L’ex ministro Giulio Terzi: l’India non ha «uno straccio di prova» sui marò

La vicenda dei due marò è molto complessa, e comprende aspetti legali, diplomatici e investigativi. Italia e India si stanno affrontando presso il Tribunale di Amburgo, che dovrà valutare la richiesta italiana di rimuovere le misure cautelari nei confronti dei fucilieri di marina. Questo in previsione della decisione di una corte di arbitrato sullo Stato al quale affidare la giurisdizione.

Per l’ex ministro degli Esteri e Ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, la strada dell’arbitrato internazionale «è assolutamente quella giusta». Terzi racconta che già a marzo 2013, quando era ministro del governo Monti, questa strada muoveva i primi passi perché era già chiaro che altre vie non erano percorribili. «I tempi erano già allora ampiamente maturi per attivare una procedura di arbitrato», spiega.

Poi, complici probabilmente i cambi di governo, l’Italia è tornata a cercare soluzioni diplomatiche. E nel frattempo sono passati altri due anni.

LA BATTAGLIA LEGALE

Più o meno da sempre, l’Italia sostiene la propria giurisdizione in base a tre elementi: la nave dove risiedevano i marò batteva bandiera italiana; il fatto è avvenuto in acque internazionali; i marò agivano in qualità di organi dello Stato e quindi godevano di immunità funzionale.

In questi anni Epoch Times, nel seguire il caso, ha sentito il parere di vari giuristi, tra loro discordi. In particolare Paola Gaeta, direttrice dell’Accademia di diritto internazionale umanitario e diritti umani di Ginevra, sostenne che secondo la convenzione di Montago Bay, la giurisdizione è data allo Stato di bandiera della nave solo per gli incidenti di navigazione. E quello dei due marò non rientrerebbe in un ‘incidente di navigazione’, cosa che apparentemente sostiene anche l’India.

La Gaeta tuttavia ritiene che essendo i fucilieri presenti sulla nave nell’ambito di una missione Onu antipirateria, avrebbero il diritto all’immunità e quindi sarebbe quella la difesa vincente per l’Italia.

Quanto alla territorialità, va precisato che l’incidente è avvenuto a 20,5 miglia nautiche dalla costa indiana, quindi all’interno della ‘zona contigua’, che pur non essendo esattamente in acque internazionali, è comunque soggetta al diritto internazionale per ciò che concerne questo genere di incidenti, secondo la Gaeta, intervistata precedentemente da Epoch Times.

Giulio Terzi sostiene che vari esperti di diritto internazionale, anche non italiani, ritengono che l’Italia sia in una posizione notevolmente più forte rispetto all’India. Oltre ai punti già trattati, ci sarebbero alcuni comportamenti dell’India che potrebbero metterla in cattiva luce nell’ambito di una decisione sulla giurisdizione, tra cui l’episodio in cui ha ‘trattenuto’ l’ambasciatore italiano Mancini nel Paese, quando l’Italia aveva dichiarato che i marò – tornati a casa con un permesso temporaneo – non sarebbero tornati in India.

Secondo Terzi, una simile misura restrittiva contro un ambasciatore non ha precedenti, nemmeno nella seconda guerra mondiale, e l’India sarebbe stata a un pelo dalla condanna da parte della Corte di Giustizia.

Dal punto di vista del vero e proprio capo di imputazione, secondo cui i marò sono sospettati di aver ucciso due pescatori indiani, l’India «non ha mostrato uno straccio di prova», secondo Terzi. Cosa pressocché innegabile, ma per capirlo vanno sinteticamente rivisti i fatti.

L’ARRESTO DEI DUE MARÒ

Per ‘marò’, innanzitutto, si intende comunemente un fuciliere di marina del battaglione San Marco. I fucilieri Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, erano tra i 6 marò che avevano ricevuto l’ordine di difendere la petroliera Enrica Lexie nell’ambito di una missione Onu antipirateria.

Il 15 febbraio 2012, alle 12:18 ora italiana (circa 16:30 ora indiana), l’Enrica Lexie avvisa il governo italiano di aver attuato «graduali azioni dissuasive», compresi spari in acqua, contro un naviglio sospettato di essere pirata. Guardando con il binocolo, i militari avrebbero anche identificato personale armato a bordo di questo naviglio. L’imbarcazione si sarebbe poi allontanata.

Circa 7 ore dopo, il peschereggio St.Anthony torna in porto e l’armatore sotto shock dice di aver subito un attacco da una nave rossa e bianca. Due pescatori sono morti.

Il problema – che giustifica l’espressione di Terzi secondo cui non c’è «uno straccio di prova» – è che di navi rosse e bianche, pressocché identiche alla Enrica Lexie, in quella zona, ce n’era più di una. Navi di altri Paesi, che se ne sono semplicemente andate.

