Muore Liu Xiaobo paladino della democrazia nella Cina comunista

Il 13 luglio è morto agli arresti domiciliari il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, affetto da alcuni mesi da un cancro terminale al fegato.

Liu Xiaobo, che aveva insegnato alla Normal University di Pechino, si era reso noto per aver pubblicato insieme a 303 intellettuali cinesi  la petizione Charter 08 in si cui chiedeva al regime della Repubblica Popolare Cinese di attuare varie riforme per avviare un processo di democratizzazione del Paese. A causa di questa iniziativa e dell’appello fatto al governo per la scarcerazione dei prigionieri politici che avevano partecipato alle proteste di piazza Tienanmen nel 1989 (a cui aveva partecipato Liu stesso) e ad altre attività pacifiche per i diritti umani, era stato arrestato nel 2008 e tenuto in carcere per 11 anni, fino a pochi mesi fa.

Sebbene fosse stato arrestato l’8 dicembre del 2008, ha subito un vero e proprio processo solo un anno dopo, l’11 febbraio del 2010, con una condanna a 11 anni di carcere e due mesi di interdizione ‘per incitamento alla sovversione contro il potere dello Stato’.
Liu Xiaobo era un uomo e un letterato che credeva nella forza del pensiero libero e della parola, a cui è stato negato proprio ciò che più amava: poter esprimere visioni differenti, in una Cina che nega ogni possibilità di contraddizione e ogni visione diversa dall’informazione fornita dalla propaganda di stato.

Già prima della condanna del 2010 non si era mai risparmiato nell’esternare le sue opinioni anche a rischio della propria incolumità: nel 1989, durante la protesta di piazza Tienanmen, aveva convinto gli studenti a lasciare la piazza prima che fossero attaccati dalla polizia; nel 1996 dopo le sue critiche al Partito Comunista Cinese aveva scontato tre anni nei campi di lavoro forzato (Laogai), con l’accusa di ‘disturbo alla quiete pubblica’; nel 2004  quando moriva l’ex capo di stato Zhao Ziyang, che era stato l’unico ad opporsi al massacro di piazza Tienanmen, aveva subito ‘limitazioni preventive della libertà’ e due settimane di arresto per evitare che manifestasse o facesse riferimenti al massacro che la propaganda di regime negava.

Nonostante fosse presidente della sezione cinese di ‘Pen Club’ Internazionale e nel 2004 avesse ricevuto il premio: ‘Fondation de France’ dal ‘Reporter senza frontiere’, i suoi scritti sono vietati in Cina.

Non solo: unico caso nella Storia, Liu Xiaobo è stato insignito del premio ‘Nobel per la pace’ nel 2010, sebbene fosse in carcere, «per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina».

Il premio gli è stato conferito nonostante le forti pressioni del governo cinese sulla giuria svedese affinché il suo nome fosse tolto dalla lista, e nonostante la diretta Tv in Cina fosse stata interrotta.

Dopo la diagnosi del tumore allo stato terminale al fegato il 26 giugno 2017, gli era stata concessa la libertà vigilata, ma non la possibilità di curarsi all’estero come suo desiderio, considerato che aveva vissuto per alcuni anni negli Stati Uniti.
Anche l’ambasciatore americano in Cina Terry Bernastand aveva presentato un appello alle autorità di Pechino affinché gli concedessero il permesso, e  il ministro degli Interni Lu Kang aveva risposto che essendo in cura presso un ospedale nella regione settentrionale di Liaoning, il permesso non poteva essere concesso, in quanto il caso di attività ‘sovversiva’ è un problema interno.
Anche la moglie Liu Xia è agli arresti domiciliari, dalla sua condanna nel 2009, sebbene non abbia formalmente subito nessun processo.

Scrittori, attivisti per i diritti umani e politici di diversi Paesi hanno espresso il loro cordoglio alla notizia della morte di Liu Xiaobo; la presidente del comitato per l’assegnazione del premio Nobel per la pace, Berit Reiss-Andersen ha affermato di essersi rattristata molto per la notizia e ha aggiunto: «Il governo cinese ha una grave responsabilità per questa morte prematura».

Anche Zeid Ra’ad al Hussein, alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha commentato la morte di Liu ricordando al mondo la tragicità dell’evento, affermando che «il movimento in favore del rispetto dei diritti umani in Cina e nel mondo ha perso il suo principale esponente».

Il mondo ha senza dubbio perso un uomo straordinario, che non ha mai smesso di credere nella forza della libertà di parola e non ha mai perso la convinzione nella democrazia, fino agli ultimi istanti della sua vita.

 
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