La morte del settore privato in Cina

Il settore privato, un tempo motore per la crescita, sembrerebbe aver abbandonato la Cina. A giugno gli investimenti delle società private hanno avuto segno negativo e a luglio sono calati di un altro 0,6 percento. Mese dopo mese si registra una crescita in negativo: una situazione assolutamente inimmaginabile durante il boom di qualche anno fa, in cui la crescita superava il 20 percento.

La banca d’investimenti Morgan Stanley scrive in una nota: «Riteniamo che oggi il rallentamento degli investimenti privati sia più strutturato, trascinato verso il basso da ritorni di investimenti deboli e da un calo della fiducia nelle imprese, il tutto in un contesto di assenza di regole e di riforme limitate. È difficile che i forti investimenti delle imprese statali possano controbilanciare del tutto queste debolezze; al contrario, potrebbero invece creare un eccesso di produttività e intaccare i rendimenti dei capitali».

Per la prima metà del 2016, gli investimenti privati sono stati solo del 2,4 percento su base annua. Fatto preoccupante proprio perché il settore privato è responsabile della maggior parte dello sviluppo economico reale in Cina e dell’efficace allocazione dei capitali.

Per riequilibrare il declino degli investimenti privati, lo Stato ha ‘usato’ le imprese statali come strumenti politici fiscali controciclici. La quota di investimenti delle imprese statali nelle attività fisse è cresciuta del 23,5 percento rispetto alla prima metà del 2015. Morgan Stanley ritiene che, dati gli investimenti inadeguati degli anni precedenti, l’eccesso di capacità produttiva e le crescenti inadempienze, questa scelta sia stata pessima.

Morgan Stanley osserva, quindi, che le società private stanno evitando investimenti in settori come il minerario e il siderurgico che sono afflitti da sovra produttività. Inoltre, non possono nemmeno investire nel settore dei servizi in modo libero, a causa delle elevate barriere d’ingresso e dell’eccessiva regolamentazione. Gli investimenti privati fuori dal settore manifatturiero – cioè nei servizi – nella prima metà del 2016 sono calati dell’1,1 percento su base annua, rispetto alla crescita del 15 percento che si era verificata nel 2015. Le imprese statali, al contrario, hanno rafforzato del 39,6 percento gli investimenti nel settore dei servizi. Impossibile, quindi, parlare di un ribilanciamento efficace dei servizi, che è stato considerato uno dei punti cardine per la riforma dell’economia cinese. Un ribilanciamento sta avvenendo, ma a favore dello Stato.

Complessivamente, non ci sono buone opportunità di investimento, e gli oneri finanziari per le imprese private sono pari al 15 percento, quindi sono molto più alti del rendimento sugli asset. Diversamente dalle aziende statali, le società private cercano di essere redditizie ma non ottengono profitti dalla lenta economia cinese.

Inoltre, l’assenza di progressi nella tanto pubblicizzata agenda delle riforme colpisce la fiducia nelle imprese e la visibilità finanziaria. Zhang Qiurong, proprietario di un giornale specializzato in economia, ha dichiarato al Wall Street Journal: «Le prospettive economiche sono davvero scoraggianti. Per prima cosa bisogna sopravvivere».

Le sensazioni di Zhang sono riflesse dall’indice di incertezza politica dell’economia cinese che è aumentato in modo costante e che ha raggiunto ora un livello record, se ci si riferisce ai valori a cominciare dal 2012, quando è avvenuto l’ultimo passaggio di leadership nel Partito Comunista.

Quale è il risultato di questa incertezza? Le società stanno ‘nascondendo’ denaro in banca, ovvero lo investono ma non lo spendono.
Sheng Songcheng, capo dell’Ufficio analisi e statistiche alla Banca popolare di Cina, a inizio anno ha dichiarato: «Nonostante l’immissione di liquidità nel mercato, le società preferiscono tenere il denaro in conti correnti in mancanza di buone opzioni di investimento. Questo comportamento è in linea con i dati raffiguranti gli scarsi investimenti privati». A luglio i versamenti e i depositi a breve termine alle banche sono cresciuti del 25,4 percento.

Il 15 agosto, Xinhua ha riportato che, per neutralizzare le preoccupazioni di uno ‘schianto’ degli investimenti privati in Cina, il regime ha tempestivamente annunciato un programma di investimenti in partnership fra pubblico e privato (PPP) del valore di 1,6 trilioni di dollari attraverso 9 mila 285 progetti.
Viktor Shvets, stratega globale della Macquarie Securities, afferma: «Il governo tenterà di includere nelle spese anche il settore privato attraverso politiche fiscali e monetarie».

Il problema è che questa strategia difficilmente funzionerà. Morgan Stanley commenta così il programma di investimenti in partnership tra pubblico e privato: «L’impatto del PPP sulla crescita degli investimenti cinesi probabilmente sarà limitato, considerando i pochi progetti in esecuzione (meno dello 0,5 percento del totale degli investimenti), e il basso rapporto di partecipazione degli investitori privati che ancora oggi si registra […] L’esperienza internazionale mostra che i finanziamenti privati negli investimenti pubblici implicano grossi rischi fiscali in mancanza di una buona organizzazione legale e istituzionale». In questo momento, una buona organizzazione legale e istituzionale non sembra però essere il punto forte della Cina.

Se il PPP e gli stimoli a breve termine in campo sia monetario che fiscale non funzioneranno, la Cina dovrà davvero istituire delle riforme per spingere il settore privato a spendere di nuovo.

Articolo in inglese: Why Have Private Chinese Companies Stopped Investing Altogether?

Traduzione di: Davide Fornasiero

 
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