Perché Israele ha paura del nucleare iraniano

Con l’accordo di martedì sul nucleare iraniano, le sei potenze mondiali e Teheran hanno convenuto sull’alleggerimento delle sanzioni in cambio di un freno al programma nucleare.

Per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’accordo è «un errore grave di portata storica», riporta Ansa. Questo perché Israele teme che da qui a dieci anni — la durata dell’accordo — l’Iran possa arricchirsi e sviluppare delle armi nucleari. Anche per la viceministro degli esteri israeliana Tzipi Hotovely quest’accordo è «una resa storica all’asse del male».

Obama a sua volta in conferenza stampa ha voluto tranquillizzare tutti dicendo che con questo accordo l’Iran non sarà in grado di sviluppare la bomba atomica. Ma perché allora Israele è così preoccupato? Epoch Times lo ha chiesto all’esperto Matteo Gerlini, assegnista di ricerca per il Centro Interuniversitario ‘Machiavelli’, nell’Università di Firenze.

Perché secondo lei Israele ha paura? Il premier Benjamin Netanyahu dice che l’accordo è un errore di portata storica…

«Israele ha una posizione di profondo scetticismo verso tutte le misure di salvaguardia poste in essere dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica, che sarà l’agenzia tecnica che verificherà la bontà dell’accordo. Anche perché come ha detto il presidente Obama non si tratta di un accordo sulla fiducia ma sulle verifiche. Da parte di Israele va detto che già nel 1981 con il bombardamento del reattore iracheno di Osirak, gli Israeliani avevano sostanzialmente decapitato l’allora programma nucleare iracheno che era cresciuto in senso militare nelle more delle verifiche che la Iaea applicava sull’Iraq a quel tempo. Va detto però d’altra parte che Israele non ha firmato il trattato di non proliferazione, quindi non accetta sul suo stesso territorio l’applicazione di queste salvaguardie poste in essere dalla Iaea e di conseguenza questo dal punto di vista di una credibilità generale internazionale, indebolisce molto la sua posizione.

«Venendo al punto c’è ragione di aver paura per un’atomica iraniana dopo questo accordo? No, non c’è ragione di aver paura perché le salvaguardie saranno monitorate, attivate e quindi di fatto non si tratta semplicemente di un gentlemen’s agreement: vi saranno controlli. Certo è che tutto l’equilibrio geopollitico del Golfo, se di equilibrio si può parlare, a questo punto è completamente cambiato. È dal 1979 che l’Iran è in una condizione ‘particolare’ di sorvegliato speciale, e questo cambierà completamente lo scenario a venire dei prossimi anni sicuramente».

Cosa farà Israele dopo essersi reso conto che ogni possibilità di fermare l’accordo sarà svanita?

«I motivi profondi che portano Israele a non voler accettare questo accordo francamente mi sfuggono, se non per la loro immediata attendibilità politica interna, cioè rispetto a come ha costruito Netanyahu la sua recente vittoria elettorale, ovvero parlando alla ‘pancia’ del Paese, facendo appello anche alla paura, al senso di paura e di precarietà che ovviamente gli israeliani vivono nel contesto in cui si trovano; ciò premesso io penso che alla fine sarebbe conveniente anche per Israele questo accordo, però è una mia opinione personale, quindi ha il valore che ha.

«Se la questione è se Israele adotterà delle misure più energiche contro l’Iran, questo punto sembrerebbe un po’ remoto però niente è escludibile. Certo è che se l’accordo non fosse stato firmato avrebbe avuto maggior spazio per una soluzione di forza che per altro però sappiamo getterebbe più che un’ombra… farebbe sprofondare la regione in una crisi ulteriore se Israele attaccasse le strutture nucleari iraniane, con un bombardamento che è perfettamente in grado di fare come abbiamo visto per le infrastrutture nucleari sirane. Al momento si stanno limitando a questo; certo è che c’è il passaggio congressuale».

Perché gli Usa hanno insistito nel voler concludere questo accordo con quello che è sempre stato un nemico storico?

«Ma perché la storia non inizia nel 1979, la storia inizia prima dei rapporti fra Iran e Stati Uniti ed era una storia di rapporti assolutamente più che proficui: l’Iran monarchico era uno dei pilastri della strategia mediorentale degli Usa, sancito in particolare da Nixon per ultimo, e non solo; l’Iran era stato destinatario di un programma speciale, di un esperimento sociale di trasformazione con l’aiuto che gli Usa avevano dato alla rivoluzione bianca per la modernizzazione del Paese; l’Iran è un Paese che guarda a occidente, guarda ai modelli europei e statunitensi. Questa era la realtà pregressa e che peraltro è mantenuta, è rimasta sotteranea in questi anni per una parte della società civile iraniana; quindi è ovvio che gli Usa avessero interesse a questo, o perlomeno una parte della classe politica statunitense.

