Qual è l’ideologia dell’Fmi?

Proprio come le banche centrali, il Fondo monetario internazionale è un enigma per molti: le persone di sinistra di solito lo vedono come simbolo del capitalismo clientelare più frenato e quelle di destra pensano sia un gruppo di burocrati e pianificatori centrali che cercano di conquistare il mondo. E in un certo senso entrambe le fazioni potrebbero avere ragione.
Se però si osservano gli incontri annuali del Fondo, come quelli di questo ottobre, l’aspetto da burocrati e pianificatori centrali sembra più forte, almeno nelle dichiarazioni e comunicazioni pubbliche.

Commentando sulla crescita relativamente forte nel settore privato, l’Fmi, nel suo studio World Economic Outlook, ha espresso alcune critiche e ha chiesto ai governi nazionali e alle istituzioni internazionali di risolvere vari problemi. Per esempio, il capo economista Maurice Obstfeld intravede uno «spiraglio d’azione» per risolvere le disuguaglianze negli stipendi e nella ricchezza. E chiede tasse più alte, regolamentazione finanziaria, investimenti statali nelle infrastrutture e nell’istruzione, promozione dell’innovazione e una migliore rete di sicurezza sociale.
E, ovviamente, chiede ancora di più di quella saggia politica monetaria, pianificata a livello centrale dalle banche centrali. Non sa dire, tuttavia, quale sarebbe la politica da applicare, esattamente.

Il direttore operativo dell’Fmi, Christine Lagarde, ha condiviso a sua volta quest’idea, e ha affermato che i governi dovrebbero «riparare il tetto finché c’è ancora il sole». Anche le richieste volte a rinforzare il commercio non hanno previsto che i governi si togliessero di mezzo nel contesto del commercio privato, bensì hanno richiesto ai governi di imporre ancora più regole.

Il capo degli affari fiscali dell’Fmi, Vitor Gaspar, ha sostenuto l’idea di un reddito minimo universale (che in sostanza verrebbe attuato con un grande piano di ridistribuzione statale) e, di nuovo, quella di spendere di più su istruzione e infrastrutture, mantenendo al contempo un budget stabile e riducendo il debito. Questo, ovviamente, sarebbe possibile solo aumentando le tasse, cosa che, per Gaspar (e la Lagarde) non costituisce un problema: «C’è spazio per aumentare le aliquote fiscali massime senza diminuire la crescita».

TASSE PIÙ ALTE PER I RICCHI

La richiesta di tasse più alte ha fatto infuriare l’amministrazione Trump, che attualmente sta lavorando a una proposta di tagli. I commenti di Obstfeld, quando gli è stato chiesto di questi tagli negli Usa, non sono stati d’aiuto (anche se potrebbero avere una certa validità): «I policymaker devono pensare a lungo termine, cosa che per i politici spesso non è abituale».

Nel mondo reale, cioè al di fuori del quartier generale dell’Fmi a Washington, i Paesi con tasse più basse, come Svizzera, Liechtenstein e Singapore, stanno andando relativamente bene rispetto a quelli con alte tasse come la Francia, che sotto il presidente François Hollande ha dovuto accantonare il proprio piano di imposizioni fiscali di stampo confiscatorio per evitare un esodo di massa di ricchi e imprese.

Inoltre, Gaspar crede nella vecchia visione keynesiana secondo cui i governi possano seguire il ritmo dei cicli finanziari, spendendo quando l’economia va giù e accumulando riserve finanziarie quando va su. Un qualcosa che di fatto non accade mai, e soprattutto non è avvenuto durante la recente ripresa economica, fase in cui quasi tutti i Paesi hanno continuato ad accumulare debito nonostante siano passati otto anni dalla fine della recessione (2009).

«Le tasse sono necessarie – dice Obstfeld – per assicurarsi che [i governi, ndr] abbiano la capacità di risolvere il loro debito pubblico e di accedere ai mercati di credito». Inoltre «la politica fiscale dovrebbe evitare la prociclicità». Ma questo non avviene mai.

Dall’altra parte, né Lagarde né Obstfeld, né Gaspar hanno menzionato, nemmeno una volta, l’impresa privata, il libero mercato o l’imprenditoria individuale. Quindi, nel caso in cui si fosse confusi, sulla filosofia economica che guida il Fmi, gli incontri di quest’anno dovrebbero eliminare ogni dubbio: il Fondo si ostina a credere nell’economia keynesiana e a promuoverla. Nonostante si tratti di una filosofia smontata dagli economisti sia di sinistra che di destra.

 

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non rispecchiano necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Inside the IMF’s Ideology

Traduzione di Vincenzo Cassano

 
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