Referendum costituzionale, gli argomenti del sì

In vista del referendum costituzionale del 4 dicembre, Epoch Times ha intervistato il dott. Nicola Pignatelli, attualmente professore di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università degli Studi di Bari. Pignatelli è tra i firmatari di un documento per il ‘sì’ al referendum. 

Nei due mesi che precedono il referendum, Epoch Times offrirà approfondimenti e interviste, con commentatori di entrambi i fronti, allo scopo di fornire ai lettori un’informazione approfondita e imparziale sul tema.

Professor Pignatelli, lei ha firmato un manifesto per il sì. In che modo ritiene che questa riforma possa beneficiare il Paese?

Questa riforma, approvata dal Parlamento nel rispetto delle regole procedimentali sulla revisione costituzionale, tenta di risolvere molteplici criticità del sistema istituzionale, oggetto di un dibattito trentennale; un tentativo di razionalizzare la II parte della Costituzione (quella che organizza i poteri dello Stato) lasciando immutati i principi fondamentali e la I parte della Costituzione (quella sui diritti e i doveri), limitando il Governo, ricollocando al centro del sistema il Parlamento, non compromettendo gli organi di garanzia (Magistratura, Presidente della Repubblica, Corte costituzionale).

Il superamento del bicameralismo paritario, la semplificazione del procedimento legislativo, la migliore distribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni sono alcuni dei benefici possibili di questa razionalizzazione, rispettosa dei contrappesi.

Il nuovo Senato sarà composto prevalentemente da consiglieri regionali e sindaci, che saranno tutelati dall’immunità. Tuttavia questi sindaci e consiglieri regionali, pur essendo stati eletti dal popolo, non sono stati eletti in quanto senatori. Non ritiene problematico che si fornisca l’immunità a dei senatori non eletti?

In realtà non si tratta di senatori non eletti, posto che si prevede espressamente, pur con una formula non felice, che i senatori saranno eletti dai Consigli regionali “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri”. In altre parole al momento del rinnovo dei Consigli regionali, i cittadini avranno non solo la responsabilità di eleggere i propri rappresentati territoriali ma anche di indicare chi tra questi debba rappresentare il proprio territorio a livello nazionale. Si tratta quindi di una elezione di secondo grado, che serve a garantire il collegamento con le autonomie territoriali, ad immettere nel cuore dello Stato le istanze ed i bisogni dei territori; l’elezione diretta avrebbe neutralizzato in radice tale collegamento. Ciò posto, il Senato sarebbe stato indebolito se non fosse stata prevista l’immunità parlamentare anche per i suoi membri. Si tratta, infatti, di una garanzia voluta dai Costituenti a tutela del Parlamento contro indebite ingerenze della Magistratura. Il problema non è la sua previsione ma l’abuso che storicamente ne ha fatto il Parlamento. In questa logica, dopo Mani Pulite, l’immunità parlamentare è stata ridimensionata. Oggi la Costituzione prevede due tipologie di immunità parlamentare: la insindacabilità per le opinioni espresse e i voti dati (già voluta dai Costituenti per i consiglieri regionali) e la inviolabilità penale (che non limita l’avvio delle indagini penali ma soltanto singoli atti penali). La riforma riduce i beneficiari di queste immunità (100 senatori anziché 315).

Dopo la riforma, la Corte Costituzionale dovrà esaminare preventivamente le nuove leggi elettorali. Sebbene questo possa evitare errori come quello della legge Calderoli, c’è chi si oppone a questo principio in quanto politicizzerebbe la Corte. Cosa ne pensa?

Attualmente la Corte costituzionale svolge un sindacato ‘successivo’, ossia su leggi vigenti. Tuttavia le leggi elettorali rappresentano una sorta di zona d’ombra della giustizia costituzionale; le vie di accesso alla Corte sono assai strette. Vi è una difficoltà strutturale nel controllare la legittimità delle leggi elettorali. Non a caso il giudizio sulla l. n. 270/2005 (cd. Porcellum) si è fondato su una forzatura. Tuttavia anche quando tale controllo successivo viene esercitato, si pone la problematica degli effetti di una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale e quindi della sorte degli organi eletti. Una esigenza di certezza giuridica sembra ispirare l’opzione del controllo preventivo, congegnato dalla riforma. Tale controllo non può dirsi politico; è un controllo di natura giuridica, analogo a quello che attualmente è esercitato in via successiva.

C’è chi sostiene che il quesito referendario sia fuorviante, in quanto, pur non affermando il falso, semplificherebbe la questione mostrandola in una luce positiva ed eliminando i dettagli più controversi. Cosa ne pensa?

Il quesito ripropone semplicemente il titolo della legge di revisione costituzionale approvata dal Parlamento, analogamente ai referendum costituzionali del 2001 e del 2006. Un elenco degli articoli modificati non avrebbe certamente aiutato la consapevolezza del voto. Peraltro nessuno ha mai contestato, nel lungo iter parlamentare, quel titolo. Mi sembra peraltro singolare che sia stato censurato il recente decreto di indizione del referendum, quando quello stesso quesito, ritenuto fuorviante, era già stato dichiarato ammissibile dall’Ufficio centrale della Corte di cassazione.

È d’accordo con il fatto che questa riforma porterà a un governo più forte, e quindi a un Parlamento più debole?

In realtà è esattamente l’inverso. Questa riforma limita il Governo e rimette al centro del sistema il Parlamento. Non vi è alcuna disposizione che rafforzi il Governo. La razionalizzazione del riparto legislativo Stato-Regioni attribuisce un nuovo ruolo proprio al Parlamento. La limitazione del potere di decretazione d’urgenza evita che il Governo si sostituisca al Parlamento nella produzione normativa. Anche lo strumento del voto a data certa costituisce un disincentivo fattuale all’uso dei decreti legge, rafforzando quindi la centralità del Parlamento.

Ci sono degli aspetti della riforma costituzionale che non la convincono?

Ci sono. Alcune disposizioni potevano essere scritte in modo più chiaro. Il tema delle Regioni speciali non è toccato. La I parte della Costituzione esigeva forse un aggiornamento, anche alla luce delle Carte dei diritti sovranazionali. Tuttavia si tratta di una riforma frutto non di un dibattito scientifico ma di un serrato dibattito politico. Siamo chiamati a votare sullo spirito complessivo, che mi sembra equilibrato. Una riforma che risponde a temi sul tappeto da 30 anni.

Dal momento che la funzione del Senato cambierà, cosa avverrà a quelle leggi che sono state approvate dalla Camera prima della riforma, ma che non sono ancora passate al Senato, e non vi passerranno prima della riforma?

In primo luogo dobbiamo tener presente che esiste uno scarto temporale. L’art. 41 del ddl costituzionale prevede che le disposizioni della riforma, fatte alcune eccezioni, si applicano a decorrere dalla legislatura successiva allo scioglimento di entrambe le Camere. In ogni caso in ogni legislatura si inizia sostanzialmente da zero. Quindi la questione non è decisiva.

 

Per saperne di più:

 
Articoli correlati