue responsabilità». In un’altra delle sue pagine si sottolinea che «il bilancio è stato approvato dal Potere Popolare […] ora abbiamo alloggi, istruzione gratuita, missioni e altri progetti per il popolo».

Per giustificare la squalifica insolita dell’Assemblea nazionale, la stampa ufficiale, a questo proposito ha riferito che dei parlamentari socialisti hanno presentato «prove di corruzione» contro il governatore di Amazonas, durante le elezioni parlamentari.

La Commissione dei diritti umani ha spiegato che queste prove facevano riferimento a un video di un presidente del consiglio. Pertanto, considera che la decisione della Corte potrebbe rappresentare «una restrizione indebita sull’esercizio dei diritti politici e potrebbe tradursi in una grave compromissione del funzionamento del sistema democratico» in Venezuela. Ha poi aggiunto che «i cittadini hanno il diritto a partecipare alla gestione delle faccende pubbliche attraverso dei rappresentanti liberamente scelti».

REFERENDUM PER DEPORRE DI MADURO E NUOVE ELEZIONI

Il primo settembre, nel contesto di una grande manifestazione, l’opposizione ha invitato la popolazione a un referendum di revoca del mandato del presidente Nicolas Maduro, ai sensi dell’articolo 72 della Costituzione. Il rappresentante dell’opposizione al governo di Maduro e Presidente dell’Assemblea Nazionale del Venezuela, Henry Ramos, ha riferito che l’elezione di Nicolas Maduro nel 2013 «è una vittoria che pone ancora molti dubbi».

Completata la prima fase di raccolta dell’1 per cento dei voti richiesti dal Consiglio Nazionale Elettorale (Cne) del Venezuela, ora l’opposizione deve raccogliere firme e impronte digitali del 20 per cento della popolazione elettorale nei giorni «26, 27 e 28 ottobre dalle 08 alle 12 e dalle 13 alle 16» in ogni Stato venezuelano.

Questo è il requisito per consentire il referendum previsto per la fine di quest’anno o il prossimo. Se l’opposizione riuscirà a fissare la data del referendum per quest’anno, nel caso in cui vincesse l’opposizione, si dovranno indire nuove elezioni. Se invece otterrà una data nel 2017, Maduro potrà passare il mandato al suo vice, per i due anni restanti.

MADURO PROMETTE DI ELIMINARE L’IMMUNITÀ PARLAMENTARE

Nicolás Maduro lo scorso 1 settembre ha risposto dicendo che avrebbe fatto arrestare i deputati che avrebbero organizzato manifestazioni per un cambiamento di governo. Il presidente ha sostenuto che sia in corso la  pianificazione di un colpo di Stato. La Información riferisce le parole del presidente pronunciate durante una manifestazione a suo favore: «ho pronto un decreto per eliminare l’immunità a tutti gli uffici pubblici». Uno dei personaggi colpiti da questa politica dello Stato socialista, è il presidente dell’Assemblea Nazionale, l’oppositore Henry Ramos.

Seguendo la linea di Maduro, Il ministro per le Donne Venezuelano, Gladys Requena, ha scritto su Twitter il 3 ottobre che ha sollecitato la Corte Suprema a togliere l’immunità a Ramos. La deputata sostiene che l’oppositore ha lanciato «attacchi al genere, alle donne che ricoprono posizioni nella pubblica amministrazione»

«La molestia» nei confronti delle donne «verrà sanzionata con la reclusione da 8 a 20 mesi», ha commentato la signora Requena. Secondo La Prensa, la televisione venezuelana ha affermato che l’accusa era diretta formalmente anche al governatore dello Stato di Miranda e due volte candidato alla presidenza Henrique Capriles.

Nel libro ‘Ciudades de vida y muerte’, sulla città e il patto sociale per contenere la violenza, del Laboratorio di scienze sociali Lacso del Venezuela, coordinato da Roberto Briceño-León, si analizza il fatto che in Venezuela, durante l’ultimo periodo di ricavi dalla produzione di petrolio, «c’era un certo sollievo sia dalla povertà che dalla disuguaglianza. Tuttavia, in quegli stessi anni il numero di omicidi è aumentato costantemente… Come si spiega questa apparente anomalia?».

Secondo gli autori, la variabile che sta avendo una determinata influenza è l’assetto istituzionale: «In identiche condizioni di povertà e di esclusione, alcuni individui compiono atti violenti e crimini, mentre altri no».

Afferma in fine, l’Osservatorio sulla Violenza: «Senza negare in nessun momento il peso drammatico della povertà, molto dipende dal modo in cui si intende o costruisce il senso delle leggi». Una società senza valori morali degenera in una deriva di violenza e criminalità.

Traduzione di Alessandro Starnoni

 

 

 

 
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