Storia di Wu Gan, il blogger troppo libero per essere cinese

Il famoso blogger cinese Wu Gan per anni aveva sfidato con ironia e fantasia il regime del Partito Comunista Cinese, sempre rimanendo immune alla censura dei media cinesi controllati dal Partito-Stato. Ma ora anche Wu Gan è stato messo a tacere definitivamente: otto anni di reclusione «per incitamento alla sovversione contro lo Stato».

Dopo aver subito anni di intimidazione e diffamazione, il tribunale della città di Tianjin ha tolto di mezzo Wu con la stessa accusa  normalmente usata dal Pcc per eliminare chiunque osi parlare contro il regime: avvocati dei diritti umani, membri di comunità spirituali o religiose (cristiani cattolici, musulmani cinesi della comunità Uigura, monaci tibetani e praticanti del Falun Gong), che da anni vengono perseguitati spietatamente e uccisi dal Pcc.

Osservando il percorso da blogger di Wu Gan è facile capire perché il regime abbia voluto tappargli la bocca. Da diversi anni Wu si era unito a un gruppo di oltre 200 avvocati dei diritti umani cinesi, che – come è ovvio immaginare – non hanno vita facile in un sistema dittatoriale corrotto e dominato dalla censura e dalla propaganda del partito unico. Per sua scelta, Wu non usava mezzi termini, e si faceva chiamare col nome di ‘Ultra volgare Macellaio’, «venuto per scannare i vili porci».

Non è facile difendere i diritti umani in Cina. Neanche per gli avvocati dei diritti umani, che hanno dalla loro parte la conoscenza della legge. Ma Wu con il suo sarcasmo, la sua inventiva e le sue azioni fuori dall’ordinario amplificate dal suo blog, aveva la capacità di coinvolgere persone di ogni tipo e informarle sulle ingiustizie subite ogni giorno dalla gente comune in tutta la Cina.

WU GAN E LA SUA COMUNICATIVA TRASGRESSIVA: L’EXTREMA RATIO DELLA DIFESA DEI DIRITTI UMANI IN CINA

Il boom di popolarità di Wu Gan risale al 2009, quando si è recato nella provincia dello Hubei per incontrare la giovane Deng Yujiao che, per autodifesa, aveva accoltellato a morte un funzionario del governo che aveva cercato di violentarla. Il caso aveva generato accese discussioni sul web, e Wu aveva sostenuto il caso della donna sul suo blog, ed era andato fino al paese natale di Deng, convincendo la sua famiglia a ingaggiare degli avvocati per la difesa e promuovendo una raccolta fondi per poterli pagare.
Secondo l’attivista di Uman Rights Watch Maya Wang «Wu è stato il filo che ha unito la comunità on line, gli avvocati dei diritti umani e la vittima» portando alla richiesta alle autorità locali del rilascio della giovane donna.

Dovendo affrontare la censura e l’intimidazione della dittatura, le aggressioni della polizia e il controllo assoluto imposto dal regine del cyberspazio, Wu ha dovuto sempre inventarsi nuove soluzioni per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica (fino a cimentarsi in body perfomance degne degli artisti contemporanei), e allo stesso tempo denunciare gli intoccabili al potere, così da riuscire a diffondere messaggi e denunce che, se veicolati in altro modo, sarebbero stati bloccati o censurati.

In un video postato nel 2012, paventando la possibilità di essere fatto sparire o arrestato, parlando ai suoi fan e sostenitori delle sue azioni e di quelle degli avvocati dei diritti umani (a loro volta vittime di aggressioni e ritorsioni da parte del regime comunista cinese), aveva dichiarato: «Io non voglio vedere la politica guidata da questi teppisti [riferendosi ai corrotti e spietati funzionari del Pcc da lui equiparati ai peggiori gangster, ndr] che faranno solo del male alla nostra nazione […] E così noi andiamo là fuori per aiutare le persone, con la semplice speranza che la nostra azione renda questo Paese un posto migliore in cui vivere».

