Roma dà il benvenuto al ‘dottor Morte’

Indecente, morbosa, oscena. Affascinante, scientifica, educativa. Questi alcuni dei termini in cui viene descritta la controversa mostra di corpi umani plastinati, la Body Worlds dell’imprenditore tedesco Gunther von Hagens (alias ‘dottor Morte’), a Roma dal 16 ottobre.

La mostra dei corpi plastinati rappresenta un campo di battaglia tra opposte fazioni di “moralisti” e “progressisti”. I primi sostengono che una simile ostentazione di cadaveri umani sia rivoltante, indecente e oltraggiosa della dignità umana – i morti vengono scuoiati, ripuliti dai tessuti adiposi, immersi in un liquido plastificante e poi impostati come manichini nelle più svariate pose, come giocare a tennis o timonare una nave.

I progressisti, invece, riconoscono al «connubio fra arte e scienza» delle mostre di Von Hagens una tale originalità da rasentare la genialità: un’occasione unica di poter riscoprire la meraviglia dell’essere umano.

Ma, d’altronde, la morale è sempre un terreno di confronto assai delicato, in cui ci si trova a dover rendere conto prima di tutto alla propria coscienza.

E in effetti il vero problema è un altro: chi erano e come si chiamavano, da vivi, i cadaveri plastinati esposti alla mostraBody Worlds? Una domanda che, purtroppo, è banale solo in apparenza.

Nel 1999 Von Hagens ha scelto di costruire il proprio stabilimento di plastificazione cadaveri in Cina. La sua ‘fabbrica’ si trova nella città di Dalian, nella provincia di Liaoning, una delle zone della Cina in cui è dimostrato si concentrino maggiormente le attività di prelievo forzato di organi a danno dei prigionieri di coscienza.

Molti in Occidente non sanno ancora nulla dell’atrocità rappresentata dal prelievo forzato di organi umani che, da diversi anni, vede il regime cinese fra i leader del mercato nero del traffico di organi umani. La realtà del prelievo forzato di organi in Cina – per inciso – è un dato di fatto dimostrato: oltre dieci anni di indagini svolte dall’avvocato canadese per i diritti umani David Matas e dall’ex segretario di Stato canadese David Kilgour, hanno fornito testimonianze, documentazioni e prove valide.

L’industria del prelievo forzato di organi in Cina è una vera e propria catena di montaggio degli orrori: arresto, detenzione, tortura, prelievo e decesso.

A partire dal 1999, infatti, il Partito Comunista Cinese (Pcc) è a capo di una macchina di morte per mezzo della quale centinaia di migliaia di persone – quasi tutte praticanti della disciplina spirituale del Falun Gong – sono state arrestate senza valido motivo, incarcerate senza processo, spesso torturate e poi uccise o lasciate morire dopo il prelievo degli organi, che di solito viene effettuato quando la vittima è ancora in vita.

Che fine facciano, infine, i cadaveri dopo il prelievo, non è dato di sapere con certezza.

Da questo punto in poi, infatti, non ci sono prove dirette ma solo indizi e sospetti, fondati anche sui seguenti fatti:

1. nella provincia di Liaoning, a partire dal 2000, sono stati imprigionati centinaia di migliaia di praticanti del Falun Gong e decine di migliaia di loro sarebbero morti nei campi di detenzione dopo aver subito il prelievo forzato degli organi;

2. le autorità cinesi non rendono conto a nessuno – né in patria né all’estero – del loro operato, e possono per questo facilmente disporre dei corpi delle vittime;

3. lo stabilimento di Gunther von Hagens a Dalian si trova nelle immediate vicinanze di uno dei campi di detenzione della provincia di Liaoning;

4. Von Hagens e quello che nel 2000 era il suo socio (ora diretto concorrente con la sua mostra gemella Bodies: the exibiton), il professor Sui Hongjing, erano in stretti rapporti con Bo Xilai, un potente uomo politico del Pcc e uno dei maggiori esponenti della corrente di Jiang Zemin (allora segretario del Pcc), artefice massimo della persecuzione del Falun Gong.

Il dubbio (e si sottolinea che, per quanto fondato, di dubbio si tratta) è quindi che il governo cinese sia stato il primo fornitore di “materia prima” del ‘dottor Morte’.

Von Hagens, da parte sua, risponde alle accuse sostenendo che è tutto in regola: i corpi sarebbero tutti di persone consenzienti o donati dalle famiglie dei defunti, e i documenti in suo possesso sarebbero in grado di dimostrarlo. Inoltre, i corpi plastinati non sarebbero di defunti cinesi ma occidentali.

Dubbi di provenienza e identità che dei banali test del Dna potrebbero fugare immediatamente, eliminando le pesanti ombre che gravano regolarmente sulle mostre di Von Hagen. Ma finora, a quanto pare, di test del Dna ai cadaveri non se ne parla.

I punti di vista espressi in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non rispecchiano necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

 
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