Perché gli economisti continuano a sbagliare

Gli economisti continuano a sbagliare dai tempi della crisi del 2008 e questo condiziona tutti. Dalle previsioni sbagliate del Fondo Monetario Internazionale e di Wall Street, alle politiche sbagliate della Federal Reserve e del governo Usa, una teoria economica errata ha un impatto su tutto e tutti. L’anno scorso è andata particolarmente male: non è stata azzeccata nessuna previsione sui principali eventi, dal Brexit all’elezione di Trump, né gli effetti di questi eventi sui mercati e sull’economia.

In realtà, l’economia tradizionale sta costantemente sbagliando dai tempi della crisi globale del 2008. Forse il mainstream non ha compreso qualcosa di profondamente sbagliato in merito ai modelli e alle teorie utilizzate, e viene da domandarsi per quale motivo siano state escluse teorie e teorici alternativi. Inoltre, le persone attualmente in carica continuano a sbagliare e anche questo è un problema degno di riflessione.

Se una persona lavora per aziende come General Motors o Ibm e non ha un lavoro perché sono state delocalizzate Messico, può dare la colpa a una teoria economica sbagliata. Il modello di libero scambio sostenuto dalle élite dell’Fmi a Harvard, aveva promesso di creare dei posti di lavoro per il mondo in via di sviluppo mantenendo al contempo quelli nel mondo sviluppato. 

Ma non ha funzionato, perché la teoria del libero scambio, sviluppata dall’economista David Ricardo, è vecchia di 200 anni: «La teoria di Ricardo non funziona in un mondo di fattori mobili [costituiti da capitale e lavoro, ndr]. Funziona solo se tutti giocano secondo le regole. Il libero scambio non produce risultati ottimali perché non è mai libero. Si tratta di una casa costruita su ipotesi di sabbie mobili, che non esistono nel mondo reale e non esisteranno mai», ha scritto l’analista James Rickards nel suo libro ‘The The Road to Ruin: The Global Elites’ Secret Plan for the Next Financial Crisis [La strada per la rovina: Il piano segreto delle élite globali per la prossima crisi finanziaria, ndt]. 

I grandi economisti del Fondo Monetario Internazionale e la Fed hanno fallito nelle loro previsioni di crescita su ogni grande economia che dominava prima e dopo la crisi finanziaria. Quei governi e aziende che fanno i loro piani in base a previsioni ottimistiche (questi modelli non prevedono una crisi), prendono una batosta quando non si concretizzano.
«Sono provvisti di modelli che estrapolano quello che sta succedendo, devono essere d’accordo l’uno con l’altro e si stanno coprendo le spalle ‘con mestiere’. Per questo sbagliano sempre», ha dichiarato Woody Brock, presidente della società di consulenza Strategic Economic Decision.
Inoltre i ‘risk manager’ di Wall Street fanno ancora uso degli stessi modelli di rischio che hanno portato alla crisi dei mutui subprime: quando il castello di carte è crollato, sono stati bruciati i risparmi di milioni persone e gli Usa sono precipitati nella peggiore recessione dalla Grande Depressione. 

E, dato che questi stessi modelli sono tutt’ora in uso, la prossima crisi è proprio dietro l’angolo: «Considerano il settore finanziario come conseguenza dell’azione economica, non come una causa. Ma sappiamo che se qualcosa va storto il settore finanziario è una causa», ha spiegato Steve Keen, professore alla Kingston University di Londra e autore di Debunking Economics [Ridimensionamenti economici, ndt].

Dopo la crisi finanziaria, lo stimolo fiscale e l’emissione di denaro senza precedenti da parte delle banche centrali di Stati Uniti, Europa e Giappone, avevano promesso un solido recupero che in realtà non si è visto. «L’idea di queste élite, è che se l’indiscusso dottore ricercatore economista (che pensa bene al doppio mandato) occupa la poltrona di presidente della Fed e se l’offerta di moneta viene considerata coma una leva per muovere il mondo, l’economia globale può essere riportata in equilibrio e funzionare come un orologio di precisione svizzera», sostiene Rickards. 

