Rio 2016, l’argento nel fioretto femminile visto da Margherita Granbassi

Giovedì 11 agosto, in Italia è da poco passata l’una di notte. La medaglia d’oro di Londra 2012 Elisa di Francisca sale sulla pedana per la sua seconda finale olimpica consecutiva nel fioretto femminile. La schermitrice azzurra, partita male, dopo un’entusiasmante rimonta manca il bis solo per una stoccata e deve ‘accontentarsi’ dell’argento. È l’undicesima medaglia Italiana di Rio 2016.

«All’inizio, gli assalti li ho visti dallo smartphone», racconta a Epoch Times Margherita Granbassi, bronzo olimpico nel fioretto individuale e a squadre femminile di Pechino 2008. La campionessa triestina sta vivendo la sua prima olimpiade da ex. Lo sport, il suo in particolare, le fa ancora accapponare la pelle: sensazione che ha trasmesso benissimo con l’entusiasmo, l’allegria e le parole di chi ha saputo cogliere il lato positivo della vita. Ha già superato da tempo il dispiacere per l’addio forzato alla scherma avvenuto nel marzo 2014, dopo aver subito il settimo intervento chirurgico al ginocchio, danneggiato per l’ennesima volta. E adesso «sono contenta sia successo – afferma senza rammarico l’ex componente del Dream Team – perché l’anno successivo sono diventata mamma: se non ci fosse stato quell’infortunio ora magari non avrei la mia piccola».

LA GARA DI MARGHERITA

Margherita si riferisce ancora alla finale del fioretto con l’espressione «la mia gara». «Dal fioretto femminile ci si aspettava sempre il massimo – commenta – il massimo che si sarebbe potuto ottenere in questa competizione, visti gli incontri, poteva essere un oro o un bronzo. È arrivato un argento. Credo che Elisa sia felice, ha dimostrato di esserlo. Perché riconfermarsi non è assolutamente semplice, è cosa da pochi. Nel fioretto femminile, l’hanno fatto grandissime atlete come Valentina Vezzali e Giovanna Trillini, e anche il suo nome verrà annoverato tra le grandi campionesse che si sono riconfermate su un podio olimpico».

Il torneo di fioretto femminile olimpico ha anche riservato due grandi sorprese, secondo la Granbassi. La prima è «il bronzo della tunisina (Ines Boubakri), il primo della storia che va a questa nazione, per quanto riguarda la scherma, che ha battuto un’atleta fortissima, una di quelle che a me piace di più schermisticamente, la russa Aida Sanaeva». La seconda, purtroppo, è l’inaspettata e inspiegabile débâcle di Arianna Errigo: la fiorettista monzese, che di solito fa dell’incredibile velocità e tempismo dell’attacco la sua arma vincente, ma «a un certo punto si è incaponita a voler attaccare. Lo faceva in maniera quasi insensata – osserva Margherita – probabilmente in quel momento le si erano chiusi tutti i circuiti».

È «come se si fosse quasi andata a cercare, inconsciamente, quella sconfitta – secondo l’analisi di Margherita – è stata una cosa incredibile. Mi dispiace molto, perché Arianna […] è un talento che avrebbe coronato un quadriennio perfetto, nel quale non si è fatta sfuggire nulla, ha vinto tantissimo. E giovane com’è, sembra predestinata a essere l’erede di Valentina Vezzali, nel senso che vince in continuazione, una cannibale […]. Posso immaginare come si possa sentire, lei che aspettava, come ha detto, “questa gara da quattro anni”».

UNA LEZIONE DI VITA

Ma sull’amaro sfogo della Errigo che, dopo aver subito la bruciante sconfitta, si è scagliata contro il suo ex maestro, Giulio Tommasin, Margherita sdrammatizza: «Il nostro è uno sport in cui siamo in qualche modo un po’ egoiste. Vorremmo che il nostro maestro fosse sempre per noi, il preparatore fosse sempre per noi, il fisioterapista… È uno sport individuale, per cui è ovvio che vengano fuori queste questioni – spiega – Credo che questo sia un po’ un insegnamento per la vita. Nella vita non sempre le persone con cui ti trovi a lavorare o a condividere delle cose sono quelle che scegli tu […]. La sola certezza è che dietro c’è sempre una famiglia, sicuramente l’elemento di cui ci si può fidare maggiormente. Alcune volte ti devi tappare il naso, soprattutto in occasioni del genere, devi far venire un po’ meno l’orgoglio e pensare un po’ di più alla pratica».

«Arianna è una ragazza molto istintiva, per questo dico che forse aveva bisogno di una guida che la portasse verso un ragionamento del genere […]. Però sono piuttosto fuori dall’ambiente da molto tempo per poter dare un giudizio obbiettivo».

