Uber chiude in Italia per concorrenza sleale. Il parere dell’esperta

Il tribunale di Milano ha da poco emesso la sentenza che blocca Uber e la sua applicazione Uberpop, accusati di concorrenza sleale dalle relative associazioni di categoria. Questo servizio di ride-sharing avrebbe permesso agli utenti di diventare ‘tassisti’ oppure clienti con il solo possesso di una macchina, eludendo di fatto tutte le regolamentazioni di cui un tassista ha bisogno per poter lavorare.

Per questo Epoch Times ha chiesto il parere di Barbara Covili, amministratore unico di Clickutility e general manager di Mytaxi, un’app che a differenza di Uber rintraccia per il cliente i conducenti già in regola. La Covili ha subito chiarito la sua posizione: «Innovazione e rispetto della legalità possono andare di pari passo. È possibile innovare senza cambiare le regole del mercato».

Uberpop oggi è un’applicazione sull’onda del mercato internazionale che però in Italia ha incontrato delle difficoltà a causa di sue mancate regolamentazioni. Per il rispetto delle norme dei comuni e per garantire la sicurezza «i tassisti lavorano solo con licenza, sono sottoposti a regolamenti comunali e hanno un tassametro piombato che non si può modificare». Per cui «essere a favore dell’utente vuol dire che se si usa un taxi legale si ha una sicurezza in più per chi lo sta utilizzando».

E questa infatti è una tematica importante, dato che se in un sistema non regolamentato come quello di Uber ci sono problemi tra conducente e cliente, cosa tra l’altro accaduta più volte negli Usa, è quasi impossibile attuare un vero e proprio ricorso, «il conducente si becca una multa, la paga la società ed è tutto finito». Al contrario se vi sono problematiche nel caso di un tassista, lo si può segnalare subito a Radio Taxi e Mytaxi, e questo «rischia il ritiro della licenza, della patente, e rischia di non poter mai più lavorare».

Se poi si parla dell’aspetto economico, è normale pensare che un’app come Uber sia estremamente vantaggiosa, dato che si parla di un prezzo che parte dai 5 euro a corsa, ma ciò significherebbe spendere meno rimanendo nell’illegalità: «i costi che ci sono oggi sono dovuti ad una serie di spese che i tassisti devono mantenere». Il tema va guardato nell’insieme. Sarebbe corretto fare questo «mestiere part-time» lavorando due o tre ore, prendendo dei soldi, «senza poi pagare le tasse»? È difficile che chi lavora da anni in questo settore pagando le tasse e dovendo mantenersi in strette regolamentazioni non sia in disaccordo.

Per cui «il pronunciamento [del tribunale di Milano] sembra essere stato abbastanza chiaro. Io sono della posizione che non c’è bisogno di stravolgere i regolamenti per poter innovare tecnologicamente i settori». Il fatto che app del genere siano arrivate nel nostro Paese «dimostra che l’Italia è pronta ad abbracciare l’innovazione tecnologica, ma sempre nell’ambito di un regolamento che tutela i clienti e i tassisti».

La concorrenza è più che lecita, «basta che si giochi con le stesse carte» ha concluso Barbara Covili. Un dibattito che probabilmente si terrà aperto dato che alla decisione del tribunale è seguito un appello al Ministro dei Trasporti Graziano Delrio da parte del presidente del Codacons Carlo Rienzi, il quale – citato da Ansa – ha affermato che «ciò che serve è integrare Uber nel mercato italiano rendendolo conforme alle disposizioni vigenti, garantendo legalità e sicurezza senza danneggiare gli altri operatori».

Immagine concessa da Shutterstock

 
Articoli correlati