Medio Oriente – Occidente, un dialogo possibile?

Il dottor Zaman Stanizai è professore di Studi di mitologia al Pacifica Graduate Institute di Santa Barbara, in California e insegna anche Scienze Politiche presso la California State University Dominguez Hills. Come studioso alla Fulbright, ha lavorato sulle lingue indo-iraniane, e come scienziato politico scrive sulla politicizzazione delle identità etno-linguistiche e religiose in conflitti regionali. Scrive anche come blogger su Hunffington Post, Middle East Institute, ArticlesBase.com, e Stanizai.org.

In quanto musulmano, condivida con noi un malinteso nel suo sistema di credenze musulmano senza il quale le nostre culture potrebbero avvicinarsi.

«La profezia di Maometto, chiamiamola visione se vogliamo, era molto precoce per il suo tempo. È stata pensata per elevare l’umanità dai conflitti perpetui di tribalismo religioso a uno stato più elevato, nel regno in cui tutta l’umanità adorava l’Unico e solo Dio. Questo Dio unificante non doveva essere il Dio dei musulmani, dei cristiani o degli indù, piuttosto un dio universale. È per questo che il nome di Allah è una costruzione integrata di un articolo inscindibile, ‘al’ (il) e il sostantivo ineffabile ‘la’ (nulla), quindi ‘il nulla’. Chiamandolo in tal modo, la sua realtà para-cosmica non sarebbe stata identificabile con nessuna cultura, tempo o luogo».

Allora dottore, come si è potuto tradurre al mondo occidentale come una distinzione, una migliore comprensione?

«Mi chiami anche Zamon. Purtroppo, questa più significativa distinzione dell’Islam come un modo di vita, si è persa sia tra i musulmani di oggi, sia tra i loro sostenitori ideologici, politici e religiosi».

«Mentre il mondo musulmano sta entrando nei suoi tempi più bui in questo momento critico, l’Occidente sembra spingerli ancor di più in questa direzione, invece di dar loro una mano per portarli fuori dalla crisi. L’Occidente è interessato ai propri affari economici: supporta i dittatori nel mondo musulmano chiamandola democratizzazione. E con l’aiuto di quegli stessi dittatori, emargina e radicalizza le masse, la cui deviata resistenza viene poi chiamata ‘terrorismo’, senza pensare al fatto che, in sostanza, noi stessi in Occidente lo abbiamo creato per primi. E poi li prendono come bersaglio di sterminio, invece di dialogare con loro».

«Lo slogan non parliamo ai terroristi è un pretesto. Abbiamo dialogato con terroristi irlandesi, serbi, baschi e delle Farc, ai quali ci sentiamo affini. Ma quelli in terra musulmana li vogliamo bombardare fino a retrocederli all’età della pietra. Questa ipocrisia sbarra la strada della pace, delle riforme politiche e persino delle proteste politiche e delle rivoluzioni come quelle della primavera araba che viene brutalmente repressa».

Come può il mondo occidentale iniziare di nuovo quel dialogo?

«Se la primavera araba ci ha insegnato qualcosa, si è rotto il mito della passività politica degli arabi, accusati spesso dall’Occidente come colpevoli, si è smascherata l’invincibilità delle classi dirigenti arroganti che stavano facendo gli interessi dell’occidente e non avevano nessuna preoccupazione per il loro stesso popolo».

«L’attuale crisi in Siria è il risultato di una risuscitata guerra fredda di rivalità, che sconfigge il desiderio del popolo di avere un governo che stia vicino alle persone, cosa che ogni società del mondo vuole».

«Questa non è una guerra di civiltà, piuttosto un divario culturale che separa le parti in conflitto. Il paradosso è questo: le potenze straniere che hanno il potere (militare) di fare qualcosa, non sanno esattamente cosa fare, e quei siriani la cui vita è a rischio e saprebbero cosa fare, non hanno i mezzi per farlo. Nella situazione di stallo e nell’indifferenza, muoiono in media oltre 200 siriani ogni giorno».