MODELLI ERRATI 

Gli economisti condizionano il mondo con tutte le loro idiosincrasie, avvalendosi di modelli matematici poco puliti che dovrebbero prevedere il futuro – un impegno storicamente riservato a maghi e profeti, almeno nelle discipline umanistiche. E le vere scienze, come la fisica, vengono ignorate. 

Tuttavia quei modelli, non importa quanto siano sofisticati, seguono la vecchia legge dell’informatica scoperta negli anni 50: ‘Garbage in, garbage out [spazzatura dentro, spazzatura fuori. Ossia: una macchina elabora tutto in modo acritico, anche dei dati senza senso, producendo di conseguenza risultati senza senso, ndt]. 

Il modello più importante per gli economisti neoclassici tradizionali è il modello dinamico stocastico di equilibrio generale. Questa teoria sostiene che l’offerta soddisfa la domanda e le funzioni economiche girano come un orologio. Fino a quando qualche evento improvviso esterno sconvolge questa teoria.
Questi modelli sono stati confutati, nella teoria e nella pratica, e si basano su ipotesi che non valgono nel mondo reale. Ad esempio, si prevede che le persone prendano decisioni basate sulla matematica e sui modelli economici, e non perché magari ci si annoia a lavoro e si vuole fare shopping online. Eppure, vengono ancora utilizzati dalle banche centrali di tutto il mondo, così come dalle istituzioni come l’Fmi e dai governi mondiali, per creare ad arte politiche fiscali e monetarie.
«Il clan [delle élite monetarie] concorda che i mercati sono efficienti, sebbene abbiano delle imperfezioni. Sono d’accordo che la domanda e l’offerta producano equilibri locali e che la somma di questi equilibri generi un equilibrio generale. Quando l’equilibrio viene perturbato, può essere ripristinato attraverso la politica», scrive Rickards, che fa inoltre notare come l’equilibrio «sia una facciata che nasconde complesse dinamiche instabili». 

Comunque le carenze di questo modello sono così evidenti che Paul Romer, capo economista della Banca Mondiale, ha parlato in controtendenza rispetto all’élite economica dominante, pubblicando nel 2016 una pungente critica ai macroeconomisti in generale e ai modelli di equilibrio nello specifico; in questo intervento, The Trouble with macroeconomics, Romer ha sentenziato in modo duro che «i modelli su larga scala attualmente utilizzano delle ipotesi riconosciute ma incredibili per giungere a conclusioni sconcertanti. I macroeconomisti si beano all’idea che le fluttuazioni degli aggregati macroeconomici siano causate da scossoni immaginari, invece che dalle azioni intraprese dalle persone. E quando i macroeconomisti concludono che sia ragionevole ricorrere a delle variabili immaginarie e forzate, ne aggiungono altre». 

Ed è proprio il modello dinamico stocastico di equilibrio generale che ha portato Ben Bernanke, ex presidente della Fed, a fare nel 2015 queste dichiarazioni sul suo blog in merito al tasso di interesse di equilibrio: «Se la Fed vuole vedere la piena occupazione di capitale e lavoro (cosa che naturalmente fa), allora il suo compito equivale a utilizzare la sua influenza sui tassi di interesse del mercato per spingere i tassi verso livelli coerenti con il tasso di equilibrio o – più realisticamente – con la sua migliore stima del tasso di equilibrio, cosa che non è direttamente osservabile».
Pertanto il tasso che la Fed vuole raggiungere, quello che dovrebbe presumibilmente portare al miglior utilizzo di capitale e lavoro (si ricordi l’ipotesi dietro al concetto di equilibrio), non è direttamente osservabile, e la Fed deve quindi indovinarlo.

