Cina, crescono i pensionati e i rischi dei nuovi fondi di investimento

Pechino sta tentando di centralizzare la gestione dei fondi pensione per incrementare i rendimenti e sostenere la crescente popolazione di pensionati.
Il problema serio è che sta dirottando molto di questo denaro in investimenti rischiosi: il piano di centralizzazione prevede il trasferimento di una parte dei fondi pensione locali e nazionali al Fondo per la Sicurezza nazionale (Nssf), un ufficio di Pechino che per mandato può investire in attività più rischiose, come azioni, fondi azionari e private equity.

In realtà, l’espansione di questo Fondo e l’investimento di questo denaro nel mercato azionario ha un duplice scopo per il regime comunista cinese. In primo luogo, investire nel mercato azionario dovrebbe in teoria generare maggiori rendimenti e aumentare la dimensione del fondo per coprire i crescenti impegni previdenziali, un cosa che i fondi locali e nazionali non potevano in precedenza realizzare a causa delle loro limitazioni negli investimenti e del basso tasso di interesse.

In secondo luogo, l’immissione di maggior denaro istituzionale nei mercati azionari cinesi potrebbe ridurre la loro volatilità, provocando di conseguenza una diminuzione dell’influenza dei volubili piccoli investitori.
In altre parole, il flusso di cassa più stabile derivante dai fondi pensione dovrebbe stabilizzare i mercati, che negli ultimi due anni hanno sofferto dell’improvviso afflusso e deflusso dei piccoli investitori.

Da giugno, durante la bolla della Borsa di Shanghai e la sua successiva caduta, Pechino ha iniziato a trasferire denaro al Fondo per la Sicurezza nazionale, che da dicembre 2015 ha gestito l’equivalente di 260 miliardi di euro. La provincia del Guangdong è stata la prima e altre province stanno seguendo l’esempio. 

ALTO RENDIMENTO, RISCHIO SUPERIORE

Attualmente i fondi pensione locali e nazionali per preservare capitale possono investire solo in investimenti particolarmente sicuri, come le obbligazioni bancarie e i titoli di Stato; ma a causa dei bassi tassi di interesse, che hanno generato ritorni esigui, molti di questi fondi non riescono a coprire i pagamenti. E questo in una fase storica in cui sempre più dipendenti statali stanno per andare in pensione.

Il Fondo per la Sicurezza nazionale non ha quelle restrizioni e può investire fino al 40 per cento in azioni. Alla fine del 2015, il 46 per cento del suo patrimonio era costituito da investimenti diretti in società, mentre la parte rimanente da risparmio gestito e investimenti, tra cui azioni. Secondo il Consiglio nazionale del Fondo di Previdenza sociale (che amministra il Fondo per la Sicurezza nazionale), la sua liquidità è aumentata nel 2015 del 15,2 per cento e dell’8,8 dall’inizio della sua creazione.

Sono certamente buoni utili (ammesso che queste cifre siano vere) ma i rendimenti degli investimenti e la politica monetaria sono spesso precari. Per esempio in circostanze differenti, come un maggior tasso di interesse, il reddito fisso dei fondi pensione locali e nazionali di una certa grandezza potrebbe superare quelli del Fondo per la Sicurezza nazionale, che per sua natura è più rischioso.

Dal momento che il trasferimento di liquidi dai fondi provinciali al Fondo nazionale sta andando avanti, le sorti di tutti i pensionati statali cinesi dipendono ora dai gestori di Pechino che stanno gestendo quegli investimenti. Il problema non sono le diverse strategie di investimento (i gestori competenti in materia possono discordare sulle scelte riguardanti la distribuzione dei fondi), quanto piuttosto che i pensionati dovrebbero preoccuparsi del fatto che i loro interessi non sempre coincidono con quelli di chi gestisce gli investimenti presso il Fondo nazionale.

