Nuove grane per Apple, l’accusa è sfruttamento del lavoro in Cina

Ci risiamo: con l’uscita dell’iPhone 7, Apple è finita nuovamente nell’occhio del ciclone dopo alcune immagini, complete di report, che mostrano le scandalose condizioni di lavoro alle quali sono sottoposti i dipendenti delle sue aziende fornitrici in Cina.

Sono già due anni che si parla di sfruttamento dei lavoratori nella fabbriche Apple in Cina, ma l’ultimo rapporto di China Labor Watch fa pensare che ancora poco o nulla sia cambiato.

La Apple d’altra parte, sollecitata più volte dalle organizzazioni dei diritti umani, sminuisce il problema, promettendo di migliorare le cose.

La Laogai Research Foundation è una onlus creata specificamente per informare sul problema dei diritti umani e del lavoro forzato in Cina. La Laogai organizza infatti convegni, mostre fotografiche, conferenze stampa e manifestazioni pubbliche per sensibilizzare mass media e autorità politiche sui laogai (campi di lavoro forzato: i lager cinesi) e alla costante violazione dei diritti umani in Cina.

Epoch Times ha intervistato il direttore della Laogai Research Foundation, Gianni-Taeshin Da Valle, che sulla questione del lavoro in Cina descrive un quadro raccapricciante.

È possibile che Apple non sia consapevole del fatto che chiedere un abbattimento dei costi di produzione in un Paese come la Cina, significhi con ogni probabilità il peggioramento delle condizioni per chi lavora nelle aziende sue fornitrici?

Non possono non sapere. Vorrei fare una premessa, perché le problematiche e controversie legate alla produzione di cellulari sono ampie e articolate: spaziano dallo sfruttamento del lavoro, anche minorile, alle violazioni dei diritti umani, all’utilizzo di sostanze tossiche come il cobalto e benzene e alla loro estrazione, fino allo smaltimento e riciclo dei nostri cellulari e apparecchi che buttiamo. Tutto questo per un giro d’affari di decine e decine di miliardi di dollari l’anno. Diciamo che i principali e più importanti fornitori per quanto riguarda la produzione di iPhone e cellulari sono Pegatron e Foxconn; sono i più importanti, poi tutti gli altri più o meno seguono le stesse linee di condotta di questi due grandi produttori. Ho voluto fare questa premessa perché in un tempo così breve non si può parlare approfonditamente di questo immenso problema.

Recentemente, China Labor Watch ha rilasciato un nuovo report sulla produzione degli smartphone da parte di Apple e sul peggioramento delle condizioni lavorative dei dipendenti di Pegatron (ma Pegatron e Foxconn viaggiano parallelamente, quindi questi due produttori la fanno da padrone in questo mercato). La Apple è stata quindi accusata di aver violato alcuni diritti dei lavoratori, perché per raggiungere i volumi di produzione richiesti da Apple i vari fornitori (compresi Pegatron e Foxconn) violano gli stessi diritti dei lavoratori. Questo report ha constatato addirittura delle diminuzioni dei salari. Si pensi che in genere un lavoratore guadagna poco più di 200 dollari; nel 2005 la paga era aumentata a 2 dollari all’ora, successivamente è stata ridotta a 1,60 dollari. Tutti i lavoratori sono sottopagati e anche gli straordinari non vengono pagati normalmente. L’ultima controversia che è nata riguardava proprio gli straordinari; si pensi che hanno accesso agli straordinari pagati soltanto gli operai che riescono a portare nuova manodopera all’azienda. Quindi ci si può immaginare lo stress al quale sono sottoposti questi lavoratori.

I prigionieri di coscienza in Cina spesso vengono mandati ai lavori forzati, e l’esempio più lampante sono i praticanti del Falun Gong. A lei risulta che ci siano fabbriche sub-fornitrici di Pegatron che impiegano lavoratori forzati?

Su questo non abbiamo ancora dei riscontri però sappiamo che per diminuire ulteriormente i costi, perché chiaramente il mercato dei cellulari è un mercato crudele, si stanno rivolgendo addirittura a ditte ‘subappaltatrici’. Quindi presumo, anzi è ovvio sostenere che in queste ditte minori ci siano dei lavoratori provenienti dai vari lager cinesi o quant’altro; questo è logico pensarlo, però non abbiamo ancora riscontri: è ancora presto stabilirlo.

