Le falle della legge italiana sull’immigrazione

Sono mesi ormai che migliaia di persone arrivano in Europa fuggendo dalle guerre, dalle persecuzioni e dalle devastazioni che stanno avvolgendo il Nord Africa e il Medio-Oriente. Ma più gli stranieri vengono a contatto con la realtà italiana, più i diretti interessati ne riconoscono le mancanze.

Per chi lavora a stretto contatto con gli immigrati e ne gestisce le richieste d’aiuto, diventa palese che i decreti che normano il rapporto tra gli stranieri e lo Stato potrebbero essere più veloci e flessibili.

L’avvocato di Diritto internazionale e comunitario Lucio Barletta, responsabile della Consulta nazionale avvocati della Ital-Uil Immigrazione, ha concesso un’intervista a Epoch Times per chiarire quali sono i punti deboli della legge italiana, e quali sono i valori su cui bisognerebbe incidere per una futura riforma.

È da tempo che nel nostro Paese i vari flussi migratori vengono affrontati come se fossero fuori dal comune. Piuttosto che trovare delle precauzioni, «abbiamo usato lo strumento delle sanatorie, e quindi ci siamo sempre fatti dominare dal fenomeno. La sanatoria è una legge che regolarizza la posizione di chi è già sul territorio. Non abbiamo mai programmato l’immigrazione, ma abbiamo sempre ‘messo le toppe’. In molti altri stati l’immigrazione è più organizzata. Dal punto di vista dell’integrazione, vedere l’immigrato solamente come il ‘lavapiatti’ o la ‘badante’ è stato negativo, perché ora noi identifichiamo l’immigrato soltanto come uno che fa un lavoro di serie B».

In secondo luogo esiste un provvedimento che nasconde «un’ipocrisia tutta italiana». È il decreto flussi, che in teoria permetterebbe agli stranieri di venire a lavorare in Italia grazie alla richiesta emanata da un datore di lavoro italiano. Tuttavia per il 90 per cento delle volte succede che «il datore di lavoro fa la domanda (sebbene in realtà la faccia il lavoratore), e il datore di lavoro stesso ottiene il nullaosta (quindi di nuovo il lavoratore), il quale si trova in Italia, e questa è la cosa più grave. Poi il nullaosta viene inviato all’estero, il lavoratore si fa fare il visto, se lo va a prendere, e rientra in Italia. È assurdo».

Questa delibera sarebbe strutturata per favorire i datori di lavoro italiani nell’assumere gli stranieri all’estero, ma invece viene «sfruttata dai lavoratori che stanno in Italia». Per cui – afferma Barletta – sarebbe meglio declinarla a livello più singolare, piuttosto che a decreto, così che «un lavoratore che viene in Italia possa regolarizzarsi senza dover aspettare un decreto flussi o una sanatoria. Altrimenti s’irrigidisce la situazione e si favorisce il lavoro in nero».

Lo stesso vale per la normativa che riguarda la richiesta di diritto di soggiorno per coloro che non trovano lavoro: «Dovrebbe essere più personalizzata. Dato che ogni situazione è diversa andrebbe vista caso per caso». Tra l’altro la Corte Ue ha recentemente bocciato questo decreto italiano dato che, oltre ad avere un costo particolarmente elevato per chi non lavora (a partire dagli 80 euro), aggiungerebbe la richiesta di un contributo dagli 80 ai 200 euro nel momento di rilascio o di rinnovo.  

Altra legge da sistemare, che al momento è «piuttosto confusionaria», è quella che riguarda lo status di rifugiato, che è tanto diversa dalla normale richiesta di asilo. Il diritto d’asilo è una prerogativa che lo Stato può concedere a un individuo, mentre lo status di rifugiato è la situazione oggettiva di una persona che fugge dalla guerra o da una persecuzione. «Molte sentenze mettono in evidenza le idiosincrasie e gli squilibri della legge attuale, tant’è che poi vengono anche confuse [le due leggi, ndr]». In questo caso la legge andrebbe sistemata «a livello comunitario/europeo, in modo tale che venga adottato uno stesso sistema» in tutti gli stati membri dell’Unione Europea.

«Le identificazioni delle persone che vengono in Italia avvengono in tempi troppo lunghi, dovrebbe essere tutto molto più veloce. Anche le concessioni dei permessi andrebbero modificate, basti pensare che il permesso di turismo non può essere convertito in permesso di lavoro». Secondo Barletta esistono varie possibilità che rendano il lavoro in Italia meno illegale, manca soltanto la volontà di farlo.

Negli ultimi tempi siamo molto attenti agli immigrati che arrivano dal mare, la situazione è grave, il Mediterraneo ha visto la morte di migliaia di naufraghi, ma persino l’immigrato che è riuscito ad arrivare qui ha altrettanti problemi: «il nostro studio legale riceve tantissime richieste da persone che hanno difficoltà con il rinnovo, che hanno difficoltà perché vogliono cambiare il tipo di lavoro eccetera… c’è una burocratizzazione talmente elevata che un problema semplice diventa complicato».

Quindi cosa si può fare? Alcune leggi aspettano solo di essere modernizzate, tuttavia è la burocrazia italiana la prima cosa da rendere più flessibile. «Ad esempio le questure potrebbero essere alleggerite da molte pratiche, che potrebbero essere svolte da altre strutture altrettanto competenti, come ad esempio i Comuni». La possibilità di snellire le procedure esiste. I primi a guadagnare saremmo noi, così come gli stranieri che hanno scelto di vivere in Italia.

 
Articoli correlati