Turchia, non resta che ‘turarsi il naso’

Quando batti il re, lo devi uccidere’ vecchio adagio politico.

Il 15 luglio, un manipolo di soldati hanno tentato un colpo di Stato per sovvertire il governo del leader nazionale e presidente turco Recep Erdogan. Nonostante la confusione iniziale e i combattimenti (compresi gli attacchi aerei ed elicotteri che sorvolavano i cieli delle strutture governative e dei sostenitori) il colpo di Stato è fallito. Al prezzo di 300 morti.

Anche se le origini, le basi di supporto e la tattica degli attentatori rimangono ancora oscure, hanno fallito in alcuni requisiti basilari per il successo: l’occupazione completa dei mezzi di comunicazione (stazioni televisive e radiofoniche), la neutralizzazione di Erdogan e la garanzia di neutralità o di sostegno da parte degli elementi delle forze armate non attivamente coinvolti nel golpe.

Invece, Erdogan ha abilmente evitato i militari che hanno tentato di prenderlo e ha comunicato attraverso il cellulare e i social media (il più palese fallimento per gli attentatori) per radunare i militari a lui fedeli e indurre i suoi sostenitori islamici a inondare le strade, in particolare quelle di Istanbul, e di abbattere i sostenitori del colpo di Stato.

Dopo aver soppresso il golpe, Erdogan si è subito concentrato sulla vendetta: con eccezionale tempestività, ha purgato e imprigionato almeno 13 mila persone tra cui molti membri delle forze armate, da alti ufficiali a uomini di truppa. Altre 30-50 mila persone sono state licenziate o sospese dai loro impieghi pubblici (magistratura, media di Stato e istruzione).

Il 24 luglio, Erdogan ha esteso la purga per prendere il controllo di oltre 2.250 enti e strutture sociali, per l’istruzione e per l’assistenza sanitaria, per asseriti motivi di sicurezza nazionale, e ha anche chiesto l’estradizione di Fethullah Gulen, un leader religioso in esilio negli Stati Uniti, accusandolo di essere il mandante del golpe (cosa che Gulen nega fermamente).

Con queste azioni e la possibilità che anche molto altro possa accadere (processi farsa ed esecuzioni sommarie) Erdogan sembra che abbia decapitato i restanti elementi dissidenti. E questo sarebbe di certo un ‘ritorno al passato’: l’azzeramento di quella che era stata la Turchia moderna.

Erdogan ha agito con una tale velocità e portata che l’osservatore è inevitabilmente spinto a chiedersi se lui o suoi sostenitori avessero già da tempo pronte le liste dei potenziali avversari (giudici, insegnanti, giornalisti, imprenditori, militari).

Qualcun altro potrebbe chiedersi se Mustafa Kemal Ataturk, il George Washington della Turchia moderna,  finirà in un oblio di stampo orwelliano. Ataturk aveva preso la carcassa frantumata della Turchia ottomana del post-guerra mondiale, aveva sconfitto gli invasori greci e aveva creato una società laica dall’apparenza democratica.
A garanzia di questa società e della costituzione aveva costituito le forze armate turche, che avevano preso molto seriamente il ruolo di protettrici della nazione. Per tre volte (nel 1960, 1971 e 1980) i militari turchi sono infatti intervenuti con successo per mantenere il ruolo che Ataturk aveva concepito per loro. Le motivazioni erano sempre le stesse: disordine politico, terrorismo, disagi per la società; e ogni volta i militari hanno riconsegnato il Paese a una leadership democratica.

Questa era presumibilmente la logica alla base dell’azione di luglio, ma il colpo di Stato è fallito.

Il ritorno a Erdogan, la cui immagine sembra più quella di un dittatore che un di democratico, molto probabilmente non soddisfa affatto la Lega delle Elettrici Donne. I colleghi europei stanno guardando agli sviluppi con preoccupazione e lamentano con forza il fatto che i diritti umani della Turchia vengano violati, come avviene senza alcun dubbio: chiunque abbia mai visto ‘Midnight Express’ sa che la giustizia turca e il rispetto dei diritti umani non sono la stessa cosa.

Quindi, supponendo che il presente sia di una preoccupante repressione socio-politica turca, che cosa si deve fare?
In una parola: ‘Nulla’. Abbiamo bisogno di una cooperazione attiva con la Turchia e del supporto nella guerra al terrorismo islamico (Isis) in Iraq e in Siria. Sono in corso missioni da basi aeree turche contro l’Isis. Confidiamo sul controllo delle frontiere turche per bloccare il flusso dei potenziali sostenitori dell’Isis.

Allo stesso modo, l’Europa dipende dalla Turchia per arginare la marea di profughi provenienti dalla Siria e dal Medio Oriente, il prezzo non è stato certo basso, ma è risultato essere meno costoso dell’inevitabile disgregazione sociale e politica causata da un flusso senza ostacoli di profughi. Anche prima del tentativo di golpe, i rapporti con Erdogan erano irti di difficoltà e complessità: è improbabile che adesso diventi più collaborativo.

D’altro canto, l’adesione della Turchia alla Nato è stata messa in discussione. I singoli membri hanno sollevato forti preoccupazioni per la democrazia turca, riconoscendo alla Nato il ruolo storico di alleanza di difesa e non quello di organizzazione di assistenza sociale: la Nato ha tollerato, magari turandosi il naso, le varie dittature militari turche e l’invasione di Cipro (e ha continuato a supportare l’enclave turco-cipriota). E ancora: la Nato ha subito la dittatura militare dei Colonnelli in Grecia (1967-1974), e senza dubbio farà lo stesso per la nascente dittatura Erdogan, nella speranza che le inclinazioni islamiche non spengano gli ultimi barlumi della democrazia turca.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

David T. Jones è un ex alto funzionario del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che ha pubblicato diverse centinaia di libri, articoli e recensioni sulle questioni bilaterali Stati Uniti-Canada e sulla politica estera in generale. Nel corso della sua carriera di oltre 30 anni, si è concentrato su questioni politico-militari, ed è stato consulente per due capi di Stato Maggiore dell’Esercito Usa.

 
Articolo in inglese: Talking Turkey With Ankara

 

 

 
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