Indonesia, l’ultima spiaggia del carbone

In seguito all’Accordo di Parigi sul clima del 2015, tutto il mondo si sta muovendo per ridurre le emissioni di carbonio, e l’industria mondiale del carbone sente di essere alle strette.

Le istituzioni finanziarie dei Paesi sviluppati hanno iniziato a ritirarsi dagli investimenti in carbone, e il calo del prezzo delle energie rinnovabili, unito alla pubblica condanna del carbone, hanno incoraggiato i Paesi asiatici in rapido sviluppo a ridurre l’uso del carbone per la produzione di energia.
Le nuove pressioni economiche, così come le preoccupazioni ambientali che da lungo tempo la attanagliano, hanno messo l’industria del carbone in pericolo.

L’Indonesia è il secondo esportatore di carbone per uso termico al mondo, superata solo di recente dall’Australia. Dal momento che i due più grandi clienti, India e Cina, stanno riducendo drasticamente le importazioni di carbone, il governo indonesiano mira a tenere a galla l’industria del carbone potenziando il mercato interno: sebbene l’Indonesia si sia assunta degli impegni ambientali, sta incentivando l’uso del carbone e prevede di costruire 117 nuove centrali elettriche a carbone entro il 2019.

Di certo l’Indonesia dovrà affrontare la resistenza degli ambientalisti, che fanno notare che se il Sudest Asiatico continuerà a dipendere pesantemente dal carbone, potrebbe presto superare le emissioni di anidride carbonica del totale del resto del mondo. Tale resistenza può avere un certo impatto sui finanziamenti stranieri in Indonesia e sui Paesi che ne importano il carbone. Inoltre i prezzi globali delle altre fonti di energia avranno un impatto sull’attrattiva economica del carbone in Indonesia.

Il Paese Arcipelago risente del peso del mondo, che preme contro i suoi tentativi di mantenere fiorente a sua industria del carbone. In gioco c’è la salute delle persone e la foresta pluviale indonesiana, oltre che l’impegno preso dall’Indonesia di ridurre le emissioni di carbonio del 29 per cento entro il 2030.

ESPORTAZIONE BLOCCATA

La Cina è il più grande consumatore di carbone al mondo, ma secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) ha costantemente diminuito le sue importazioni nel corso degli ultimi anni, con un calo del 30 per cento nel solo 2015.

Verso la fine del 2016 è stata importata in Cina una grande quantità di carbone, ma secondo Dan Klein, delegato del PIRA Energy Group, questo non è rappresentativo della tendenza generale.
Nei primi mesi del 2016 il regime cinese aveva imposto dei limiti alla produzione interna di carbone poiché prevedeva che ci sarebbe stato un eccesso di offerta. Alla fine i limiti si sono rilevati troppo bassi e la Cina si è trovata improvvisamente ad avere bisogno di più carbone di quanto non ne avesse prodotto. Cosi ha dovuto aprire la porta ad un grande flusso di importazioni, in particolare dall’Indonesia.

Ora Pechino ha aumentato i limiti imposti alla produzione interna, perciò l’Indonesia può aspettarsi una costante diminuzione delle esportazioni verso la Cina. L’Istituto think tank per l’Economia Energetica e analisi finanziaria (IEEFA)
riporta che l’India, storicamente il secondo maggior importatore di carbone al mondo, è sulla buona strade per cessare del tutto le importazioni entro i prossimi due anni.

La Cina e l’India sono motivate in parte dal semplice desiderio di sviluppare le industrie interne e ridurre le importazioni, ma anche da obbiettivi ambientali.
La Cina ha scommesso che ridurrà le proprie emissioni di gas serra del 65 per cento rispetto ai livelli del 2005.

Alcuni dubitano che la Cina posso veramente ridurre l’uso del carbone fino a questo punto.

Almo Pradana, manager del dipartimento di Energia e Clima del World Resources Institute (WRI) Indonesiano, prevede che la domanda di carbone dalla Cina si manterrà forte nei prossimi anni in quanto il carbone è ancora il sistema piu economico per alimentare la rete elettrica, e a suo avviso la Cina dovrà continuare ad affidarsi pesantemente alle importazioni.

