Massimo Lonardi: la musica del liuto come rinascita dei valori umani

Quanto conosciamo dell’arte musicale rinascimentale, ai giorni nostri? E quanto invece sappiamo del liuto, lo strumento più in voga del periodo? Se è vero che dalla conoscenza deriva anche l’interesse, forse è necessario fare un salto nel passato tramite un’approfondita discussione per risvegliare in noi quel genio rinascimentale che ha contraddistinto l’estro italiano ed europeo del passato.

Epoch Times ha intervistato Massimo Lonardi, liutista di spicco nel panorama musicale italiano che, ripercorrendo la storia e le varie tappe artistiche di questo strumento, racconta come improvvisamente, dopo essersi approcciato alle note attraverso il rock in età adoloscenziale, sia sbocciato il suo interesse per il liuto e la musica rinascimentale, diventata poi il suo mondo.

Lei è un grande interprete del liuto. Ci può parlare delle origini di questo strumento e della sua importanza nella musica italiana?

Vi ringrazio ma francamente mi considero solo un piccolo artigiano musicale. Sono però orgoglioso di provenire da una famiglia di artigiani che mi ha trasmesso il valore del lavoro fatto con amore e dedizione. Il liuto è uno strumento di antiche origini mediorientali, fu importato in Europa nel Medioevo e conobbe presto una grande diffusione. Negli ultimi decenni del ‘400 lo strumento ebbe importanti modifiche: fu ampliato il registro grave, aggiungendo il sesto ordine di corde ai cinque della tradizione tardo medioevale, e l’antica consuetudine di pizzicare le corde con il plettro fu gradualmente sostituita dall’uso delle dita della mano destra. Alla nuova prassi esecutiva corrispose lo sviluppo di un nuovo stile polifonico e una diversa concezione del suono. Queste innovazioni sono paragonabili a quelle che avvennero nel campo delle arti figurative, dove il graduale passaggio dalla tecnica della tempera all’uovo alla ‘nuova’ pittura a olio corrispose allo sviluppo di una diversa sensibilità per il colore e per la luce. In Italia troviamo le più antiche testimonianze del liuto rinascimentale, costituite da alcuni manoscritti e dalle prime stampe di intavolature (intavolatura si chiama il particolare sistema di notazione utilizzato per il liuto) pubblicate a Venezia dallo stampatore Ottaviano Petrucci. Questo repertorio, costituito da Danze, Tastar de Corde e Recercari, che sono forme nate dalla consuetudine all’improvvisazione, costituisce il nucleo di partenza per lo sconfinato repertorio che in seguito fu sviluppato sia nel nostro Paese che nel resto d’Europa. Al Rinascimento italiano appartengono alcuni fra i più grandi compositori-liutisti, fra i quali spicca il sommo Francesco Canova da Milano.

Cosa lo ha spinto a studiarlo, e cosa ha di speciale per lei il suono di questo strumento?

Ho cominciato a occuparmi di musica verso i tredici anni come improbabile rocchettaro. In seguito mi sono interessato alla chitarra classica iscrivendomi al conservatorio di Milano dove ho avuto l’enorme fortuna di avere come insegnante Ruggero Chiesa che fu un grande didatta e uno dei primi importanti musicologi italiani a occuparsi approfonditamente del repertorio per liuto e per vihuela. Fin dai primi anni di studio Ruggero mi fece conoscere la musica rinascimentale nella quale trovai finalmente la mia identità musicale, tanto che, dopo il diploma di chitarra classica, decisi di dedicarmi esclusivamente al liuto, cosa che feci frequentando in varie città seminari di studio con Hopkinson Smith, uno dei più grandi liutisti del nostro tempo, e un ottimo insegnante al quale sarò sempre grato. Un altro maestro al quale sono molto riconoscente è il compositore Azio Corghi, che mi ha fatto studiare il contrappunto partendo dai trattati del ‘500 e del ‘600. Il suono del liuto è fortemente evocativo, ci riporta immediatamente al Rinascimento ovvero alla stagione artisticamente più felice della nostra storia, ma quello che più conta è l’altissima qualità compositiva del repertorio che pone il liuto ai vertici della musica strumentale dell’epoca.

Si potrebbe definire la chitarra come l’evoluzione del liuto?

