Il ritorno dell’elettrostimolazione

Elettrodi posizionati sui principali gruppi muscolari, volt ben regolati e muscoli che si contraggono da soli: uno scenario probabilmente già osservato nel mondo delle palestre, soprattutto negli anni 90 quando l’elettrostimolazione era all’apice della popolarità come metodo di potenziamento muscolare.

Attualmente questa tecnica sta ritornando in voga, ma qualcosa è cambiato: grazie a una innovativa metodologia scientifica che prevede l’utilizzo di un giubbotto con elettrodi, durante l’allenamento si possono allenare diversi muscoli contemporaneamente con notevole risparmio di tempo. Ma non di fatica, né di efficacia.
Per approfondire il suo funzionamento, Epoch Times ha intervistato Riccardo Zelli, personal trainer con la qualifica del corso di primo livello sull’elettrostimolazione, riconosciuto a livello nazionale. Zelli tiene anche corsi di formazione per il corretto settaggio di una particolare tipologia di elettrostimolatore.

Riccardo, l’elettrostimolazione che utilizzi ha un nome particolare?

Si definisce ‘elettromiostimolazione’ perché è un’elettrostimolazione muscolare; ‘mio’ sta infatti per muscolo. È un’elettrostimolazione attiva, quindi anticonvenzionale rispetto alla cultura generale sull’elettrostimolazione.

Cosa significa attiva?

L’elettrostimolazione attiva da la possibilità di gestire i movimenti volontari assieme alla contrazione involontaria dettata dal macchinario. Quella passiva tradizionalmente si colloca invece nell’ambito prevalentemente riabilitativo; è nota grazie al Compex e rappresenta una metodologia di lavoro che negli anni passati veniva utilizzata in presenza di un infortunio muscolare, prevalentemente ai legamenti del ginocchio. Si faceva elettrostimolazione passiva poiché non esisteva un’altra metodologia di rinforzo o potenziamento muscolare che non andasse a ledere la parte interessata.
La metodologia che utilizzo con i miei clienti è attiva poiché si associa a un movimento. In pratica si contrae volontariamente la muscolatura e si accoglie la contrazione involontaria del macchinario.

Accogliere?

Significa essere pronti, cioè preparati. In pratica si contrae volontariamente il muscolo prima della contrazione dettata dall’elettrostimolatore, per rendere più efficace l’allenamento.

Ho visto che nel macchinario che utilizzi c’è anche un timer sul monitor

È un led che fornisce un’indicazione temporale. Il macchinario che utilizzo è molto personalizzabile e i suoi colori possono essere gestiti in completa autonomia; si può impostare il classico semaforo verde, giallo e rosso, oppure tre colori a piacimento. Questi colori forniscono le indicazioni di recupero, di preparazione alla fase attiva e alla fase attiva di quattro secondi di contrazione involontaria, che fornisce automaticamente il macchinario.

In cosa consistono le tre fasi?

La fase di recupero è un momento in cui l’atleta non deve fare assolutamente nulla. Nella fase di preparazione, che avviene negli ultimi istanti della fase di recupero, si effettua un movimento – una contrazione volontaria – prima che arrivi una contrazione involontaria del macchinario. Quindi, indipendentemente dalla propria volontà, l’elettrostimolatore contrae i muscoli; se si anticipa questa contrazione volontariamente si rende più efficace l’allenamento. In questa fase c’è quindi una sovrapposizione tra contrazione volontaria e involontaria.

Quando è nata questa metodologia di elettrostimolazione?

Il macchinario che utilizzo è nato in Germania, è leader al mondo in questo campo ed è stato sperimentato dal Dipartimento medico tedesco. Dopodiché, poco per volta, ha subito un ampliamento di mercato entrando in diversi Stati europei e in Italia è arrivato da un paio di anni. Dal 2016 è iniziata un’espansione nel nostro Paese, che adesso sicuramente sarà capillare.

Quante palestre in Italia utilizzano questa tipologia di elettrostimolatori?

Indicativamente ci saranno un centinaio di centri.

Parlami dei benefici.

L’elettromiostimolazione (ems) ha il grande vantaggio del ventaglio di accoglienza per quanto riguarda l’utenza, che è molto ampio: da atleti di 16 anni fino a persone in fascia senile. La persona più matura che alleno nel mio studio ha 83 anni, che viene per un problema di male alle schiena.
L’ems lavora la muscolatura profonda e non esistono altre metodologie in grado di allenarla efficacemente fino a questo livello. Allenandola in profondità si hanno dei benefici su postura, forza e stabilità poiché si possono lavorare per esempio i muscoli stabilizzatori della zona lombare e addominale. Poi, come è noto, l’ems è utile nella riabilitazione.