Non c’è quindi da meravigliarsi se la Fed non potrà mai prevedere nessuna crisi. Anzi, spesso le provoca tenendo bassi i tassi per un tempo eccessivo, per poi alzarli nel momento più inopportuno. E non c’è da meravigliarsi nemmeno del fatto che l’economia ancora non decolli, nonostante i tassi di interesse a zero per quasi un decennio. E questo introduce un altro problema. 

LE CRISI NON SI ADATTANO 

«Ignorano moneta e credito, i fattori probabilmente più importanti verso cui si muove l’economia», sostiene Keen. Per esempio, Bernanke a marzo 2007 aveva detto al Congresso Usa che «l’impatto causato dai mutui subprime sulle economie e i mercati finanziari maggiori sembra destinato a essere contenuto». Ma non è stato vero.
«Loro estrapolano solo le tendenze attuali e diventano questioni rilevanti solamente se non esiste alcun cambiamento nelle cose che stanno ignorando. Quindi, se c’è un cambiamento in termini di denaro, credito e debito, tendono a sbagliare completamente e questo è quello che è successo nel 2008», ha detto Keen. Mentre per Romer, «quello che conta nel modello non è il denaro, ma le forze immaginarie».
Di solito, gli economisti convenzionali usano la scusa che nessuno può prevedere l’arrivo di un particolare evento, come la crisi del 2008. Ma questo è vero solo se a dettare legge sono solo gli economisti convenzionali e tutti gli altri non contano nulla. 

Keen aveva infatti previsto la crisi del 2008, utilizzando dei modelli post-keynesiani, che comprendono il debito privato; come aveva fatto Ray Dalio di Bridgewater Associates (una ‘leggenda’ nel campo degli hedge fund), che ha realizzato anche dei modelli riguardanti il debito privato. Ci sono decine di altre persone che hanno fatto come lui, traendone profitto. E nessuno di loro segue la corrente principale.
Rickards aveva previsto la crisi del 2008 utilizzando la Teoria della complessità, un sistema preso in prestito dalla fisica e che non ha nulla a che fare con il modello dinamico stocastico di equilibrio generale e il cosiddetto ‘avvenimento normale’ o la distribuzione del rischio.
«Le crisi scoppiano perché i chi fa le regole non comprende le proprietà statistiche dei sistemi stessi che ‘regola’ – ha scritto Rickards – Esistono modelli che funzionano bene grazie all’identificazione di bolle che utilizzano la Teoria della complessità, l’inferenza causale e l’economia comportamentale, anche se il momento esatto del collasso resta difficile da prevedere».

Sono principalmente i fisici che utilizzano la Teoria della complessità, ma può essere applicata anche nei mercati finanziari. A differenza dei modelli di equilibrio, i sistemi complessi ammettono piuttosto frequentemente il verificarsi di eventi estremi. Questa teoria prevede anche un ciclo di feedback dinamico, dove i fattori causali possono imparare dalle loro azioni passate e da altri fattori.
Brock ha motivo di credere che anche gli economisti della Fed e di altre istituzioni si affidino eccessivamente a dati storici per le loro previsioni: «Sono addestrati a pensare che la storia sia tutto» osserva Brock; mentre un numero sufficiente di dati può individuare svariati rapporti di tipo economico: «Tutto va bene fino a quando non avvengono cambiamenti strutturali e il rapporto precedente si interrompe».
I cambiamenti strutturali, come un eccessivo debito nel sistema, nel 2008 hanno messo l’economia in ginocchio e ora impediscono alle persone di realizzare il potenziale di massima crescita. «’Cambiamenti strutturali’ vuol dire che i dati storici non saranno validi, per cui è necessario utilizzare il proprio discernimento; in questo modo si roconoscono le differenze».

In poche parole, secondo Rickards «i mercati dei capitali sono stati condannati a una serie di calamità, mentre gli accademici diventati banchieri centrali hanno aspettato decenni di ulteriori dati per convincerli dei loro fallimenti». 

Tuttavia, fatta eccezione per Romer, gli economisti convenzionali non sono convinti che esista qualcosa di sbagliato nel loro modo di fare. 

