Debito privato e crisi del sistema finanziario

La teoria economica è come una torta a strati: i modelli che spiegano uno strato hanno senso in quel contesto, ma, giunti a un altro strato, non funzionano più. Il nuovo libro dell’economista Steve Keen, Can We Avoid Another Financial Crisis? [Possiamo evitare un’altra crisi finanziaria? ndr] ne è un chiaro esempio.

Di buono c’è che Keen descrive accuratamente l’attuale sistema economico; la brutta notizia è che la risposta alla domanda nel titolo è ‘no’ (e comunque, anche se la sua valutazione è nel complesso accurata, manca di trattare alcuni elementi nascosti, che però sono importanti, della teoria economica).

Keen risponde alla sua domanda ragionando all’interno dello ‘strato’ economico rappresentato dal sistema bancario corrotto che abbiamo oggi. Spiega, cioè, come le banche creino denaro nella forma di debito e come questo porti all’instabilità finanziaria. Nel farlo, cita una dichiarazione degli economisti stessi della Bank of England: «Nell’economia moderna, la maggior parte dei soldi esiste sotto forma di depositi bancari. Ma spesso non viene ben compreso come questi depositi bancari si creino: il modo principale è mediante i prestiti delle banche commerciali. Ogni volta che una banca fa un prestito, simultaneamente crea un deposito equivalente nel conto bancario di chi riceve il prestito, di fatto creando nuova moneta».

Keen si basa sul lavoro di Hyman Minsky e di Joseph Shumpeter e spiega perché il debito privato creato dal nulla dalle banche private porti all’instabilità economica.

«L’investimento in eccesso sui profitti non distribuiti viene finanziato dal debito. Questo porta a un processo ciclico nel capitalismo, che causa anche una tendenza, di durata secolare, all’accumulo di un eccessivo debito privato dopo vari cicli», scrive Keen.

Il ciclo di boom e crisi funziona così: nelle prime fasi, il debito stimola l’investimento, che aumenta la domanda. Un’economia in crescita può facilmente rifornire il debito, e la maggior parte dei prestiti vengono ripagati. Più a lungo dura questa fase di crescita positiva, più le banche vengono incentivate a mandare all’aria la prudenza e a concedere più prestiti; anche i valori dei beni a tutela dei prestiti salgono di valore in questa fase, cosa che incoraggia ulteriormente l’imprudenza.
A un certo punto, il livello dei debiti diventa talmente alto che gli attori economici più deboli non possono portare avanti il pagamento degli interessi, portando a un’ondata di inadempienze che porta a una riduzione della moneta e a delle perdite per le banche. Queste ultime poi concedono meno prestiti, riducendo ulteriormente la fornitura di moneta (laddove la moneta è debito), e rallentando l’attività economica. A questo punto, anche gli attori più forti sono in pericolo e sono costretti a liquidare i propri asset. E il circolo vizioso continua.

«Il crollo trasforma le aspettative euforiche in depressione, e annulla le dinamiche che erano state prodotte dalla fase di espansione, relative ai tassi di interesse, ai prezzi dei beni e alla distribuzione delle entrate. La domanda aggregata cade, portando alla caduta anche dell’occupazione, e all’abbassamento degli stipendi e dei costi dei materiali».
Le persone che hanno osservato il boom e la crisi dei subprime sarebbero per la maggior parte d’accordo con questa valutazione. Ma allora perché gli economisti della corrente principale non l’hanno capito?

GLI ECONOMISTI ‘MAINSTREAM’ IGNORANO IL DEBITO

In Debunking Economics, Keen ha promesso che avrebbe smesso di fare il «bravo ragazzo» di fronte agli economisti che ignorano completamente il debito privato nei loro modelli, nelle loro previsioni e nei consigli sulle politiche da adottare.

Nel suo libro più recente, Keen mantiene la promessa, e non risparmia critiche alla professione (quand’è giusto), spiegando anche perché gli economisti continuino ad arrivare a conclusioni sbagliate: «La teoria di Minsky è convincente, ma è stata ignorata dagli economisti mainstream quando è stata sviluppata all’inizio, perché Minsky si era rifiutato di accettare gli assunti che loro insistevano fossero indispensabili per lo sviluppo di una “buona” teoria economica».

Keen, che è molto competente in tutti i campi dell’economia, impiega, tra le sue fonti, dei testi dei suoi avversari ideologici, che usa per minare la loro stessa logica. Per esempio cita l’ex presidente della Federal Reserve Benjamin Bernanke: «In molte sedi, Hyman Minsky (1977) e Charles Kindleberger (1978) hanno sostenuto l’intrinseca instabilità del sistema finanziario, ma nel farlo hanno dovuto staccarsi dall’assunto che il comportamento degli attori economici sia razionale». Una nota a piè di pagina, poi riporta: «”Non nego la possibile importanza dell’irrazionalità nella vita economica; però sembra che la migliore strategia di ricerca sia spingere il postulato della razionalità più in là possibile” (Bernanke, 2000, p. 43)».
La ragione per cui l’economia mainstream soffre di una crisi di fiducia è la presenza di troppi assunti illogici e irrazionali.

I lettori interessati agli aspetti tecnici possono leggere con interesse la spiegazione di Keen sul perché l’estrapolazione della macroeconomia dalla microeconomia sia sbagliata e sul perché la macroeconomia dovrebbe essere modellata in base a un sistema dinamico, perché, inoltre, un sistema bancario corrotto crei disuguaglianze e perché i cicli del debito privato sembrino sempre sul punto di migliorare poco prima che avvenga la catastrofe.

Gli amatori possono invece saltare tutto questo e andare dritti alla spiegazione che Keen dà alla crisi del debito privato del 1990 in Giappone e alla crisi dei subprime del 2008.