Alla domanda se fa male alla salute rispondo che non può fare male, ma esistono due categorie di persone fortemente controindicate: i portatori di pacemaker e gli epilettici. In presenza di questi due fattori, non ci si può allenare con questa metodologia. Per il resto, è sempre importante conoscere il soggetto che si andrà ad allenare e per questo motivo si fa sempre un’anamnesi iniziale; in questo modo il trainer è nelle condizioni di capire che cosa può e deve fare.

Sedici anni è l’età minima?

È indicativa. Il momento corretto inizia dopo lo sviluppo adolescenziale. Questa perché si va a sollecitare la muscolatura profonda, che si allena solo dopo una certa maturazione fisica.

Hai delle storie interessanti da raccontare sul mal di schiena?

Posso raccontare due esperienze estremamente importanti. Due miei clienti soffrivano di mal di schiena cronico. Il primo è un signore di 48 anni che ne soffriva da 15 anni. All’inizio, dopo due sessioni di allenamento, ha iniziato a percepire dei benefici. Poi, un mese dopo, durante la classica seduta una volta alla settimana, gli ho domandato quando era stata l’ultima volta che aveva avuto male in quella zona: ha dovuto pensarci per ricordarsi! Inizialmente era entrato nel mio centro, non dico piegato in due ma quasi, dicendo: “Boh, provo anche questo metodo perché sono 15 anni che mi alzo tutte le mattine con questo male che mi dura tutto il giorno”. È successo questo perché l’ems lavora gli stabilizzatori, che sono muscoli profondi. In altre parole, allenandosi rispettando un asse corretto ha migliorato la sua postura e questo gli ha permesso all’inizio di sgravare la schiena da un carico eccessivo per poi rinforzarla.

L’altro caso è una ragazza che soffriva da dieci anni di mal di schiena, un caso più unico che raro che faccio fatica a raccontare perché sembra incredibile. Questa ragazza, dopo il primo allenamento, si è presentata alla seconda sessione dicendomi che aveva avuto un solo mal di schiena negli ultimi tre giorni, mentre per quattro giorni dopo l’allenamento non aveva avuto alcun dolore.

Continuano ad allenarsi?

Sì, una volta a settimana. Hanno interrotto per le vacanze estive ed entrambi mi hanno detto che non vedevano l’ora di tornare perché dopo tre settimane avevano iniziato a provare di nuovo un po’ di fastidio. Sto parlando di persone che si alzavano tutti i giorni con un mal di schiena che durava tutto il giorno. Quello che voglio far notare è che questo rappresenta un miglioramento dello stile di vita e senza assumere farmaci.

E anche dell’umore.

È naturale, se si soffre il mal di schiena tutto il giorno è inevitabile che anche l’espressione mostri disagio e sofferenza. Si può pensare che questa persona sia arrabbiata per tutto il giorno ma non è così: semplicemente ha male e sopporta. Quindi, una volta risolto il problema, la sua vita cambia notevolmente.

Come mai si lavora sempre affiancati da un personal trainer?

Perché si esegue un lavoro estremamente delicato e anche personalizzato. Uno degli slogan di questa metodologia, che poi ognuno interpreta come vuole, è che “20 minuti corrispondono a 3-4 ore di palestra”. In effetti è vero: in venti minuti viene allenato tutto il corpo. Invece in palestra per compiere un lavoro simile si deve andare tre volte alla settimana, dividendo la scheda in tre split. Tenendo presente che un allenamento dura almeno un’ora, per allenare tutto il corpo si impiegheranno quindi almeno tre ore a settimana.

Non solo, ma questa tipologia di lavoro allena meglio i muscoli poiché, come ho già detto, coinvolge la muscolatura profonda. E senza sovraccaricare le articolazioni, e secondo me questa è la cosa più importante a livello metodologico. Immaginiamo un’accosciata a corpo libero simile in uno squat con bilanciere. In base alla contrazione del gluteo indotta dall’elettrostimolatore, la persona ha la sensazione di avere un bilanciare sulla schiena più o meno pesante. Ma in realtà non ha caricato nulla. Inoltre con questa metodologia di lavoro, anche se l’esecuzione non è completamente corretta – per esempio con la schiena eccessivamente piegata in avanti – non provoca infortuni alla schiena dal momento che non viene appoggiato un carico, che a volte può essere estremamente elevato.
Si possono quindi eseguire in sicurezza numerosi esercizi, come il curl per bicipiti o le distensioni con manubri da in piedi. Semplicemente si aumenta la contrazione del muscolo e quindi la sensazione di carico, ma non c’è un carico.

Il lavoro muscolare è quindi molto simile a quello svolto in palestra?

Sì, ma non è uguale a causa dell’attivazione della muscolatura profonda.

Quindi mi stai dicendo che questo metodo non presuppone un’esperienza con i pesi perché non è necessario eseguire correttamente i movimenti.

