Olio di palma, tutti i retroscena fra lobbying e rischi per salute e ambiente

È un olio tropicale, è molto utilizzato nei prodotti industriali ma la sua salubrità divide i nutrizionisti: da qualche anno l’olio di palma è in qualche modo salito agli onori della cronaca, ma non tutti sanno che nasconde problemi di natura etica e ambientale.

Per conoscere e approfondire questi aspetti, Epoch Times ha intervistato Roberto La Pira, giornalista, tecnologo alimentare e direttore de Ilfattoalimentare.it, quotidiano online indipendente che pubblica articoli su tematiche alimentari, riguardanti in particolar modo sicurezza, etichettature, legislazione, nutrizione e analisi di prodotti.

Dottor La Pira cos’è l’olio di palma e in quali alimenti si trova?

L’olio di palma è un olio vegetale tropicale estratto dalle palme, precisamente dal frutto della palma coltivata in zone come l’Indonesia, la Malesia, un po’ in Africa e anche in Sudamerica. Ha una grande resa poiché costa poco produrlo e siccome negli ultimi dieci anni la richiesta è cresciuta in modo esponenziale, per la coltivazione è stato progressivamente sottratto terreno alle foreste tropicali.
Per soddisfare la richiesta del mercato vengono continuamente bruciate e disboscate le foreste, poi viene venduto il legnane pregiato e impiantate le coltivazioni di palma da olio. Questo succede ormai da anni, gli incendi continuano e coinvolgono intere regioni: è una cosa disastrosa a livello ambientale. L’anno scorso stava per saltare il Gran Premio di Formula 1 di Singapore a causa del fumo degli incendi.

L’olio di palma ha una buona resa, una composizione acidica molto simile a quella del burro dal punto di vita degli acidi grassi saturi e per questo viene utilizzato da tantissime aziende alimentari italiane. Due anni fa abbiamo sollevato in Italia questo problema dicendo che l’olio di palma era presente in quasi tutti i prodotti alimentari. Andando al supermercato era normale trovarlo in moltissimi prodotti: dalla crema alla nocciola ai grissini, dagli snack, al latte in polvere, dai biscotti alle fette biscottate.

Con l’entrata in vigore della  legge n° 1169 del 13 giugno 2014, che imponeva l’indicazione chiara dei grassi utilizzati in etichetta, è stata confermata la nostra tesi sulla presenza dell’olio tropicale in quasi tutti i prodotti alimentari. A questo punto Il Fatto Alimentare insieme a Great Italian Food Trade [un portale italiano che condivide le eccellenze del Bel Paese come punto di incontro tra gli operatori commerciali globali, ndr] ha lanciato una petizione online su change.org in cui chiedevamo alle aziende di ridurre la quantità di olio di palma e dare la possibilità al consumatore di scegliere un prodotto senza creare problemi all’ambiente.
Alcune aziende ci hanno seguito, dicendo che si sarebbero impegnate a creare nuove ricette (cosa non facile poiché implica il cambiamento dell’etichetta e della formulazione).
Sul nostro sito abbiamo cominciato a stilare un elenco composto da 50/60 prodotti senza olio di palma come biscotti, fette biscottate, eccetera. Adesso siamo arrivati a 600. Esselunga è stata una delle prime a risponderci, ma altre piccole aziende ci hanno detto che si sarebbero date da fare e infatti dopo 7 mesi/1 anno abbiamo avuto i primi  riscontri.

Contro la nostra campagna si è mobilitata l’Aidepi, l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane, che raggruppa la quasi totalità delle aziende produttrici di prodotti da forno come: Ferrero, Bauli, Barilla, Colussi eccetera. Questa associazione dopo un anno circa, nel settembre 2015, ha lanciato una vasta campagna pubblicitaria sui giornali per dire che l’olio di palma era buono e non distruggeva l’ambiente perché veniva da coltivazioni controllate. Sei mesi dopo è stata lanciata una seconda campagna, molto più invasiva che ha coinvolto non solo i giornali, ma anche le televisioni, siti internet con un investimento complessivo di circa 8/10 milioni di euro (sono nostri calcoli mai smentiti da Aidepi).

Questa campagna è stata lanciata a seguito della petizione di cui ha parlato?