Il libro è in sostanza una monografia accademica approfondita, piena di riferimenti ad arcani studi, ricca di note a piè di pagine, e di grafici da nerd economici. Fornisce una spiegazione affidabile e piuttosto chiara, per un lettore che conosce l’argomento, di cosa provochi i boom economici in un sistema bancario corrotto (vale a dire in uno basato sul debito privato) e perché quest’ultimo sia responsabile di ogni genere di conseguenze avverse, come le crisi e la cattiva distribuzione del reddito.

POSSIAMO EVITARE UN’ALTRA CRISI FINANZIARIA?

Keen risponde alla domanda da mille miliardi, con un forte «no». Questo perché troppi Paesi hanno cavalcato l’onda dell’esplosione del debito durante l’ultimo periodo positivo, e ora siamo nell’equivalente economico del purgatorio. Secondo Keen, la più grande minaccia è costituita dalla Cina: «Si trova davanti a un ‘dilemma del drogato’, una scelta tra una ‘crisi d’astinenza’ adesso, o il continuare a bucarsi (di crediti) per poi avere una crisi peggiore più tardi. La Cina è senza dubbio il più grande Paese che si trova davanti al dilemma del drogato in questo momento. Ma non è che la compagnia le manchi». Altri Paesi con un alto livello di debito privato, e una dipendenza dal debito per alimentare la domanda sono Australia, Belgio, Canada, Corea del Sud, Norvegia e Svezia (Keen li chiama «zombie del debito»).
L’influenza della Cina e di queste economie più piccole è nel complesso troppo grande perché il mondo possa riuscire a evitare una crisi finanziaria.

SOLUZIONI

Secondo Keen, la soluzione all’interno di questo strato della teoria economica è aumentare la vigilanza statale sul sistema bancario e sul disavanzo pubblico per impedire una caduta della domanda privata. E in pratica è stata proprio questa la risposta alla crisi finanziaria del 2008.

Delle possibilità più aggressive sono invece il quantitative easing nella forma di helicopter money, in cui la banca centrale monetizza il debito pubblico, e il governo poi scrive un assegno perché le persone possano o ripagare il debito o spenderlo nel caso non ci sia più alcun debito da ripagare. Ci potrebbe anche essere un ‘giubileo del debito’ più ufficiale, in cui semplicemente si annullano i debiti. Ma «di per sé – scrive Keen – un moderno giubileo del debito non sarebbe sufficiente: non farebbe altro che resettare l’orologio e permettere un’ulteriore bolla speculativa del debito. Attualmente, la creazione di moneta privata è “un sottoprodotto delle attività di un casinò” (Keynes, 1936, p. 159), piuttosto che quello che dovrebbe essere principalmente, cioè la conseguenza del finanziamento degli investimenti aziendali e dell’attività imprenditoriale».
Per il governo, l’obiettivo sarebbe di contrastare l’eccessivo debito privato.

Keen è aperto anche a concetti come valute emesse dal governo e criptovalute, sebbene non ritenga che possano arrivare a rimpiazzare il sistema bancario, sia per questioni politiche che per questioni relative all’ampiezza del sistema stesso: «Finché quel modello ha forte influenza sui politici e sul pubblico in generale, le riforme importanti incontreranno una strada in salita, e questo senza nemmeno considerare la resistenza del settore finanziario, che ovviamente sarebbe enorme».

E, finché si rientra in questo strato della torta economica, all’interno dei confini nella nostra attuale politica economica, Keen ha assolutamente ragione.

LO STRATO NASCOSTO

Guardando un altro strato della teoria economica, però, Keen e Minsky sbagliano nel sostenere che il capitalismo stesso causi i boom e le crisi e che la soluzione finale per tutta l’economia sia un maggiore intervento del governo. E questo è particolarmente sbagliato se si considera lo strato finanziario dell’economia.

In un sistema monetario a mercato libero, le banche che danno via una quantità eccessiva di debito con garanzie di bassa qualità vedono la svalutazione delle loro passività sul mercato, e i correntisti spostano le loro aziende. Questo processo competitivo porta all’esaurimento delle riserve di queste banche e infine alla bancarotta – senza bailout – a meno di un miglioramento dei processi di valutazione del rischio.

È solo quando i governi impongono leggi sulla valuta legale, o quando accettano le passività delle banche private a valore facciale nel pagamento delle tasse, che queste passività emanate in eccesso e le passività scarsamente garantite mantengono il loro valore, portando a un ciclo di boom e crisi. È sempre il governo, poi, che salva queste banche ancora ed ancora, per salvare il sistema corrotto, portando al rischio morale di cui parla Keen.

La maggior parte degli economisti moderni, incluso Keen in questo libro, ignorano questa interferenza statale così fondamentale nel mercato, e concludono quindi che ci voglia più Stato, per risolvere quei problemi stessi che l’intervento statale ha creato.

A Keen va riconosciuto di aver fatto una buona ricerca sui casi storici del settore bancario nel libero mercato, e di aver concluso che la Storia non conferma la teoria austriaca del riflusso. Quindi si pone su di un lato di quel fortissimo dibattito accademico, opposto a quello degli studiosi della scuola austriaca.

Oggi, tuttavia, abbiamo a disposizione solo questa versione zoppa del capitalismo, in cui i governi e le banche creano insieme l’instabilità che il signor Keen tratta in questo libro. È questo lo strato, o il contesto, che Keen descrive per il lettore istruito nella materia. E lo fa accuratamente, convincentemente, e con un tocco di pungente umorismo.

Articolo in inglese: Steve Keen: “Can We Avoid Another Financial Crisis?”

 
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