Quindi in questo caso specifico la Apple potrebbe non essere al corrente?

No, no perché ad esempio proprio Riccardo Morini, il portavoce di Amnesty Italia, ha interrogato delle multinazionali a questo proposito… Si sa che queste multinazionali, come dicevo prima, usano il cobalto, e quindi non possono non sapere delle condizioni dei lavoratori in Cina. Non possono non saperlo, perché è tutto un giro collegato. Si pensi che il sindacato in Cina non esiste, e quello ufficiale è legato al Partito Comunista Cinese, lo stesso Stato, perché tutta questa enorme mole di lavoro viene filtrata dal Pcc. Addirittura lo stesso Pcc fabbrica dei materiali per i cellulari. Quindi tutta questa situazione, tutti questi affari sono tutti controllati, tutti supervisionati dallo Stato.

Riguardo agli straordinari pagati, si sono incontrati per parlare di queste problematiche ultimamente (ma non è cambiato ancora niente perché chiaramente qui ci sono in gioco miliardi di dollari) il vice premier cinese Zhang Gaoli, e l’amministratore delegato della Apple e c’erano anche altri funzionari cinesi, quindi è ovvio che delle problematiche ne sono tutti al corrente. Certamente anche Amnesty International ha fatto le sue indagini e chiaramente le risposte delle multinazionali tra cui Apple, Hp, Lenovo, Lg, Microsoft, Samsung e Sony, che sono state interrogate, sono state evasive ed eludenti, non molto chiare.

Tra Apple Foxconn e lo Stato cinese c’è un legame molto stretto per quanto riguarda il mantenimento della forza lavoro. Come dicevo prima, il mercato è molto crudele quindi l’abbassamento dei costi va proprio a incidere sulla forza lavoro e sulle condizioni dei lavoratori; i sistemi di sicurezza sono inesistenti. Esistono ad esempio dei reparti dove il rumore è molto intenso e gli stessi dipendenti non hanno nessun sistema per proteggersi le orecchie. Inoltre bisogna considerare le molte ore di lavoro, si parla come minimo dalle 12 ore di lavoro. Sottopagate. Sono state ricavate persino delle stanze di fortuna, che sono dei veri e propri dormitori situati nei luoghi in cui queste persone lavorano.

I fornitori di Apple sono gli stessi di quelli di altre società tecnologiche?

Si parla di monopolio da parte di queste aziende fornitrici, quindi chiaramente ci sono altre società che si riforniscono da loro. La Foxconn non produce solo in Cina ma produce anche in Europa, anche in Turchia e nella Repubblica Ceca, dove si parla di 9 mila lavoratori. In Turchia ha 400 dipendenti.

La Apple fa dei controlli sui propri fornitori?

Dato che sono state rivolte molte accuse alla Apple, l’azienda ha detto che prenderà in esame il problema e cercherà di migliorare le condizioni dei lavoratori, ma a tutt’oggi la situazione non è cambiata: è rimasta pressoché uguale. L’unica cosa che è leggermente cambiata nel sistema di controllo, è che la pressione esercitata dalle varie guardie, che sono sistemate qua e là lungo i reparti per fare pressione sui lavoratori e per farli lavorare di più, è leggermente minore; ma a giudicare dalle affermazioni della Apple sembra che il problema sia molto meno esteso.

Recentemente, verso la metà di agosto di quest’anno, il Wall Street Journal ha riportato il suicidio di un lavoratore di 31 anni all’interno della Foxconn, e all’indomani una sua collega è morta dopo essersi buttata da un treno. La Foxconn è venuta alla ribalta nel 2010 e in quel periodo c’è stato proprio un boom di suicidi tra gli operai.

A parte il settore tecnologico ci sono altre grandi aziende occidentali che operano in altri settori che approfittano del lavoro sottopagato o anche dei lavori forzati?

Certamente sì, questa concorrenza così violenta è ovvio che crea una ricerca dell’abbattimento dei costi, quindi di quei posti dove vengono sfruttati i lavoratori.

Risulta che in queste aziende fornitrici lavorino dei minori? Se sì, quanti? Avete dei numeri?