La petizione è stata fatta due anni fa. Gli associati di Aidepi si sono organizzati e dopo 7/8 mesi hanno investito 57 mila euro per fare una manovra di lobby per informare i media; attraverso  incontri e conferenze stampa con i direttori e i responsabili dei giornali. Poi è seguito anche un viaggio di 25 giornalisti in Malesia, come parte di questa manovra e con un budget separato.

In che cosa è consistito il viaggio dei 25 giornalisti in Malesia? Per verificare che le condizioni fossero sostenibili?

Non siamo stati invitati. Per quanto ho potuto sapere, i giornalisti sono andati a vedere le coltivazioni sostenibili di olio di palma che fanno parte della Rspo [Roundtable on Sustainable Palm Oil, la Tavola rotonda dell’olio di palma sostenibile, un’associazione senza fini di lucro che unisce tutti i soggetti interessati nella produzione dell’olio di palma e che si impegna a produrre un olio sostenibile secondo determinati criteri e rilasciando la certificazione Rspo, ndr] e i laboratori  di controllo qualità.
Ma l’olio di palma sostenibile rasenta il 20 per cento dell’olio venduto nel mondo; e questo vuol dire che il disboscamento selvaggio continua, e anche l’habitat dell’orango viene progressivamente distrutto.
Nel frattempo la nostra petizione è andata avanti e abbiamo raccolto 176 mila firme. Sono apparsi tantissimi articoli sull’argomento e molte televisioni hanno ripreso la notizia della petizione. Nel febbraio 2016, anche a seguito di una nostra richiesta, l’Istituto superiore di Sanità è uscito con un documento sull’olio di palma in cui segnalava l’eccessiva presenza di grassi saturi nell’olio di palma e l’elevata presenza di questo grasso nella dieta degli italiani, soprattutto dei ragazzini.

Ha parlato di grassi saturi. È questo il motivo per il quale si dice che l’olio di palma faccia male?

Non è il prodotto che fa male: è l’eccessiva quantità di grassi saturi assunti nella dieta dei bambini attraverso il palma che fa male. Il burro, che è molto più buono ed è il grasso ideale per i dolci, ha una composizione di acidi grassi saturi simile e presenta gli stessi problemi. Per arrivare a completare la quantità di grassi saturi nei bambini, bastano pochi biscotti. Nel nostro sito, abbiamo riportato un esempio di come si superi facilmente la quota di grassi saturi con una dieta normalissima.

Si dice che l’olio di palma sia difficile da sostituire e che è facile che gli alimenti irrancidiscano se si utilizza un altro olio.

Questa è una storiella, che hanno raccontato le aziende per poi cambiare idea. Cosa significa instabile? Significa che i biscotti, anziché durare 18 o 24 mesi, si conservano 16/18 mesi. Quindi vuol dire che i biscotti non si conservano due anni, ma un anno e mezzo. Mi sembra un problema secondario vista la velocità di commercializzazione e consumo dei prodotti. Vorrei ricordare che Mulino Bianco, che è la marca leader di biscotti in Italia, sta togliendo dall’intero assortimento il palma e non credo che la stabilità possa essere un buon motivo per ritardare il cambiamento.

Prima ha detto che l’olio di palma ha un’alta resa e un basso costo di produzione.

Esatto. Le aziende l’hanno utilizzato in grande quantità perché costa poco ed è funzionale.

Quindi probabilmente è questo il punto per le aziende alimentari.

Il punto per cui le aziende hanno sempre utilizzato e utilizzano l’olio di palma, è perché costa meno. Risparmiare su una materia prima come il grasso, che ha una grossa incidenza sul costo delle materie prime, è più importante che risparmiare sullo zucchero che ha un prezzo inferiore.

Nei nuovi prodotti senza olio di palma, quali altri oli sono stati utilizzati?

Olio di colza, olio di girasole, olio di mais, olio di oliva, olio di cocco nei gelati. Mulino Bianco sta sostituendo il palma da tutti i prodotti con altri oli e fa anche pubblicità dicendo che i prodotti sono senza olio di palma e con la metà di grassi saturi.

Ho letto che l’olio di palma contiene sostanze cancerogene.

Nel maggio 2016 l’Efsa [l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, un’agenzia dell’Unione europea che fornisce consulenza scientifica in materia di rischi nella catena alimentare, ndr] ha redatto un documento secondo cui l’olio di palma – e questo le aziende lo sapevano – durante il processo di raffinazione contiene due sostanze cancerogene, una delle quali genotossica [in grado di causare modifiche a livello del Dna della cellula, ndr], in quantità almeno dieci volte superiore rispetto agli altri olii di semi: il 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), e il 2-monocloropropandiolo (2-MCPD).