Esatto. Inoltre l’ems costituisce una prevenzione in vista di eventuali infortuni, mi spiego meglio. Nel caso di bilancieri e soprattutto manubri, maggiore è il carico più diventa difficile gestirlo e quindi diventa potenzialmente pericoloso. Con l’ems non esiste questo problema. Uno dei primi feedback che ricevo dalle persone che lavorano con l’ems è che sentono una maggiore contrazione, per esempio su un certo arto. Ovviamente la contrazione muscolare esiste anche con macchine e pesi liberi, ma non viene avvertita tanto come nell’elettrostimolazione. Faccio un esempio: durante l’esecuzione di una distensione su panca piana con manubri si vedrà sempre un arto più in alto rispetto all’altro, ma pur imprimendo la stessa forza per ogni arto non si avverte una differenza di contrazione, sebbene esista. Invece con l’elettrostimolazione ci si rende conto di questa differenza poiché si lavora la muscolatura profonda. In questo modo, sapendo quale arto è più debole si possono definire un certo numero di sessioni per riequilibrare la forza.

È anche un metodo efficace per perdere chili e combattere la cellulite?

Sì, per quanto riguarda il dimagrimento esiste un programma che aumenta il metabolismo basale chiamato appunto metabolico.

Si lavora con battito cardiaco elevato?

Sì ed è come un lavoro aerobico perché aumenta la sensazione cardiaca.

È anche utile per chi soffre di osteporosi?

Sì, perché migliora la forza facendo lavorare i muscoli profondi e senza gravare sulle articolazioni.

Gli allenamenti durano sempre 20 minuti o anche più?

Il protocollo indica 20 minuti, un tempo in cui, permettimi di dirlo, posso far percepire quello che voglio. Dopo solo cinque minuti posso far percepire una grande sensazione di lavoro, posso ‘distruggerti’. Nell’elettrostimolazione non esiste il concetto secondo cui solo se si lavora almeno quaranta minuti è un lavoro aerobico. A livello di tempistica cambia tutto.

Come è stato accolto questo metodo dalle persone?

Devo essere sincero, inizialmente è stato molto più performante di quanto immaginavo. Ho installato il mio primo macchinario a fine gennaio di quest’anno e ai primi di aprile avevo già la seconda macchina poiché eravamo già pieni di clienti.

Cosa si prova generalmente dopo una seduta?

Dipende dall’allenamento. Ad esempio, chi ha il mal di schiena sente un grande sollievo ma è anche affaticato, come è giusto che sia. Chi ha altri obiettivi alla fine della seduta è provato, percepisce cioè la sensazione di aver svolto un grande allenamento. Questo perché venti minuti a settimana devono essere efficaci. L’efficacia dipende dall’allenamento che a sua volta implica la fatica; di qui non si scappa. Quindi è fondamentale provocare uno stress muscolare altrimenti non si ottiene un effetto allenante.

Solo una volta a settimana?

Sì. La letteratura indica tre mesi come adattamento generale a questa tipologia di lavoro. Quindi per i primi tre mesi è importante allenarsi una volta alla settimana, poi si può iniziare a intensificare l’allenamento in base al soggetto, agli obiettivi e ai tempi di raggiungimento dei risultati.
Si possono per esempio impostare tre allenamenti in due settimane, per poi arrivare a regime massimo di due allenamenti a settimana; ma non saranno più esclusivamente allenamenti di forza, ma anche metabolici perché quando si stressa molto il muscolo con due allenamenti di forza a settimana, il corpo non ha tempo per recuperare.

Hai parlato di letteratura. Quindi l’elettrostimolazione è stata studiata dalla scienza.

Assolutamente sì e ci sono dei testi scientifici in merito. Esiste poi un’azienda che ha un comparto medico che sviluppa una letteratura medica su questa metodologia di lavoro. Ritornando a quello che dicevo prima, l’elettrostimolazione nasce a scopo terapeutico. Quando ci si rompe il crociato anteriore del ginocchio o il menisco, da diversi anni a questa parte l’ortopedico consiglia l’elettrostimolazione per potenziare vasto mediale, il muscolo che sostiene l’articolazione del ginocchio. Questo metodo ha quindi una letteratura medica alle spalle.

Ci sono atleti di alto livello che utilizzano questa tecnologia?

Sì, Bolt è un testimonial di un macchinario e anche Cristiano Ronaldo si allena con questa metodologia. Il Borussia Dortmund ha comprato un macchinario e poi alcuni atleti, sia dell’atletica, che calciatori, stanno iniziando ad allenarsi anche per conto loro. Sono convinto che nell’arco di poco tempo gli atleti professionisti che si approcciano a questa metodologia non lo abbandoneranno di sicuro. Gli atleti scelgono queste attrezzature perché aumentano la performance e diminuiscono il rischio infortuni: un binomio che per loro è il massimo.

 
Articoli correlati