Nel marzo del 2014, Wu aveva parlato in favore di Tang Jitian e Jiang Tianyong e di altri due avvocati dei diritti umani, arrestati per aver denunciato il sequestro e l’incarcerazione illegale di praticanti del Falun Gong (innocua e pacifica disciplina spirituale perseguitata dal Partito Comunista Cinese dal 1999, in violazione di ogni più elementare diritto e libertà di credo – valori universali tutelati anche dalla Costituzione Cinese).
Wu in quell’occasione aveva chiesto in rete sostegno per il lavoro degli avvocati e per il loro rilascio, e aveva definito il capo della polizia locale, tale Liu Guofeng (responsabile della creazione del centro di detenzione illegale Jiansanjiang nella provincia Heilogjiang), «un demone che perseguita le persone di fede».


Wu Gan (primo da destra) all’ultiuma manifestazione per i diritti umani (2015).

Ma il curriculum di Wu Gan è lungo. A maggio 2015, quando un poliziotto aveva ucciso in una stazione ferroviaria un uomo con la scusa che la vittima – uscita di senno e folle di rabbia – lo aveva aggredito, Wu aveva raccolto tutti i video delle telecamere di sorveglianza della zona, scoprendo che l’uomo aveva reagito dopo essere stato picchiato selvaggiamente per futili motivi.
La scoperta di Wu aveva ottenuto il sostegno degli abitanti del villaggio, che avevano trovato il coraggio di spingere le autorità a recuperare e divulgare altri video, che mostravano chiaramente il fatto. Come conseguenza, erano riesplose le polemiche sul modo di operare di alcuni poliziotti e funzionari locali cinesi, abituati a maltrattare le persone più povere e indifese.

Sempre a maggio del 2015, Wu era andato Nanchang per sostenere alcuni avvocati, a cui era stato negato l’accesso agli atti per un caso di quattro persone accusate di omicidio, nonostante fosse già stato trovato il vero colpevole (fra l’altro reo confesso). Un anno dopo, le quattro persone ingiustamente incriminate sono state dichiarate innocenti.

LA CORDA SI SPEZZA

Tutto questo finché Wu Gan non ha tirato troppo la corda: sui social media ha definito un giudice di nome Zhang Zhonghou «ladro», aggiungendo di voler celebrare per lui un finto funerale, e di aver ordinato crisantemi bianchi e organizzato la sfilata di una statua del giudice per la città.


Wu Gan ironizza sulla corruzione del giudice Zhang Zhonghou (a destra nella prima riga sono scritti il nome e l’incarico del giudice (in rosso una battuta sarcastica recita: ‘Datemi un prezzo’). A sinistra una ‘lapide’ commemorativa del giudice inventata da Wu Gan.

A quel punto, il blogger d’assalto è stato arrestato. Poi è stato trasferito nella città di Fujian, dove è stato accusato di «azioni illegali atte a incitare al rovesciamento del potere dello Stato». I difensori, gli avvocati Li Fangping e Yan Xin, hanno ribattuto che i suoi atti rientravano nel diritto della libertà di parola, e che i funzionari pubblici, proprio per il ruolo che ricoprono, dovrebbero essere sottoposti a maggiori controlli e a doverose critiche quando sbagliano.

Dopo un anno di arresti domiciliari e ‘limitazione della libertà di movimento’, nell’agosto 2016 Wu Gan è stato nuovamente incarcerato. In questa occasione ha denunciato di essere stato torturato, mentre la sua famiglia è stata ripetutamente minacciata.

Il 14 agosto 2017, il blogger viene condannato a otto anni di reclusione «per attività sovversive contro il potere dello Stato». Ma due mesi prima del processo (a maggio 2017) Wu invia una lettera a Dong Qian, presentatrice del canale di regime Cctv, chiedendole di raccontare alcuni fatti (a cui la giornalista aveva assistito personalmente) riguardanti il suo arresto di due anni prima.