Vorrei ricordare che fino a due anni fa le aziende nascondevano l’utilizzo dell’olio di palma, utilizzando nell’etichetta la dicitura generica ‘olii vegetali’. Ci sarà un motivo, no? Perché se si usa l’olio extravergine le aziende lo scrivono a caratteri cubitali sulle etichette, mentre non hanno detto per anni di usare olio di palma?
Il problema è che tutti gli olii di semi, tra cui in particolare l’olio di palma poiché è rosso, vengono raffinati e quello di palma è sempre stato considerato di mediocre qualità.

Per quale motivo l’olio di palma viene raffinato?

Tutti gli olii di semi utilizzati in Europa vengono raffinati per essere impiegati dall’industria alimentare e questo vale soprattutto per l’olio di palma perché è rosso. Subiscono quindi un processo in cui vengono decolorati, degommati, deodorati e deacidificati.

I prodotti senza oli tropicali continuano ad aumentare?

La tendenza è ormai irreversibile. Quando il leader del settore – Mulino Bianco della Barilla – decide di cambiare processo produttivo, tutti gli altri devono adeguarsi. È una questione di mercato. All’inizio Colussi e altre 14 aziende avevano rimosso l’olio di palma prima di Barilla, ma non sono leader e quindi rappresentano una scelta individuale. Barilla ha preso la decisione di cambiare le ricette per non perdere quote di mercato.

In Italia fino a due anni fa veniva genericamente scritto nell’etichetta ‘olii vegetali’. Adesso, in presenza dell’olio di palma deve essere riportato il suo nome per esteso?

Sì. Come dicevo in precedenza, in base alla normativa del 13/06/2014 è obbligatorio indicare gli olii utilizzati non con la generica scritta ‘olio vegetale’ ma indicando lo specifico olio utilizzato. Si è scoperto che l’olio di palma è molto utilizzato e dopo quello di oliva è il più utilizzato nei prodotti alimentari in Italia. Ma a livello industriale è il più presente nei prodotti alimentari industriali e praticamente non esisteva fino a 10/15 anni fa.

Non esisteva l’olio di palma fino a 10/15 anni fa?

No, il boom del palma è avvenuto in questi ultimi 10/15 anni. Prima si usavano gli acidi grassi trans che erano peggiori o altri oli vegetali.

In precedenza ha detto che in Italia si consuma molto olio di palma.

Nel 2015 è stato il principale importatore e utilizzatore europeo. In Francia producono e utilizzano molto olio di colza, negli altri Paesi si impiega anche molto burro e altri grassi.

Ho letto che i 3/4 dell’olio di palma importato in Italia serve per produrre energia elettrica.

Ho parlato dal punto di vista alimentare; non voglio intervenire sul suo utilizzo a scopo industriale. C’è una differenza sulle importazioni: greggio per scopi industriali, raffinato per scopi alimentari. Comunque anche la benzina verde si produce grazie all’olio di palma; paradossalmente si distruggono foreste per produrre benzina ecologica. Secondo me, è un grosso paradosso.

Nel processo di produzione di olio di palma, oltre a problemi di sostenibilità ambientale ne esistono anche di natura etica?

Sì è una realtà, soprattutto nelle zone in cui non esiste un catasto della foresta tropicale. Nella produzione di questo olio in alcune zone esiste un sistema di appropriazione indebita di terre, dove evidentemente ci sono possedimenti non accatastati che vengono tolti ai contadini o allontanati, oppure vengono trasformati da coltivatori a dipendenti. È un sistema affidato a grandi aziende che commercializzano l’olio di palma nel mondo, non una microagricoltura, anche se quest’ultima realtà esiste.

Si parla quindi di sfruttamento dei lavoratori.

È una conseguenza. Il land grabbing [l’acquisizione di terreni su larga scala da parte di governi o soggetti transnazionali, ndr] di fatto funziona così. Non ci vuole molto a togliere della terra a gente che ha sempre coltivato ma non è mai stata proprietaria.

In che cosa consiste l’olio di palma sostenibile? Rappresenta una buona soluzione?

