L’ego e le radici della violenza

Stefano Pischiutta è laureato in Psicologia dello Sviluppo ed Educazione. Il fondamento del suo lavoro di psico-terapeuta è costituito dalla Gestalt Psicosociale, un indirizzo appartenente all’?area umanistica della psicologia che pone particolare attenzione alla persona vista non come singolo ma come individuo che vive e opera in un determinato ambiente.

Assistiamo con sempre maggiore frequenza all’espandersi della violenza in tutte sue innumerevoli manifestazioni. L’espressione della violenza può essere individuata a due livelli fondamentali:

A livello globale, nelle guerre a sfondo economico, nei totalitarismi, nel terrorismo a sfondo religioso e politico; nella distruzione del Pianeta e della sua atmosfera (violenza a cui la Terra risponde con cataclismi, alluvioni e disastri ambientali di proporzioni sempre maggiori); nello sfruttamento dei popoli meno sviluppati, per cui circa il 20% della popolazione mondiale detiene e controlla circa l’80% della ricchezza planetaria;

A livello nazionale, nella lotta tra opposte fazioni politiche e ceti sociali  sempre più differenziati; nella violenza nei confronti delle donne (soprattutto di tipo sessuale: un recente rapporto diffuso dai mass media afferma che almeno una donna su dieci ha subito una violenza di tipo sessuale nella vita, e si stima che solo il 10% dei reati sia stato denunciato); nei confronti dei bambini, in varie e aberranti forme, a partire dal bullismo a scuola. E poi nei posti di lavoro (mobbing), tra vicini di casa e tra familiari; a livello individuale, nelle condotte auto-aggressive, come ad esempio negli abusi alimentari, nell’uso di droghe e alcool e nella guida spericolata.

Insomma, da qualunque punto di vista la si consideri, l’esperienza umana sembra essere accompagnata sempre da violenza. E ‘violenza’ significa fare del male, ossia tenere un comportamento volto al distruggere e opposto al ‘bene’, al costruire.

La psicologia, anche quella più di frontiera come quella sociale, si occupa di trovare delle risposte al comportamento umano che sono necessariamente intrapsichiche.

Dunque, la violenza è, innanzitutto, un problema intrapsichico: risulta dalla dinamica psichica secondo cui quello che si manifesta all’esterno (come la violenza) rispecchia lo stato dell’essere interiore.

LA VIOLENZA ESPRIME UN BISOGNO

Si entra dunque in un reame intrapsichico in cui è necessario rispondere alla domanda: ‘chi fa il male quando si fa il male’?

La violenza si realizza mettendo in azione aggressività in tutte le sue forme. Infatti, anche il sesso ‘buono’, le opere d’arte e d’ingegno, l’amare il prossimo presuppongono una certa dose di aggressività: nel senso di ad-gredere, andare verso l’ambiente per destrutturarlo e integrarlo.

La violenza rappresenta in definitiva il completamento di una carica energetica che cerca il suo sfogo: per tornare all’omeostasi, che è la fase di riposo dopo il soddisfacimento di un bisogno, occorre prima soddisfare il bisogno.

Quando l’aggressività è volta a distruggere e non a partecipare, allora diventa aggressione e, successivamente, violenza. La violenza è ‘giustificata’ da un bisogno, quello di difendersi da un nemico da cui ci si sente minacciati. Considerata da questo punto di vista, la violenza rappresenta una difesa; cioè, nasce come reazione a una minaccia.

Vi sono almeno tre tipologie principali di nemici verso cui si dirige la violenza: quello che è estraneo e diverso da sé; il debole o l’inerme; quello che rappresenta l’autorità. Ognuno dei tre rievoca un conflitto che si consuma all’interno del sé.

LA MINACCIA DELL’ESTRANEO

Il timore dell’estraneo è il prodotto di due meccanismi di difesa, ambedue primari: la scissione e la proiezione. La lotta intrapsichica tra il bene e il male, laddove i due poli non siano integrabili all’interno della psiche, dà luogo necessariamente a una polarizzazione che fa sì che il male (non visto e, quando visto, non accettato) si proietti al di fuori, solitamente su una persona o situazione che meglio rappresenta e impersonifica quel male (tipico è l’esempio dell’omofobia, spesso manifestazione della paura della propria omosessualità).

Le altre due tipologie di ‘nemici’ corrispondono a una strutturazione psichica in cui sono presenti difese più mature, secondarie, inerenti a conflitti interni alla struttura tripartita super-io, es, io.

LO SPETTRO DELLA DEBOLEZZA

La reazione violenta alla vista del debole e dell’inerme (che si manifesta, ad esempio, come violenza nei confronti dei bambini, delle persone disabili, o delle persone più deboli in termini economici, di istruzione o di intelligenza) origina e ha un corrispettivo in un’analoga reazione oppressiva e persecutoria di un super-io disfunzionale nei confronti di una parte debole, ‘bambina’, che abita il sé

La messa in atto della violenza ha insomma una funzione catartica per quel super-io, che in tal modo può esprimere il male fuori invece di doverlo fare apertamente aggredendo il proprio sé infantile: è certamente più comodo produrre il male all’esterno mentre, dentro casa propria, si mantiene uno status quo, una facciata di perfezione, inattaccabile al senso di colpa e alla conseguente riparazione.

LA SFIDA ALL’AUTORITÀ

Invece, la reazione violenta alla vista dell’autorità, che si vuole distruggere proprio in quanto autorità, costituisce il tentativo conflittuale del sé di ribellarsi a quell’autorità super-egoica interna che opera la repressione di cui sopra.

Questo tipo di distruttività è molto più frequente di quella operata nei confronti del debole: quest’ultima, infatti, testimonia una strutturazione di un super-io maligno senza senso di colpa e riparazione. Quando vi è assenza di super-io, come nelle personalità borderline, la violenza si esprime in maniera indiscriminata, senza confini.

CONSAPEVOLEZZA E SPIRITUALITÀ PER GUARIRE DALLA VIOLENZA DELL’EGO

Il percorso di consapevolezza che si compie facendo ad esempio una psicoterapia aiuta a vedere la violenza come generata dal proprio interno. Quindi aiuta a diminuire le proiezioni e a riappropriarsi dei propri conflitti psicodinamici tra autorità interne e ‘bambini’ che subiscono i soprusi, che a volte si ribellano e a volte soccombono.
Un ulteriore, anche contestuale, percorso meditativo aiuta a rivelare i fattori dell’egoismo che sottostanno alle dinamiche intrapsichiche e un successivo percorso di trasformazione spirituale aiuta anche a trasformare tali fattori.

Così, la violenza prima avvertita sia verso l’interno che verso l’esterno viene ridimensionata e pian piano, con un lento percorso di conoscenza e umiltà, può essere definitivamente risolta. A quel punto l’energia sarà impiegata per scopi costruttivi ed evolutivi: in ultima istanza, per il bene proprio e dell’umanità.

Il contenuto di questo articolo rappresenta le opinioni dell’autore e non riflette necessariamente un punto di vista o una posizione di Epoch Times.

 
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