«Poi c’è anche un’altra parte che sull’esclusione dell’Iran dallo scacchiere ha prosperato; anche per noi europei la firma dell’accordo è favorevole perchè l’Italia è il secondo partner commerciale dell’Iran dopo la Germania. La fine delle sanzioni arricchirà enormemente tutta una parte del commercio tedesco, ma anche italiano, e poi gli altri Stati europei. L’Iran è un Paese enorme, ricco e importante».

Può essere che il presidente iraniano non sia sincero sul suo approccio pacifico?

«Questo è un aspetto che ci porta su un piano diverso: il programma è pacifico finchè non diventa militare. Questo riguarda tutti i programmi nucleari però, di tutte le potenze democratiche, delle potenze dittariali, delle non potenze, delle medie potenze, di Israele, della Francia (per gli Usa è diverso perché sono stati i primi a costruire la bomba) però la realtà è questa, cioè tutti i programmi civili hanno il rischio di proliferazione, per questo esistono le salvaguardie, e quindi questo non è affidato alla volontà politica degli Stati; è stato deciso così nel 1968 con l’adozione del trattato di non proliferazione proprio perché la volontà politica può cambiare da un momento all’altro e allora queste misure permettono di monitorare in tempo reale se si sta andando verso la realizzazione di un potenziale che permette un’arma nucleare. È un processo sempre per step, questo deve essere tenuto molto presente, non è che un giorno ci svegliamo e hanno la bomba atomica, chiunque essi siano.

«Ecco, le salvaguardie intervengono esattamente lì. Però è anche vero che il trattato di non proliferazione promuove l’uso pacifico dell’energia nucleare, quindi promuove anche la diffusione di materiali che potrebbero servire per costruire un’arma, ma sono gli stessi materiali che permettono di avere la medicina nucleare negli ospedali, reattori di potenza per la produzione di energia elettrica, quindi non è che c’è un dolo nascosto o una malafede di chiunque in questo. Fa parte della tecnica».

Questo accordo in futuro potrà pregiudicare la relazione tra Israele e Usa?

«No, non possono essere pregiudicate da questo accordo, semplicemente perché la natura delle relazioni tra Israele e gli Usa è di tale dipendenza che l’accordo non porterà a una loro rescissione. D’altronde gli Usa non è che abbiano sospeso gli aiuti a Israele per questo, anzi…l’unica cosa è che si tratta di capire se qualche sistema politico israeliano sia in grado di sostenere questo accordo. Ma anche il resto della regione… perché ora noi stiamo parlando di Israele ma ci dovremmo preoccupare di tutto quello che agita il mondo sunnita dallo Stato islamico fino all’Arabia Saudita e all’Egitto: questi sono altri temi ai quali bisogna aggiungere certamente l’opposizione di Israele a questo accordo. Quello che Israele può fare è un appello ai congressmen affinché non firmino, però chiaramente tutto questo non può essere riportato in un semplice gioco a tre, tra Israele, Stati Uniti e Iran». 

C’è secondo lei qualche altro aspetto che la stampa non ha ancora fatto emergere e che è da rilevare?

«Sembra che la copertura sia stata abbastanza puntuale. Vero è che siamo giustamente in un momento di euforia diplomatica per la quale hanno creduto nell’accordo fino all’ultimo; vero è che l’amministrazione Obama ha giocato il tutto per tutto su questo, bisognerebbe però aspettare la firma del congresso e bisognerebbe capire a questo punto che reazione vi saranno da parte del Golfo e da parte di Israele, ma questo è stato segnalato da tanti.

«Certamente la partecipazione russa a questo accordo mi sembra valga molto di più; questo è sicuramente un aspetto sul quale si dovrebbe calcare di più la mano e cioè che alla negoziazione era presente il ministro degli esteri russo; è importante perché continuiamo a parlare di nuova guerra fredda, di ripresa di un confronto che una volta si sarebbe detto bipolare e ora un po’ non esiste più da tempo… a fronte di questi paragoni bisognerebbe considerare quello che è accaduto in Iran perché poteva essere un ottimo modo per far saltare il tavolo da parte dei russi, far saltare l’accordo, e invece questo non è avvenuto perché ci sono anche interessi dei russi sicuramente, ma ci deve essere anche evidentemente un piano di collaborazione che travalica la situazione in cui ci troviamo in Europa orientale. Il che forse lo rende ancora più paradossale, perché la situazione europea tutto sommato era stata quella più stabile di tutta la guerra fredda, dove invece c’erano i vari Vietnam, guerre arabo-israeliane e vari focolai di contrapposizione fra occidente e oriente, fra Usa e Urss…beh, qui stiamo assistendo veramente al contrario».

Intervista adattata per questioni di brevità e chiarezza.

Immagine concessa da shutterstock

 
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