Secondo un rapporto sul settore minerario della società di consulenza Deloitte, dal titolo “Monitoraggio delle tendenze del 2016”, i dati circa la domanda e l’offerta provenienti dalla Cina sono “opachi”. L’aspettativa è che in linea di massima il mercato del carbone tra Cina e Indonesia sarà fiorente nei prossimi anni cosi come lo è stato negli ultimi anni, resta comunque poco chiaro quale sarà effettivamente il volume degli scambi.

Ci sono anche altri fattori che stanno danneggiando le esportazioni di carbone dell’Indonesia: dalla pirateria lungo l’importante rotta commerciale nelle Filippine alla concorrenza del carbone australiano, dotato di un maggiore potenziale termico. Perciò la crescita del mercato interno Indonesiano potrebbe non essere sufficiente a compensare la diminuzione delle esportazioni.

«So che hanno pianificato di costruire molte centrali elettriche a carbone (In Indonesia), la questione principale è quanto rapidamente possano riuscirci» Ha detto Klein (PIRA). «Non penso che passeranno dall’ essere un massiccio esportatore a rendere le esportazioni un fattore marginale»

Allo stesso modo, Tim Buckley, direttore degli studi di finanza delle energie dello IEEFA ha detto a proposito dell’industria indonesiana: «Dato che le esportazioni ammontano all’ottanta per cento del carbone estratto dalle miniere, il passaggio al mercato interno richiederà molto tempo, e sarà ostacolato dalla corruzione, mettendo cosi a rischio i miliardi di dollari di investimenti stranieri necessari per la costruzione delle linee ferroviarie per il trasporto del carbone e degli impianti di distribuzione dell’energia elettrica»

Ad ogni modo, che il carbone indonesiano venga esportato o resti in casa, ci sono alcuni fattori che potrebbero ostacolare le operazioni di estrazione, come la crescente corruzione menzionata da Buckley e il giro di vite nei confronti delle miniere illegali. Inoltre una potenziale carenza di carbone nei prossimi 10-15 anni potrebbe essere un altro duro colpo per l’industria.

DOMANDA E OFFERTA NEL MERCATO INTERNO

«L’Indonesia è il più grande consumatore di energia nel sud-est asiatico, e con circa 40 milioni di indonesiani che ancora non hanno accesso all’energia elettrica, si prevede un aumento del consumo di elettricità del 7 per cento annuo» commenta Benjamin Sporton, amministratore delegato del World Coal Association, «questo significa che il Paese deve cercare tutte le fonti di energia disponibili per soddisfare la domanda della popolazione. Il carbone sembra essere abbondante, a prezzi accessibili, potente e affidabile».

D’altra parte, Ted Nace, direttore del progetto anti-carbone CoalSwarm, ha detto che al ritmo attuale l’Indonesia potrebbe esaurire il carbone in poco più di un decennio. Anche Price Waterhouse Coopers ha segnalato l’anno scorso che le riserve dell’Indonesia potrebbero esaurirsi entro il 2033.

«L’Indonesia è uno dei due più grandi esportatori di carbone al mondo, ma è solo 14sima in quanto a dimensioni delle riserve» spiega Nace, per il quale «questo fatto, combinato con il calo del costo delle rinnovabili, rende i progetti indonesiani un pessimo investimento. A questo punto progettare un impianto a carbone che potrebbe essere operativo dopo il 2020 sarebbe uno spreco sconsiderato dei soldi degli investitori»
Nel 2016 Nace ha co-pubblicato un rapporto con il Sierra Club e alcuni ricercatori di Greenpeace mostrando che alcuni miliardi di dollari di investimenti nel carbone potrebbero essere bloccati in tutto il mondo se si porteranno avanti gli impegni presi nell’Accordo di Parigi sul Clima.