SMASCHERARE I CREDITI IN SOFFERENZA 

Il Fondo nazionale sembra che stia già raddoppiando la sua rischiosa scommessa investendo in titoli tossici, una categoria di asset in aumento: una mossa probabilmente dovuta a pressioni politiche.

Attualmente quattro grandi società di gestione del risparmio, di proprietà statale e costituite per acquistare grandi quantità di crediti in sofferenza dalle banche cinesi, stanno racimolando nuovi capitali da una serie di investimenti strategici e di offerta pubblica iniziale provenienti da compagnie di assicurazione e fondi pensione.
Il Fondo nazionale investirà in almeno due di queste cosiddette ‘banche delle banche’: la China Great Wall Asset Management e la China Orient Asset Management. Dall’inizio del 2017, entrambe le società si daranno da fare per un’offerta pubblica iniziale.

Nel 1999 in Cina sono state istituite certe banche dal ‘dubbio’ ruolo, per risolvere i problemi dei crediti in sofferenza delle banche statali; crediti nei confronti di imprese statali che da anni gestivano malamente i fondi presi in prestito. Queste banche acquisivano crediti in sofferenza dalle banche statali alleggerendone i bilanci in modo che queste ultime potessero continuare a prestare soldi alle imprese statali, e fungendo essenzialmente da ‘paracadute’ per risolvere il problema dei crediti inesigibili della Cina.

Pechino è in grado di rimuovere questi beni svalutati – e talvolta senza valore – dai bilanci delle banche, scambiandoli per contanti o obbligazioni emesse dalle banche scadenti. È così che le grandi banche della Cina possono vantare un indice di crediti in sofferenza inferiore al due per cento.
Inizialmente, a queste banche venivano concessi mutui decennali per finanziare gli acquisti di beni e dovevano in teoria uscire di scena dopo aver esaurito in dieci anni i crediti in sofferenza. Ma l’economia del debito della Cina ha generato una tale massa di crediti in sofferenza, che queste banche necessitano di costanti iniezioni di capitale per continuare a comprare sempre più crediti in sofferenza.

Ed è in questa situazione che Pechino ha bisogno dell’intervento del Fondo nazionale e di altri piccoli investitori. Se c’è necessità di avere ulteriori prove che gli interessi di Pechino stiano andando a influenzare sempre più la gestione del patrimonio previdenziale, Lou Jiwei, ministro delle Finanze recentemente destituito, secondo la rivista finanziaria Caixin è stato nominato nuovo presidente del Fondo per la Sicurezza nazionale.

PREPENSIONAMENTO E AGITAZIONE SOCIALE

Allo stesso tempo, alcune province cinesi stanno istituendo un programma di prepensionamento che elimini i libri paga statali dei lavoratori. Almeno sette province, perlopiù nel Nordest, hanno annunciato questo programma, in parte per conformarsi alla direttiva di Pechino dello scorso anno secondo cui occorreva ridurre la produzione di acciaio e carbone.
Questi primi pensionati non contano ai fini delle statistiche ufficiali sulla disoccupazione e le loro prestazioni pensionistiche sono rinviate, una situazione simile alla politica degli anni 90 emanata dall’allora primo ministro Zhu Rongji.

In Cina l’età pensionabile ufficiale per i dipendenti statali è di 60 anni per gli uomini e 55 o 50 per le donne, in base alla posizione. I piani di prepensionamento generalmente accelerano di cinque anni queste norme e conferiscono al lavoratore uno stipendio ridotto durante i cinque anni, ma con l’obbligo di aspettare fino all’età pensionabile formale per godere della propria prestazione pensionistica.

Questo programma di prepensionamento ha generato un flusso di piccole ma crescenti proteste nella zona di Pechino. Se i rendimenti del Fondo nazionale vacillano e il Fondo nazionale avrà difficoltà a soddisfare i pagamenti in futuro, i problemi di Pechino potrebbero esacerbarsi rapidamente.

Articolo in inglese: ‘China Business & Economy China’s Pension Reform Diverts More Money into Risky Assets

Traduzione di Massimiliano Russano

 
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