MEDAGLIE ‘SCONTATE’

Nonostante qualche delusione, le medaglie sono arrivate. C’è «sempre chi da fuori magari pensa “beh dài, tanto la scherma vince”. Ma noi, che l’abbiamo vissuta, sappiamo che ci sono avversari di valore, che l’Olimpiade non è pari a nessun’altra gara e quindi non è mai scontato», puntualizza la Granbassi, che vede un grande futuro per la scherma, soprattutto nella 25enne Rossella Fiammingo, argento nella spada a Rio 2016: anche se ha vinto due ori mondiali non era così scontato arrivare preparati. «È una donna da grandi appuntamenti, l’ha dimostrato un’altra volta».

Mentre Daniele Garozzo, medaglia d’oro nella spada maschile a Rio 2016 a soli 24 anni, «mi è piaciuto molto per la personalità con cui ha interpretato la gara, tecnicamente il suo è stato un ottimo percorso. È un ragazzo giovane e ha veramente tanto da dire. Sarebbe stato bellissimo, una meravigliosa storia da raccontare, se anche il fratello [Enrico, ndr] fosse salito su quel podio, forse era il più accreditato [..]. Però quello è stato un momento molto emozionante».

IL GRANDE SOGNO

Margherita ha vissuto la sua prima grande emozione olimpica nel 1992, quando è iniziato il dominio delle fiorettiste azzurre: «Era estate, ero in vacanza quando Giovanna Trillini vinse l’oro di Barcellona anche con la squadra: da quel momento in poi è diventata il mio idolo, tra l’altro vinse quell’olimpiade col crociato rotto, con un tutore, all’ultima stoccata contro la cinese – racconta – non avevo la Tv nell’appartamento, ero in un bar sotto casa con un’amichetta, e ricordo questo grandissimo entusiasmo».

Mentre, durante l’olimpiade del 1996, quando «ho avuto la fortuna di andare ad Atlanta da spettatrice […] ero già pazzamente innamorata della scherma, ed è stato bellissimo poter vivere quel sogno così da vicino».

Ma il grande sogno si realizza alle olimpiadi 2004. Dopo l’orgoglio di aver fatto da sparring partner per le azzurre a Sidney 2000, Margherita si è conquistata un posto nella squadra azzurra per Atene. Tra l’altro, come quest’anno era prevista solo la «gara individuale di fioretto femminile. È stata la prima olimpiade in cui è entrata la sciabola femminile. Il Cio aveva detto: “Introduciamo la sciabola femminile ma non deve cambiare il numero di medaglie”. Da lì è iniziata la cosiddetta turnazione. Per me è stato bellissimo da un lato perché ero riuscita ad ottenere una qualificazione individuale – spiega Margherita – dall’altro, ovviamente tristissimo, perché sapevamo bene che eravamo le più forti e che l’oro olimpico l’avremmo portato a casa. Infatti quello stesso anno abbiamo vinto il mondiale a squadre. Un grandissimo bel ricordo, anche se poi la gara è andata male: avevo perso con quella che sarebbe stata la mia bestia nera, cioè l’unica avversaria con cui non avevo mai vinto».

Il rammarico per il risultato mancato «mi è stato utile per cominciare un quadriennio che è stato per me il migliore, quello appunto che da Atene è andato a Pechino, dove l’anno successivo, nel 2005, ho vinto la Coppa del Mondo. Poi i mondiali […] fino a raggiungere il podio olimpico. È stato sicuramente il quadriennio più entusiasmante della mia carriera; con tante difficoltà, perché comunque avevo subito da ragazzina, nel 2001, l’intervento al crociato che non era andato molto bene. Ho fatto molto fatica nel recupero. Dopo di che, dal 2008 evidentemente avevo dato tantissimo, talmente tanto che poi è stato un continuo di infortuni e di problemi. Da lì in poi ho subito altri tre interventi al ginocchio. Per cui Londra l’ho vissuta da spettatrice e, nello stesso tempo, distratta dal fatto che avevo ancora il sogno di tornare in pedana: ho riprovato con tutte le mie forze, facendo delle cose che ancora oggi mi chiedo dove abbia trovato la forza e la voglia. Però evidentemente la passione ti spinge un po’ oltre i limiti. E il desiderio di tornare a vivere quell’emozione mi dava un po’ questa forza, questa carica».

Ma da aprile 2015 la più grande passione di Margherita è diventata la piccola Léonor. Anche se adesso, guardando le gare sullo schermo «mi piacerebbe da un lato riprovare a fare qualche assalto, ovviamente senza velleità agonistiche olimpiche, dall’altro quasi quasi faccio un respiro di sollievo se mi immedesimo nei sentimenti e nelle sensazioni che provano i ragazzi lì in pedana, e dico: “Dài, ci sta bene anche così”».

 
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