Direi di no, le origini della chitarra (tralasciando l’antichità) sono da rintracciare soprattutto nella stretta parentela con la Vihuela. Conosciuta e diffusa anche in Italia, la Vihuela fu lo strumento prediletto dagli spagnoli che, unici in tutta Europa, la preferirono al liuto. Una possibile spiegazione di questo fenomeno può esse vista nelle origini arabe del liuto che probabilmente nella penisola iberica fu considerato un simbolo musicale dei Mori invasori che, con la caduta di Granada nel 1492, furono definitivamente sconfitti. In Spagna fu quindi preferito il piccolo strumento (che ricorda una chitarra) che gli spagnoli supponevano di origini latine. La chitarra del Rinascimento non era altro che una forma ridotta (con soli quattro ordini di corde) della Vihuela, infatti il compositore- vihuelista cinquecentesco Miguel de Fuenllana la definisce: ‘Vihuela de quatro ordenez que dizen guitarra‘ (Vihuela con quattro corde doppie che chiamano chitarra). Questo piccolo strumento dalla forma deliziosamente femminile ha attraversato Paesi, stili musicali ed epoche sapendosi adattare, come un’attrice geniale, a interpretare infiniti ruoli nella storia della musica.

Quali sono le maggiori differenze, per quel che concerne l’accompagnamento musicale, tra l’epoca dei madrigali e quella dell’Opera italiana? Come si inserisce il liuto in questi diversi periodi storici?

Nel Rinascimento il liuto, oltre che come strumento solista, era molto utilizzato per accompagnare la voce. Dalla fine del ‘400 fu sviluppato un repertorio ampio e di grandissima qualità artistica per questo affascinante organico. La musica per canto e liuto del primo Rinascimento è costituita da intavolature (in questo caso trascrizioni) di composizioni originariamente concepite per tre, quattro o più voci, nelle quali la parte superiore restava affidata al canto mentre le voci inferiori venivano eseguite sul liuto. Questa prassi faceva sì che la voce solista, non essendo inglobata nel tessuto polifonico con le altre voci, fosse libera di esprimere con maggior evidenza gli Affetti contenuti nel testo, prefigurando il Recitar Cantando del primo Barocco. Con l’avvento del nuovo Stil Recitativo, strettamente connesso alla nascita del Teatro Musicale, nel primo ‘600 anche il liuto dovette adeguarsi alle mutate esigenze stilistiche e dall’ampiezza dei luoghi nei quali veniva eseguita questa musica. Venne quindi ampliato il registro grave dello strumento con l’aggiunta di bassi più profondi per meglio sostenere le voci, fino a generare nuovi strumenti come l’arciliuto e la tiorba che furono ritenuti ideali, oltre che per il repertorio solistico, per l’esecuzione dell’accompagnamento parzialmente improvvisato detto Basso Continuo, che costituì il fondamento per un nuovo repertorio concepito direttamente per una o più voci con sostegno strumentale. Nella stessa epoca in Inghilterra molti liutisti-compositori, fra i quali il grandissimo John Dowland, diedero vita a un repertorio originale di Songs per canto e liuto di ineguagliabile qualità artistica. L’esecutore di musiche rinascimentali o di epoca elisabettiana per canto e liuto si confronta con un repertorio prevalentemente scritto (ferma restando la possibilità tipica della musica dell’epoca di introdurre fioriture improvvisate dette diminuizioni) mentre il liutista o tiorbista che si occupa di musica barocca per voce e continuo deve soprattutto improvvisate gli accompagnamenti sulla linea del basso cifrato, svolgendo un ruolo di sostegno e di dialogo estemporaneo col solista analogo a quello degli accompagnatori nel Jazz.

Assieme all’accompagnamento musicale, secondo lei è cambiato anche il messaggio trasmesso? Se sì, in che modo?

Ovviamente il modo di accompagnare con il basso continuo richiede atteggiamenti e competenze diverse. Il Recitar Cantando dell’era barocca punta a un’espressione più drammatica e teatrale degli Affetti, che erano già presenti nella musica rinascimentale ma che nel nuovo stile compositivo (detto Seconda Prattica), quello di Giulio Caccini, Claudio Monteverdi ed altri grandi autori, viene espresso in modo molto più teatrale. Possiamo trovare un paragone nell’arte figurativa (che amo molto) pensando all’enorme differenza stilistica che intercorre fra un dipinto di Giorgione o del primo Tiziano e uno del Caravaggio o dei Carracci. Non bisogna però credere che la musica dell’era precedente, quella del Rinascimento, non richiedesse comunque agli interpreti una costante partecipazione emotiva, benché espressa con mezzi diversi. Gli artifici retorici in musica, erano ben noti già nel ‘500: Nicola Vicentino nel suo trattato L’Antica musica ridotta alla moderna prattica (Roma 1555) scrive: «e l’esperienza dell’oratore l’insegna, che il moto che tiene nell’oratione, che hora dice forte, e hora piano e più tardo (lento) e più presto, e con questo muove (commuove, interessa) assai gli uditori, e questo modo di muovere la misura (cioè di cantare o suonare con adeguata flessibilità) fa effetto assai nell’animo e per tal ragione si canterà la musica alla mente (a memoria) per imitar gli accenti e effetti delle parti dell’oratione».

