Regeni tradito da ‘amici’ del sindacato?

Il caso di Giulio Regeni è ormai all’attenzione di tutto il mondo. Il ragazzo, torturato in tutti i modi, dai pugni, ai tagli, alle scosse elettriche ai genitali, forse possedeva informazioni che non voleva fornire. O forse, ipotesi ancora più terribile, non le possedeva affatto.

Molti ritengono che Regeni fosse un agente segreto o potesse essere stato scambiato per tale. I genitori del ragazzo hanno fortemente respinto questa teoria: «Provare ad avvalorare l’ipotesi che Giulio Regeni fosse un uomo al servizio dell’intelligence – afferma la famiglia secondo Ansa – significa offendere la memoria di un giovane universitario che aveva fatto della ricerca sul campo una legittima ambizione di studio e di vita».

Non sempre, comunque, i genitori sono informati a pieno delle attività dei figli. In ogni caso, per motivare le torture non c’era bisogno che Regeni fosse davvero una spia. Il fatto è che poteva averne avuto tutta l’aria: straniero, studiava in Gran Bretagna, ricercatore, si occupava di studiare l’opposizione egiziana e si esprimeva in suo favore.

Ma quello che in questo caso non quadra affatto, è il rinvenimento del corpo: perché – se sono state le autorità egiziane a torturarlo – non hanno fatto sparire il cadavere? Questo ha portato molti a credere che si possa trattare di un complotto anti-egiziano.

Una tesi suggestiva, e che apparentemente fila bene, è quella pubblicata da La Stampa, secondo cui Regeni non sarebbe stato scambiato per una spia anti-governativa, ma per una spia anti-opposizione. Un buon modo per controllare le opposizioni è inserirvi degli agenti all’interno. E forse gli appartenenti ai sindacati egiziani hanno visto con sospetto questo ricercatore di Cambridge, si sono convinti che sia una spia e hanno architettato uno stratagemma non solo per farlo parlare, ma forse per far ricadere apposta la colpa della sua morte sul governo egiziano: due piccioni con una fava.

Membri di queste opposizioni al governo di Al-Sisi potrebbero aver spinto Regeni a uscire di casa, magari per un incontro, per poi in realtà portarlo via e torturarlo. Il tutto in una giornata delicata, l’anniversario della rivoluzione anti-Mubarak, in cui la polizia tende a fare molti più controlli e a ricorrere più facilmente alla violenza. Un giorno perfetto.

Anche questa, come tante altre, è solo una teoria, con i suoi difetti; in particolare il fatto che è estremamente rischioso escogitare un simile complotto contro il proprio governo.

Diviene chiaro, però, che è troppo semplice additare il colpevole più ovvio; e che negli intrighi internazionali, il colpevole più ovvio può essere facilmente la vittima. Alla luce di tutto questo sembrano divenire sagge, le parole a prima vista oppressive, del commentatore americano Edward Luttwak, che consigliava all’Italia di starsi buona e zitta, finché non ha delle prove, dal momento che l’Egitto è un alleato prezioso.
L’Egitto, secondo Luttwak, sarebbe infatti un alleato fondamentale per tenere a bada i Fratelli Musulmani, ritenuti il pericolo numero 1 dall’esperto di geopolitica.

 
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