Referendum trivelle, botta e risposta Sì-No

Con l’avvicinarsi del 17 aprile, il dibattito sul referendum delle trivelle va avanti a colpi di articoli sul web, mentre è quasi ignorato dalle Tv principali. Al netto degli attacchi reciproci, la differenza tra i due schieramenti sembra risiedere nel livello di determinazione al passaggio alle rinnovabili.

Anche il fronte dell’astensione, infatti, si dice a favore delle rinnovabili, ma senza strappi eccessivi: è «sbagliato dare un parere definitivo [con il referendum, ndr] su quello che si può fare e non si può fare» secondo Giordano Masini, uno  dei membri dell’associazione Ottimisti e razionali. Per Masini bisogna semplicemente lasciare mano libera alle autorità, le quali valuteranno eventuali impatti ambientali e nel caso intraprenderanno adeguate misure per mettere in sicurezza gli impianti.

Per Greenpeace questi impatti ambientali esistono già, e sono gravi. Citando un rapporto Ispra condotto per conto di Eni, l’organizzazione ambientalista punta il dito contro gli impianti di estrazione di gas, facendo notare che le acque marine nei loro dintorni risultano inquinate oltre i limiti. I dati di Ispra riguardano però solo una parte delle zone in cui sono presenti impianti, e non forniscono un quadro completo. Masini, dal canto suo, non esclude che possano esserci danni ambientali, ma andrebbero risolti attraverso le tecnologie disponibili, senza rinunciare agli impianti.

Non c’è ragione – ritiene il giornalista di Strade, membro di Ottimisti e Razionali – di chiudere a priori gli impianti e di rinunciare a dei combustibili fossili presenti sul territorio nazionale. Greenpeace, d’altro canto, non intende rallentare ulteriormente, nella marcia verso un futuro rinnovabile. Andrea Boraschi, a capo della campagna Energia e Clima di Greenpeace, ritiene che la visione dell’organizzazione ambientalista sia in linea con le intenzioni europee: arrivare ad abbandonare le fonti fossili entro il 2050.

DI NOTTE IL SOLE NON C’È

«Comprendo chi dice che la riconversione energetica sia più importante – risponde Masini – ma anche così dovremmo usare comunque una piccola parte di fonti fossili come energia di riserva» perché «di notte il sole non c’è», e non sempre ci sarà vento.
Boraschi risponde invitando «queste persone» a «studiare», riferendosi ai metodi per conservare l’energia solare, oltre che a far «pace con l’Unione Europea e con tutte le grandi economie del mondo, persino con le grandi aziende energetiche», che secondo l’attivista «stanno progettando un futuro […] in cui le rinnovabili garantiranno il 99 per cento, se non il 100 per cento delle energie di cui avremo bisogno».

Masini ribatte che anche se si trattasse di un 1 per cento, le non-rinnovabili ci serviranno ancora. E non vede motivo per chiudere degli impianti già esistenti. Visto che li abbiamo – si chiede – perché non usarli?

PERICOLOSO SMANTELLARE?

C’è persino chi (come Piercamillo Falasca, in un’intervista a Linkiesta) sostiene che smantellare gli impianti prima dell’esaurimento del giacimento sia molto pericoloso. Ma il provvedimento che prevede che le aziende possano rinnovare le loro concessioni per estrarre petrolio e metano fino all’esaurimento dei giacimenti – che è esattamente l’oggetto del referendum – è entrato in vigore solo circa due mesi fa, ricorda Boraschi.

«Quindi ci stanno dicendo che hanno installato degli impianti che comunque fino a due mesi fa andavano smantellati prima dell’esaurimento del giacimento» ma solo ora spunta il problema? «Si stanno dando la zappa sui piedi da soli», sostiene l’ambientalista.

POSTI DI LAVORO

Un’altra polemica in corso, che vede volare numeri di tutti i generi, è quella sui posti di lavoro che si perderebbero in caso di vittoria del . Secondo Boraschi, che cita il ministro dell’Ambiente, i lavoratori degli impianti interessati dal referendum sono 70, mentre gli Ottimisti e Razionali parlano di migliaia: fino a 11.000 posti di lavoro a rischio.

La differenza sta nel fatto che questi ultimi considerano anche i lavoratori non direttamente legati alle ‘trivelle’, ma che comunque beneficiano dell’indotto all’interno del ciclo produttivo. Masini parla di migliaia di posti di lavoro, e anche più; ammette, in realtà, di non avere dati precisi, ma in ogni caso ritiene la problematica importante.

Boraschi invece contesta la questione alla base. Il provvedimento che rinnova le concessioni, ricorda ancora, è entrato in vigore nei mesi scorsi. La vittoria del sì ripristinerebbe semplicemente lo stato della situazione di dicembre 2015, dal punto di vista della durata delle concessioni: la precedente era «una normativa che fino ad allora non era stata mai, e sottolineo mai, contestata dalle aziende, dai sindacati, dai lavoratori».

«È incredibile – ironizza Boraschi – che fino a due mesi fa ci fosse questa gigantesca crisi occupazionale» e tutti se ne siano accorti solo ora. Insomma i posti di lavori, più che persi, andrebbero de-ottenuti, per usare un neologismo. Si tratta, cioè, di lavoratori in più, che sarebbero stati assunti o che avrebbero visto un prolungamento del loro contratto di lavoro, sebbene non necessariamente di lunga durata. Sono insomma posti di lavoro virtuali. Mentre i danni ambientali – sottolinea Boraschi – sono reali.

RIASSUNTO 

Arrivando al punto, il succo di questa intricata diatriba si riassume in poche domande:

1) I danni ambientali sono reali? Ci sono indizi che questo pericolo sia effettivo e anche fortemente realistico, secondo un esperto del settore intervistato da Epoch Times. Tuttavia non risulta esistano studi effettivamente completi. Inoltre, per Masini, i danni possono essere risolti migliorando la sicurezza.

2) È giusto sacrificare dei posti di lavoro (per quanto ‘virtuali’) per velocizzare il passaggio alle rinnovabili? C’è chi dice no e chi dice sì. Boraschi fa anche notare che l’investire sulle rinnovabili può generare numerosi posti di lavoro

3) È meglio abbandonare tutto e seguire le rinnovabili, o è meglio sfruttare le risorse che comunque abbiamo, dato che gli impianti ci sono? Anche questa è una domanda spinosa. Ed è proprio per rispondere a questo genere di domande che esistono i referendum.

 
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