Orfeo viene considerata da molti la prima Opera, per lei anche è così? Quali sono le ragioni di questa scelta?

Come sappiamo L’Orfeo di Claudio Monteverdi fu preceduto cronologicamente dalle Opere (interessantissime) di Jacopo Peri e di Giulio Caccini. La ragione per cui quella di Monteverdi viene da molti sentita come la prima vera Opera penso sia legata alla maggiore diffusione delle composizioni di questo sommo autore e, naturalmente, all’eccelsa qualità compositiva, nella quale sono comprese l’efficace distribuzione di recitativi, arie e brani d’assieme e a le parti strumentali realizzate con un organico ricco e variegato.

Ci parli della sua vita artistica e dei suoi dischi. Il liuto è ancora uno strumento attuale? Che tipo di pubblico attira maggiormente?

Continuo l’attività concertistica, cominciata circa quarantacinque anni or sono, sia come solista che accompagnando cantanti (adoro accompagnare la voce) o strumenti solisti: violino, flauto dolce, viola da gamba, Tiorba e chitarra barocca. Per me è indispensabile collaborare con persone con le quali sono legato da amicizia e affinità elettive. Collaboro spesso con i musici che conosco da molti anni e con alcuni miei bravissimi ex allievi ai quali sono molto affezionato. In tutti questi anni ho effettuato molte registrazioni, sia come solista che nell’ambito di varie formazioni di Musica Antica, e devo dire che registrare è uno dei lavori che amo maggiormente e dal quale ritengo d’aver imparato di più. Insegno da ben trentanove anni presso l’Istituto Franco Vittadini di Pavia (attualmente Conservatorio) e da venticinque presso la Scuola di Musica Antica di Venezia. Quest’anno terrò un corso libero di liuto anche presso il Conservatorio Antonio Vivaldi di Alessandria oltre che alla Fondazione Santa Cecilia di Portogruaro. Continuo l’attività didattica anche in estate con i corsi Chitarra ed altro di Brisighella e presso i corsi Internazionali di Gargnano dove da molti anni ho l’onore di affiancare due chitarristi come Oscar Ghiglia ed Elena Papandreou. Sono sempre rimasto legato al mondo chitarristico e da una decina d’anni collaboro con due bravissimi esecutori come Lorenzo Micheli e Matteo Mela che suonano anche gli strumenti antichi. Mi sembra che il liuto oggi sia uno strumento molto amato e seguito da un pubblico non vasto ma molto variegato e caratterizzato dalla presenza di molti giovani. Penso che in Italia occorrerebbero più istituzioni dedicate ai concerti di liuto e di Musica Antica, come negli anni passati sono state le importantissime stagioni di Musica e Poesia a San Maurizio e i Concerti della Fondazione Marco Fodella, che a Milano hanno svolto un ruolo fondamentale nella diffusione della Musica Antica e del repertorio liutistico.

Quali sono i valori della musica più importanti da trasmettere ai suoi allievi e al pubblico?

Amo moltissimo il mio lavoro di insegnante e sono grato ai miei allievi, da ognuno di loro ho avuto modo di imparare molte cose. Con molti di essi rimango in contatto anche dopo che hanno finito gli studi e con alcuni collaboro costantemente. So che non dovrei dirlo ma voglio bene a tutti i miei allievi che considero come figli musicali. Sappiamo tutti quanto grande sia l’importanza della musica nella formazione culturale e spirituale dei giovani e del pubblico. Sappiamo anche che, a dispetto delle glorie dei secoli passati, in Italia non viene mai fatto ciò che sarebbe necessario per promuovere l’educazione musicale su larga scala a partire dall’infanzia, e che, possiamo esserne certi, darebbe un importante contributo al miglioramento della società. Ai miei allievi cerco di trasmettere la gioia di suonare e l’umiltà che, indipendentemente dalla bravura più o meno grande, dovrebbe sempre avere ogni esecutore ponendosi al servizio dell’arte. Nella musica rinascimentale e nella musica barocca esistono molti stili legati a epoche e a correnti compositive diverse ma, generalmente parlando, la Musica Antica è a misura d’uomo ed esprime sentimenti e passioni (‘Affetti’, come si diceva all’epoca) in un modo che può esser validamente sentito a diversi livelli di comprensione. Naturalmente questo è vero anche per molte musiche di altre epoche ma, in alcuni generi di Musica Antica, grazie al riferimento alla tradizione popolare e alla danza, questi Affetti sembrano parlare con maggior semplicità ed immediatezza.

 
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