Il fatto che l’Enrica Lexie fosse la più vicina e che avesse denunciato un possibile attacco pirata, la rende ovviamente il colpevole più probabile. Ma siamo molto lontani dalla certezza. Delle analisi balistiche condotte dall’India, che Terzi ha confermato di aver visto quando era ministro degli Esteri, si afferma molto brevemente che non è stato possibile stabilire se i proiettili che hanno colpito il St. Anthony provenissero dai fucili dei marò.

Questa perizia è – a quanto noto – l’unica reale analisi scientifica ufficialmente condotta dall’India. Ci sono altre perizie e ricostruzioni circolate sui media, la cui attendibilità non è certa (membri del governo italiano affermano di non averle mai viste).

In un’analisi probabilistica amatoriale condotta da Epoch Times con l’aiuto di appassionati della materia, basandosi sulle posizioni delle varie navi in quella zona di mare nelle ore in cui è avvenuto l’incidente, la probabilità che una nave greca presente nella zona – la Olympic Flair – potesse ritrovarsi nelle vicinanze del St. Anthony nel momento dell’incidente, era risultata del 30 percento. Se si considera che l’Olympic Flair potrebbe aver mentito su una delle sue posizioni – aveva il sistema di tracciamento disattivato – la probabilità aumenta.

L’analisi probabilistica era stata condotta tramite ragionamenti approssimati basati sulle deviazioni standard della media della velocità, per stabilire quanto fosse probabile che la nave, ipotizzando che alle 16:30 ora indiana si fosse imbattuta nel St. Anthony, si ritrovasse poi alle 22:20 a 12 miglia nautiche da Kochi, come da essa dichiarato: la nave greca afferma infatti di aver subito un attacco alle 22:20 da non meglio precisati ‘ladri’. L’attacco sarebbe stato sventato senza problemi.

Sebbene l’analisi non abbia pretesa di scientificità, mostra come minimo che non è possibile sostenere che l’Enrica Lexie sia per esclusione l’unico ‘indiziato’.

Esistono poi tutta una serie di altre teorie innocentiste, ampiamente trattate da giornalisti ed esperti di vario genere, che non forniscono prove definitive dell’innocenza dei marò, ma sono utili a mostrare come la loro colpevolezza – a meno dell’esistenza di prove che l’India non mostra – non possa ritenersi certa. Terzi si dice pienamente convinto dell’innocenza dei fucilieri, alla luce di questo genere di indagine e di una serie di comportamenti dell’India, la quale ha per esempio negato ai Ros italiani di assistere alle indagini balistiche, ha fatto affondare il St. Anthony, e altro ancora.

«Tutto porta con grande precisione a escludere qualsiasi tipo di reponsabilità dei nostri fucilieri di marina, quindi di questo sono profondamente convinto e ne sono convinto nella mia conoscenza dei fatti […]. Ho maturato la piena convinzione che loro sono completamente estranei all’uccisione dei due pescatori indiani […]. Si è trattato di un episodio diverso, a ore diverse, con navi diverse», spiega Giulio Terzi, citando le ricostruzioni ad esempio del giornalista Toni Capuozzo e di Luigi Di Stefano.

Convinto da tali ricostruzioni, che si basano tra l’altro su una versione confusa e variata nettamente nel tempo di Freddy Bosco, armatore del St. Anthony, Terzi ritiene che l’India stia manomettendo la verità. «Non c’è nessun motivo per il quale l’Italia possa accettare […] né oggi, né domani, né mai, un processo in India per i nostri militari. Sarebbe assolutamente fuori discussione, inaccettabile e di questo non si dovrebbe neanche parlare».

Matteo Miavaldi, giornalista ‘colpevolista’ nell’indagine sui marò, aveva sostenuto che le dichiarazioni di Freddy Bosco erano incoerenti per via del forte stato di shock in cui avrebbe dato la prima intervista appena approdato dopo l’incidente. Bosco dichiarava, alle 23:30 ora indiana, che l’incidente era avvenuto alle 21:30. Ma l’incidente dei marò con i pirati era avvenuto alle 16:30 circa ora indiana (alle 12:18 ora italiana secondo una ricostruzione espressa nel Parlamento italiano).

La prima versione di Bosco ha dato adito a una serie di teorie, che però vengono per lo più smentite in maniera decisa dal fatto che i media indiani riportavano la notizia già verso le 19:35 ora indiana – cosa verificabile tramite una copia cache di un articolo sul sito del Times of India a tale orario – di fatto rendendo l’ipotesi di Miavaldi la più credibile, almeno per quanto riguarda Bosco.

Pur cadendo questa ‘prova’, nella vicenda ci sono ancora vari punti oscuri e, comunque, non risultano prove inoppugnabili a favore dellla colpevolezza dei marò. Nè dell’innocenza. Ma colpevolezza o innocenza si stabliscono in tribunale, non sui giornali.

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