LA TORRE D’AVORIO 

Esistono diversi motivi per cui gli economisti non possono o non vogliono vedere i difetti lampanti nei loro modelli e nel loro modo di pensare. 

Secondo Brock, l’analisi personale dei cambiamenti strutturali esporrebbe gli economisti a fare degli sbagli, un rischio che non possono accettare: «La maggior parte delle persone che fanno quei lavori, nei casi estremi sono avversi al rischio. Le probabilità soggettive non possono essere dimostrate come vere. Fanno le cose laddove possano sempre confermare le decisioni con dei dati. E non importa che i dati siano irrilevanti».
Keen ritiene poi che questa avversione al rischio si combini con il desiderio di mantenere il potere: «Se gli economisti tradizionali ammettono di sbagliare e quindi hanno ragione i post-keynesiani, i primi devono andarsene, e lasciar lavorare noi. Non lo farebbe nessuno». 

Ma considerando i loro tristi risultati, viene da domandarsi come queste persone debbano poter occupare le loro posizioni per così tanto tempo. Il problema, secondo Keen, inizia nel mondo accademico e, senza soluzione di continuità, arriva fino ai centri di potere: «Nell’economia, tutte le persone non-ortodosse non possono ottenere posti di lavoro nelle principali università, poiché non sostengono il paradigma convenzionale. Noi non riusciamo a ottenere visibilità e non facciamo nemmeno parte di questo dibattito».

È questa mancanza di dibattito creativo che ha privato gli accademici e i politici dei migliori strumenti per interpretare e gestire i problemi economici. Gli economisti tradizionali vivono nel loro mondo e hanno rinunciato a servire la scienza. E secondo Romer preferiscono piuttosto asservirsi ai loro capi: «La conformità ai fatti non è più necessaria come modalità di coordinamento, dal momento che la direzione data da un’autorità è in grado di irreggimentare gli sforzi di molti ricercatori. Di conseguenza, se i fatti smentiscono la visione teorica ufficialmente autorizzata, questi ultimi diventano secondari». Finché «alla fine, l’evidenza cessa di essere rilevante, e i progressi nel campo vengono giudicati dalla purezza delle teorie matematiche, come stabilito dalle autorità».

Romer ha poi fatto notare che, mentre alcuni economisti convenzionali si sono arrabbiati per la sua critica, altri concordano a grandi linee ma non hanno il coraggio di parlare in pubblico; una «modalità di fallimento generale della scienza» che non è nuova: quando Niccolò Copernico disse ai suoi colleghi nel XVI secolo che la Terra girava intorno al Sole, e non il contrario, per lui furono guai. 

Sia Keen che Romer pensano che la scienza sia un sistema di credenze. Gli esseri umani trovano difficile rinunciare alle loro nozioni largamente diffuse, anche se sono già state smentite. Keen ha spiegato che «l’umanità condivide un sistema di credenze. Se esiste un sistema di credenze, si vive in mondo tale da promuovere quel sistema e si viene criticati quando si mette in discussione. La reazione iniziale di ogni disciplina è di rafforzare il proprio sistema di credenze attuali».

Il processo «inizia distinguendo i campi di ‘ricerca’ dai campi di ‘credenza’. Nei campi di ricerca come la matematica, la scienza e la tecnologia, la ricerca della verità è il mezzo di coordinamento. Nei campi di credenza come la religione e l’azione politica, sono le autorità che coordinano gli sforzi dei membri del gruppo», ha scritto Romer, che ritiene che la macroeconomia si sia trasformata in un campo di credenza. 

COSA SI PUÒ FARE? 

L’economia è definita una scienza triste, ma non è inutile: ci sono economisti e modelli che possono spiegare il complesso dei comportamenti umani, che definiscono decisioni politiche migliori. E gli studiosi convenzionali hanno dovuto ammettere che la loro visione equilibrio-centrica del sistema economico è sbagliata.