L’olio di palma sostenibile costituisce il 20 per cento della produzione mondiale dell’olio in questione. Una parte di aziende si è quindi impegnata a rispettare certi canoni ma sono stati sempre elastici, tant’è vero che a gennaio di quest’anno sono state riviste le regole, adottando provvedimenti più specifici. Le grandi aziende alimentari hanno chiesto all’Rspo ulteriori garanzie, che sono state date a livello opzionale; questo per dire che prima non erano sufficienti.
Dopodiché qualche mese fa, è stato licenziato uno dei principali fondatori dell’Rspo poiché accusato da Greenpeace di non rispettare le regole. Adesso, da circa un mese, è rientrato a farne parte, sebbene Greenpeace abbia dato un parere negativo per la scelta. L’Rspo rilascia delle garanzie ma non sono così severe e inoltre non arrestano la deforestazione e gli incendi, che iniziano a settembre e vanno avanti per mesi.

L’Unione europea ha preso posizione sull’olio di palma?

No. L’Efsa ha redatto a maggio 2016 questo documento [in cui dichiarava la presenza di tre sostanze tossiche nell’olio di palma, ndr] e la Commissione europea dovrebbe, in teoria, prendere posizione. È la Commissione Europea che deve fare una scelta politica e adottare eventualmente delle restrizioni normative, l’Efsa è un organismo scientifico che evidenzia e analizza un problema e pubblica un parere scientifico.

Quali sono gli effetti di un’eccessiva assunzione di olio di palma?

Direi più precisamente di acidi grassi saturi, che di olio di palma. Sono questi grassi che rendono il sangue più denso, con conseguenti problemi cardiaci e di circolazione sanguigna, ma soprattutto cardiaci, per cui bisogna limitarli. Questo è quanto scrivono i medici. Se una persona mangia 50 grammi di burro al giorno si agita, se invece assume attraverso il cibo industriale 50 grammi di olio di palma al giorno, non si preoccupa. In realtà da un punto di vista nutrizionale è la stessa cosa.

Questo a causa del contenuto di acidi grassi saturi, anch’essi presenti nel burro?

Sì, tutto lì. Concludo che Il Fatto alimentare sta lanciando in questi giorni una petizione per rimuovere l’olio di palma dal latte in polvere, che veniva utilizzato per bilanciare la composizione. Ma in realtà esistono sul mercato latti in polvere che non lo contengono, come due tipologie della Plasmon e di altre marche. Considerate le contaminazioni dell’olio di palma raffinato di tipo genotossico e cancerogeno sollevate dell’Efsa, è logico pensare di sostituire al più presto il grasso tropicale nel latte per neonati. Le case produttrici si stanno comunque dando da fare.

Come mai secondo lei la presenza di olio di palma nel latte in polvere è una giustificazione?

Non è che sia giustificato, è che il latte in polvere deve avere una composizione precisa: essere il più possibile simile al latte materno. L’olio di palma è ricco di un grasso saturo, l’acido palmitico (come d’altro canto l’olio d’oliva) e quindi un tassello interessante nella composizione della ricetta complessiva. Però è anche vero che quindici anni fa nessuno usava l’olio di palma. Quali grassi venivano allora utilizzati? In ogni caso sul mercato italiano esistono sette confezioni di latte in polvere per bambini senza olio di palma. Abbiamo riportato la lista sul nostro sito.

Quali consigli si sente di dare al consumatore per un consumo più consapevole?

Basta leggere le etichette, quello che faccio io da sempre. Leggendole ho eliminato tutti i prodotti che contenevano palma, a beneficio di altri ingredienti. Anche nei gelati, adesso si usa l’olio di cocco e di palma: non esisteva prima. Abbiamo scritto un articolo sul cornetto Algida che contiene solo il 3 per cento di panna, tutto il resto è olio di cocco; altri gelati tipo cornetto hanno il 10/15 per cento di panna e un sapore migliore. Un’ultima cosa: i dolci tipici italiani come panettone, colomba e pandoro sono ritenuti i migliori della pasticceria industriale. Per decreto, sono prodotti solo con burro e uova. Perché non mettono l’olio di palma? Perché sono prodotti d’eccellenza.

I nutrizionisti lo sanno da anni che l’olio di palma non è così buono?

I nutrizionisti più famosi in Italia sono favorevoli al palma ma sono anche quelli che forniscono consulenza all’Aidepi e che figurano nel sito merendineitaliane.it. I nutrizionisti seri non legati alle aziende hanno sempre parlato male dell’olio di palma, sostenendo che è un olio mediocre.

 
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