Sì, anche nella stessa Foxconn ci lavorano dei minori di 16, 15 anni. Anche loro subiscono la stessa sorte degli altri e se non producono abbastanza neanche sono pagati, quindi sono soggetti a molte pressioni. Per quanto riguarda il numero… È talmente vasto il problema, che comunque siamo nell’ordine di migliaia di minori.

Una cosa vorrei dire però a questo proposito: perché nessuno si domanda dove vanno a finire i nostri cellulari, i nostri apparecchi che buttiamo via? Perché addirittura nella stessa Cina è vietato questo genere di commercio (ci sono delle leggi precise), però il business è molto elevato.
La gran parte di questi nostri cellulari finisce nella città di Guiyu in Cina, e lì le quantità di sostanze tossiche è molto elevata. Solo in questa città ci finiscono più di 11 milioni di tonnellate l’anno di rifiuti telefonici. Qui vengono sfruttati i migranti, prelevati dalle loro terre, dove poi costruiranno strade e industrie, per poi essere gettati in questa città a smembrare tutti questi cellulari, e sono soggetti alle varie inalazioni di tutte queste sostanze tossiche, perché lo fanno a mano, senza protezioni, bruciando letteralmente con il fuoco queste sostanze tossiche i cui livelli superano di 3 volte i limiti previsti. E lì sono sfruttati anche molti, molti bambini.

Nella fase finale di preparazione di questi cellulari invece viene utilizzato il benzene che uccide migliaia di operai in tutto l’anno: a livello globale per il solo benzene muoiono circa 300 mila persone, solo in Cina si valuta che circa 100 mila persone siano morte finora in seguito a intossicazione da benzene.

Nelle miniere di Cobalto si parla inoltre di 40 mila minori sfruttati, in Congo soprattutto, da parte di una multinazionale cinese, il cui nome è la Zhejiang Huayou Cobalt Ltd. A questo riguardo, dello sfruttamento delle miniere, si parla addirittura di un giro di 127 miliardi di dollari, un flusso di ingressi enorme. Enorme.
Quindi ne sono tutti consapevoli, perché fa tutto parte di una catena e ogni anello è ovvio che si congiunga. Tutto è denunciato dalle varie organizzazioni dei diritti umani, ma ancora oggi nulla è cambiato, perché in gioco ci sono interessi economici e politici a livello globale. E l’Italia non è esclusa.

Che informazioni ha riguardo alla proporzione dei lavoratori forzati in Cina? Quanti prigionieri risultano condannati ai lavori forzati in Cina e per quali tipo di condanne (a parte le condanne per reati di coscienza)?

In totale, tra prigionieri politici e religiosi si ritiene che siano circa 5 milioni di prigionieri, ma si pensi che in Cina ci sono ancora attivi 1420 lager. Questo sistema di lager, di campi di concentramento in Cina, è un sistema molto vasto dove viene introdotta ogni tipo di merce e quant’altro, però molto probabilmente questa cifra sia sottostimata, perché tutto quel che riguarda questo settore è controllato dal Partito Comunista Cinese, e quindi tutto quello che riguarda i lager e lo sfruttamento del lavoro è segreto di Stato.

Tutta la politica del Pcc è menzognera, il loro unico scopo, il loro unico dio è quello del potere e del denaro. E l’unica fede che bisogna rispettare e osannare, è la fede nel Partito Comunista Cinese. Qualsiasi cosa viene controllata e gestita dal Pcc, partendo da internet agli affari, tutto senza eccezione è gestito da loro.

Secondo lei che tipo di misure concrete potrebbe prendere una multinazionale come la Apple per lavorare in maniera etica con la Cina?

Questa è una bella domanda. Il mio parere personale, è che per lavorare in maniera etica con la Cina occorre che la Cina diventi anch’essa democratica. Perché di questioni etiche si può parlare in uno Stato democratico, e finché la Cina, che finora non ha dato nessun segnale, non inizia un lavoro di democratizzazione non può succedere niente.
Se guardiamo a quello che sta succedendo lì, persecuzioni contro ogni tipo di religione, ogni tipo di fede, contro i democratici… Come si pretende che la Apple o altri facciano delle cose etiche? È impossibile: non si parla di etica con un regime che si è macchiato dei più efferati crimini contro l’umanità.

 

Intervista adattata alla forma giornalistica

 
Articoli correlati