«Nel Ventesimo secolo, abbiamo sviluppato la tecnologia per inviare le persone sulla Luna. Questo implica dei sistemi di non-equilibrio. Se si suppone un equilibrio in questo processo, allora gli astronauti sono morti», ha spiegato Keen, che ha aggiunto che gli economisti dovrebbero prendere a prestito da questi rami della scienza per modellare l’economia come un sistema di non-equilibrio e, naturalmente, includere la moneta e il debito.
Secondo Brock gli economisti devono di volta in volta sbagliare per cogliere i cambiamenti strutturali: «Bisogna conoscere bene la Teoria dei giochi e quella politica per capire» questi cambiamenti. Non assicurano un risultato certo al 100 per cento, ma forniscono piuttosto delle probabilità. Mentre il mainstream sostiene che i suoi modelli abbiano sempre ragione, anche se falliscono regolarmente nei momenti cruciali.
Rickards ritiene che i mercati dei capitali dovrebbero essere analizzati come un sistema complesso, caratterizzato da una distribuzione non normale di rischio.

Tuttavia, tutti questi cambiamenti sono possibili solo se gli economisti inizieranno ad aderire nuovamente ai metodi scientifici, «rifiutando qualsiasi dipendenza da un’autorità centrale, i membri di un campo di ricerca sono in grado di coordinare i loro sforzi indipendenti solo mantenendo un impegno costante nella ricerca della verità [tramite il consenso, ndr], che emerge da molte valutazioni indipendenti, fatte da persone che accettano la propria fallibilità e accettano la possibilità di sovvertire ogni pretesa di autorità», sostiene Romer. 

SCOMMESSE SICURE 

Nel qui e ora, esistono alcune politiche che la maggior parte degli economisti statunitensi non convenzionali considerano come scommesse sicure. Una di queste è la reintegrazione del Glass-Steagall Act, una legge bancaria del 1933 istituita ai tempi della Grande Depressione: questa legge separa le banche commerciali dalle banche d’affari, una legge in vigore fino alla sua abrogazione nel 1999, a opera dell’allora presidente Bill Clinton. 

Per Rickards «la Glass-Steagall ha lavorato esattamente a favore di quello che suggerisce la Teoria della complessità. Rompendo il sistema bancario in due parti, questa legge rese ogni parte più forte restringendo la scala sistemica, diminuendo le forti connessioni e troncando i canali attraverso cui un fallimento di un’istituzione avrebbe compromesso [tutto il sistema, ndr]».
Questa abrogazione è, infatti, un classico caso in cui si cerca di adattare la realtà ai modelli economici, piuttosto che il contrario: per Keen «gli economisti volevano l’abrogazione poiché si inserisce nel loro modello di funzionamento di come dovrebbe funzionare l’economia». 

Un altro segnale di pericolo certamente riconosciuto è il debito privato. Secondo Keen una volta che il debito privato raggiunge il 150 per cento del Pil, una crisi finanziaria è quasi inevitabile: «Esistono zone a rischio in cui è meglio non entrare». 

Keen e Rickards entrambi sostengono il rafforzamento del ruolo del lavoro nell’economia, attuando alcune misure commerciali protezionistiche e dando ai lavoratori una maggiore influenza nelle rispettive aziende. Secondo Brock, gli investimenti nelle infrastrutture, una tassazione ridotta e la deregolamentazione sono le giuste leve nella politica fiscale e «costituiscono gli incentivi più importanti per determinare la crescita». 

Tuttavia, nessuno dei due economisti e degli analisti citati ritiene che gli esseri umani potranno mai raggiungere la perfezione attraverso la modellazione o delle previsioni. È invece più importante lasciar andare un falso senso di orgoglio e imparare dagli errori del passato: «La scienza e lo spirito di illuminazione sono le più importanti realizzazioni umane – ha scritto Romer – E contano più delle ‘idee’ di chiunque al mondo».

 

Articolo in inglese: ‘Why Economists Can’t Get It Right

Traduzione di Massimiliano Russano

 
Articoli correlati