«C’è pressione su numerose banche commerciali, in particolare giapponesi, coreane e cinesi, poiché stanno finanziando molti dei progetti elettrici a carbone e anche progetti di estrazione del carbone in Indonesia», spiega Yulanda Chung, consulente Ieefa di finanza dell’energia. Anche investitori americani ed europei attivi in Indonesia, adesso avvertono la pressione degli ambientalisti.

I FINANZIAMENTI ESTERI DOPO LA CONFERENZA DI PARIGI SUL CLIMA

Secondo l’analisi di Chung, siccome le industrie del carbone sono in difficoltà in molti Paesi, gli imprenditori del settore carbonifero stanno tentando di espandersi all’estero: in luoghi come l’Indonesia, dove il carbone continua a essere considerato importante. Questi imprenditori stanno quindi cercando di esportare le loro attrezzature e competenze in Indonesia, e di promuovere l’utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica.
Le banche commerciali e le agenzie di credito all’esportazione di diversi Paesi forniscono prestiti e sostegno ai progetti energetici a carbone in Indonesia, ma sono sempre più nel mirino degli attivisti: «Dopo l’accordo sul clima a Parigi, un sacco di organizzazioni della società civile stanno esercitando pressioni sulle agenzie di credito all’esportazione e sulle banche commerciali affinché si tirino fuori dai progetti legati alle centrali elettriche o all’estrazione del carbone».

Per esempio BankTrack, una Ong che monitora il finanziamento delle attività con impatto ambientale negativo, ha richiesto alla Banca Mondiale e alla Japan Bank for International Cooperation di smettere di finanziare il progetto Batang, che prevede la costruzione di un’enorme centrale elettrica a carbone in Indonesia.

La banca francese Société Général aveva previsto di finanziare la costruzione della centrale elettrica Tanjung Jati B-2 nella Giava Centrale, ma sembra che si sia ritirata dal progetto per motivi legati alla tutela ambientale, e la BankTrack ha riferito di finanzieri stranieri che si stanno ritirando da progetti in altri Paesi asiatici come il Bangladesh. Ha anche riferito che le grandi banche, come Bank of America, hanno adottato nuove politiche nel corso dell’anno passato al fine di ridurre i finanziamenti verso le multinazionali del carbone

La causa ambientalista è oggi sostenuta da incentivi economici per l’utilizzo delle rinnovabili al posto del carbone, ha detto Nace di CoalSwarm. Egli ha osservato che dal 2009, i prezzi solari sono scesi del 62 per cento a causa dei miglioramenti tecnologici e della produzione in serie dei pannelli solari. In alcune parti del mondo, l’energia solare è già più economica del carbone.

Secondo Yulanda Chung, l’Indonesia sta lavorando per costruire il proprio portafoglio rinnovabile, ma i progressi sono lenti e il carbone in molte zone del Paese continua a essere la fonte di energia più economica. Tuttavia in alcune aree il diesel è la fonte primaria di energia, e in queste zone sarebbe più economico mettere a punto dei sistemi che producessero energia rinnovabile, piuttosto che continuare a usare il diesel.
E, anche quando il carbone è più conveniente dal punto di vista economico, ci sono altri costi da tenere in considerazione: Harvard e Greenpeace hanno rilasciato lo scorso mese uno studio che mostra come il nuovo sviluppo dell’industria del carbone nel sud est Asiatico potrebbe causare 50 mila morti all’anno entro il 2030 a causa dell’impatto sull’aria.

Ted Nace sostiene che «le gigantesche miniere a cielo aperto dell’Indonesia sono cosi grandi che possono essere viste dallo spazio: sono tra le azioni umane più pericolose per l’ambiente sulla Terra».
«Invece di distruggere le proprie risorse attraverso questa attività miope e altamente dannosa, il Paese dovrebbe riconoscere che per il bene dei propri interessi economici e ambientali è necessario orientarsi verso un rapido sviluppo delle rinnovabili».

Articolo in inglese: Indonesia’s Last Stand for a Coal Industry in Peril

Traduzione di Marco d’Ippolito

 
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