Nella lettera Wu afferma che, dopo il suo arresto, l’1 agosto 2015 era stato portato incappucciato agli studi di Cctv e – di fronte alla presentatrice e alla presenza di un funzionario di polizia – gli era stato ordinato di fare una falsa confessione di autoaccusa e una dichiarazione di pentimento, recitando un discorso già scritto.
Ma quel giorno Wu, invece di piegare la testa di fronte alle autorità, aveva spiazzato tutti: aveva parlato dell’ingiustizia e delle violenze subite, incluso il pestaggio inflittogli dal funzionario di polizia An Shaodong; aveva denunciato le minacce e il ridicolo, quanto malvagio, sistema di registrare false confessioni per poi propinarle al pubblico attraverso la Tv di regime Ccctv, diffondendo menzogne e false informazioni al popolo cinese.

La presentatrice di Cctv Dong Qian.

IL MACABRO RITUALE DELLE CONFESSIONI-SPETTACOLO DELLA DITTATURA COMUNISTA CINESE

Da ormai molti anni, nei canali di regime controllati dal Pcc, non è inusuale assistere a processi farsa, in cui si vedono dissidenti (scrittori, artisti, avvocati, religiosi, intellettuali, attivisti) arrestati e ‘spariti’ da tempo ricomparire improvvisamente in Tv, dove contriti e ravveduti chiedono scusa al governo per le proprie «azioni riprovevoli», dichiarando di «pentirsi sinceramente della condotta sovversiva», promettendo «di non commettere più quegli errori» e ringraziando la corte per la sua «clemenza».
È ormai risaputo, grazie a varie testimonianze, come queste dichiarazioni siano imposte con la violenza e ottenute a forza di torture e minacce di ogni genere. Per chiunque osi troppo nei confronti del Pcc, ‘confessare’ è insomma l’unico modo per uscire dal carcere e, spesso, salvarsi la vita.

Huang Han, noto avvocato dei diritti umani, parlando a Epoch Times, ha osservato come queste ‘confessioni televisive’ siano l’equivalente dello ‘Sfilare per le strade’ della Rivoluzione culturale di Mao Zedong, riferendosi a quelle manifestazioni pubbliche (scolpite con terrore nella memoria di ogni cinese) in cui «i nemici di classe e del Partito» venivano fatti sfilare per le strade con cartelli denigratori appesi al collo, mentre la folla li insultava o li malmenava per umiliarli e rieducarli alla «vera dottrina del Pcc».

«Ora», spiega l’avvocato Han, «vengono usate la magistratura e la televisione», ma è una grave violazione della funzione del tribunale, perché va contro il principio di presunzione di innocenza: la confessione televisiva prima del processo, oltre a essere una palese farsa, è una violazione dello Stato di diritto e dei diritti umani. In secondo luogo, l’umiliazione della persona in pubblico e la rovina della sua reputazione prima di essere giudicata dalla corte, è una lesione della dignità umana, oltre che l’esposizione al pubblico ludibrio per fini politici e di propaganda.
In definitiva, i processi mediataci sono un’indiscutibile violazione dei diritti umani, finalizzata a rafforzare la propaganda e a intimidire la popolazione cinese.

Nella sua lettera alla giornalista Dong Qian, Wu chiede di ricordare e testimoniare sui fatti del 2015 che lo coinvolgono, e di testimoniare il vero sulle ormai note registrazioni «di interviste-confessioni create ad arte, che non hanno nulla di vero e diffondono ignoranza e falsa informazione. Un gioco di prestigio umiliante per chi lo subisce e per chi lo infligge».
Il blogger afferma inoltre che, avendo inflitto tanto male al popolo cinese, il regime ha dovuto creare un sistema che si può auto-sostenere solo con la menzogna, e che Cctv è diventato un mezzo per tale fine. Wu fa poi appello alla donna, alla sua coscienza e alla vera natura compassionevole, propria di ogni essere umano, così da «non partecipare o contribuire alla diffusione del male».

Wu conclude la lettera con il suo stile ironico e caustico: «Ringrazio l’emittente televisiva per la cattiva pubblicità che mi ha fatto […] ringrazio i media di Stato e il Quotidiano del Popolo [giornale di regime, ndr] per avermi diffamato e accusato, perché certo, in caso contrario, non sarei stato capace di vivere ancora come un essere umano dotato di dignità e onore».

 

Per approfondire:

 
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