«Non dovremmo imporre soluzioni che privilegiano i nostri interessi, ma gli interessi del popolo del Medio Oriente. Quando ad avere il potere saranno le persone, e non i dittatori, allora la maggior parte o tutto il risentimento verso l’Occidente svanirà. Allora saremo in grado di mandare in loco i nostri corpi di pace per seminare amicizia, piuttosto che delle forze armate che creano il caos nella società».

E riguardo a chi specula sulla guerra?

«Gli speculatori stanno facendo tutto il possibile per fare in modo che queste guerre continuino, per trarne profitto. Vendono alle nostre stesse forze armate e sono responsabili per la maggior parte della proliferazione di armi in tutto il mondo».

 

RIFLESSIONI

Jean-Paul Charles Aymard Sartre (giugno 1908, aprile 1980) è stato un filosofo francese, romanziere, drammaturgo, attivista politico; ha giocato una parte importante nella filosofia dell’esistenzialismo, ed è stato uno dei protagonisti del secondo dopoguerra nella filosofia francese. Si è arruolato nell’esercito francese, è stato catturato, rinchiuso in un campo di lavoro tedesco ed ha continuato ad affermarsi come un importante e creativo attivista contro la guerra.

«Quando il ricco fa la guerra, è il povero che muore» (Jean-Paul Charles Aymard Sartre)

Ha ricevuto il Premio Nobel nel 1964 per la letteratura, ma lo ha rifiutato, così come tutti gli altri premi ufficiali, dicendo: «Uno scrittore non dovrebbe lasciarsi trasformare in una istituzione».

Dalla creazione delle Nazioni Unite, almeno 30 nazioni hanno prodotto munizioni a grappolo, secondo la Cluster Munition Coalition. Molti Paesi hanno ancora scorte di tali munizioni, e la maggior parte sono state utilizzate in guerre recenti o conflitti internazionali; tuttavia la maggior parte di questi Paesi non ha utilizzato le munizioni che ha prodotto.

Questo non è un problema nazionale, è un crimine internazionale del commercio. Non esistono guerre giuste o ingiuste, esistono solo guerre mortali. Non vi è alcun lato giusto in una guerra, solo l’altro lato. Non ci sono principi di pensiero o di ricerca della conoscenza, e se ci fossero, la guerra avrebbe una sola verità, invece di tante false verità, di tante versioni e false interpretazioni morali distruttive.

Filosofia: Indagine razionale delle verità e dei principi dell’essere, della conoscenza, e del comportamento. (Dictionary.com)

Il linguaggio rappresentativo dei conflitti è il linguaggio dei numeri, e le contabilità di guerra sono totalmente prive di responsabilità. L’industria internazionale delle armi sovrintende il flusso di cassa di una fortuna che è la più grande che sia mai esistita su questo pianeta. Le vendite combinate di armi delle prime 100 aziende produttrici di armi ammontano a 395 miliardi di dollari nel 2012, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute.

Ad esempio, se il costo di una bomba a grappolo è fissata a 2.280 dollari, come si calcola il valore delle innumerevoli vite o arti triturati da questo dispositivo omicida?

La guerra è un sottoprodotto dell’industria manifatturiera degli armamenti e quell’industria non potrà mai essere senza scopo di lucro.

Degli ultimi 3.400 anni, solo 268 sono stati anni di pace per gli esseri umani, o solo l’8 per cento della storia… Almeno 108 milioni di persone sono state uccise nelle guerre del XX secolo. Le stime del numero totale di morti nelle guerre di tutta la storia umana vanno da 150 milioni a 1 miliardo. (Chris Hedges, da ‘What Every Person Should Know About War’)

Se non trasformiamo le nostre spade in vomeri, diventeranno le pale che scavano le tombe della nostra specie. E il futuro dell’industria delle armi, potrebbe diventare quello che ha predetto Albert Einstein, l’inventore della bomba atomica: «Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma conosco quelle della Quarta: le pietre»

 

Articolo in inglese ‘The Implosions of International Relationships in the Mideast

 

 
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