Regeni torturato per 7 giorni. I ricercatori esteri ora temono l’Egitto

Giulio Regeni sarebbe stato torturato per sette giorni di fila. Lo riportano diversi i media italiani, citando fonti della procura egiziana e l’autopsia del medico Hisham Abdel Hamid. L’Egitto smentisce.

È l’ennesimo degli elementi controversi – non si sa se veri o falsi – che continuano a spuntare nel caso. E insospettiscono le continue smentite dell’Egitto, che però non fornisce dettagli sul caso, e più volte teorizza crimini comuni, negando fermamente che il giovane ricercatore italiano sia stato ucciso dai servizi segreti.

Se confermato, questo dettaglio del caso sarebbe particolarmente importante. Il ragazzo sarebbe stato interrogato e torturato per una settimana, con ogni probabilità perché sospettato di essere una spia, cosa probabilmente non vera. Ma Regeni studiava i sindacati egiziani e l’opposizione al regime, con la quale simpatizzava.

Uno dei tanti effetti internazionali della vicenda, è che i ricercatori hanno forti ragioni per smettere di visitare il Paese; da tempo, d’altronde, gli studiosi esteri subiscono forti pressioni e anche violenze, quando si recano in Egitto per i loro studi. «Conosco vari altri studiosi – racconta a Egypt Independent Amy Austin Holmes, docente presso l’American University del Cairo – che hanno lavorato su questioni simili, e sono stati arrestati, incarcerati, a cui è stato impedito di entrare in Egitto o che sono stati costretti ad andarsene».
«Molte persone non lo sanno, perché quando accade questo, gli studiosi in questione di solito stanno zitti, sperando così di ottenere la prossima volta il visto».

Le teorie sulla morte del ragazzo sono tante, ma si può anche pensare che con un brutale omicidio l’Egitto abbia voluto scrollarsi di dosso i tanti ricercatori esteri, tra i quali è possibile si nascondano delle spie. E anche quando non sono spie, il materiale da loro raccolto è molto utile ad altri governi.

Se è vero che Regeni è stato torturato per un’intera settimana, viene ancor più rafforzata la convinzione che chiunque l’abbia sequestrato sospettasse che il ragazzo fosse una spia. La teoria dell’omicidio plateale a scopo intimidatorio, nei confronti di studiosi e giornalisti esteri, spiegherebbe il fatto che il corpo sia stato rinvenuto e non sia stato distrutto. Lo stesso fatto è stato interpretato talvolta come indizio di innocenza del governo egiziano, possibile vittima di un complotto dell’opposizione. Ma dato che, corpo o non corpo, chiunque sospetterebbe prima di tutto delle autorità egiziane, il rinvenimento del cadavere non depone necessariamente a favore della teoria innocentista.

Intanto prosegue la campagna di Amnesty International e della famiglia del ragazzo per mantenere alta l’attenzione sul caso. Dal mondo dell’impresa, a esprimere solidarietà c’è Eni, che ha rilasciato la seguente dichiarazione: «Le risposte che attendete sono assai importanti anche per noi, perché il rispetto di ogni persona è alla base del nostro operare […] Abbiamo fiducia nel lavoro che si sta facendo da parte dei governi egiziano e italiano», riporta Repubblica.

L’Eni è un’azienda particolarmente importante nei rapporti con l’Egitto, per via dei suoi grandi investimenti petroliferi nel Paese delle piramidi. È inoltre legata ai servizi segreti, come il presidente Renzi ha rivelato il 3 aprile 2014 dalla Gruber: «L’Eni è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi, i servizi segreti».

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