La Buona Scuola e i rischi del preside manager

Con la riforma della ‘Buona Scuola’ approvata lo scorso 9 luglio dalla Camera, l’istituzione educativa pubblica vedrà grandi cambiamenti. Dalla gestione e valutazione alla scelta del corpo docenti, la posizione del preside sembra aver assunto un ruolo ancora più rilevante.

Oggi la ‘Buona Scuola’ viene definita anche ‘controriforma’, perché la figura rafforzata del preside esisteva già prima degli anni ’70. In quegli anni, un cambiamento radicale l’aveva trasformata in scuola degli organi collegiali, gestita da una comunità fatta dal Collegio dei docenti, dal Consiglio d’Istituto e dai Collegi degli Studenti (per quanto riguarda le scuole superiori).

Ovvio, quindi, che il cambiamento non sia passato inosservato. Oltre a diverse manifestazioni in tutta Italia, vi sono infatti due proposte di referendum che stanno avendo un discreto successo: una è per abrogare la figura del preside manager, e l’altra è per eliminare in toto questa riforma. A esporre quest’ultimo punto di vista c’è Daniela Margiotta, membro attivo del Comitato Leadership alla Scuola.

Con l’inizio delle lezioni alle porte, pare quindi necessario comprendere a fondo cosa davvero cambierà nella figura del preside, apostrofato dai docenti col nome di «manager», e addirittura di «sceriffo», per via dei suoi nuovi ‘super-poteri’. Fino a qualche mese fa, infatti, il preside avrebbe dovuto affidarsi al parere del Collegio docenti e del Consiglio d’Istituto (di cui fanno parte i genitori), per far sì che il processo d’insegnamento fosse basato su una sorta di alleanza tra la scuola e la famiglia: con più punti di vista e più riflessioni, la decisione veniva presa grazie a più elementi pensanti.

Oggi tutto questo viene a cadere: i criteri potranno essere stabiliti unilateralmente dal preside. «Questo riflette un po’ anche quello che il governo pensa della politica del Paese, ovvero che bisogna essere veloci nel fare riforme. Ma perché essere frettolosi nella gestione della scuola come nella gestione del Paese? La scuola è basata su un equilibrio talmente delicato tra tutte le componenti che non può basarsi su un sistema unilaterale e frettoloso», sostiene Daniela Margiotta.

Scendendo nel dettaglio, quali saranno le operazioni che il preside potrà effettuare con le nuove modalità? Quella che salta più all’occhio è la scelta diretta degli insegnanti dall’albo territoriale: fino a oggi un docente veniva assegnato a una scuola a seguito di un trasferimento o per chiamata dalle liste di ruolo. La scelta era basata sul punteggio che il docente aveva maturato tramite l’esperienza, gli incarichi di supplenza, i titoli, e i concorsi. Chi aveva un punteggio più elevato aveva il diritto di scegliere per primo la scuola in cui andare.

Ora invece i docenti verranno messi in un albo territoriale, e a disposizione del preside ci sarà una piattaforma informatica completa dei loro curriculum, dalla quale poi il dirigente scolastico sceglierà per formare il proprio organico scolastico, in assoluta autonomia.

Secondo la Margiotta, siamo di fronte a una modalità di assegnazione delle cattedre preoccupante, perché se un preside – da solo – può decidere di scegliere un docente dall’albo, nel caso in cui – ad esempio – un’organizzazione criminale gli facesse delle pressioni, come potrebbe il capo dell’istituto essere tutelato, e con lui la scuola?

Lo stesso varrebbe per i fasci di clientelismo, dato che, sebbene il preside non possa assumere parenti o familiari, in realtà «due presidi potrebbero scambiarsi il favore a vicenda». Da qui la considerazione della professoressa: «Perché eliminare questo sistema di trasparenza massima in vigore, che non era nato dal giorno alla notte, ma negli anni, attraverso la contrattazione sindacale e l’intervento di tutte le forze sociali? Questo sistema era trasparente e giusto, garantiva la meritocrazia nella formazione del corpo docenti».

In alcuni casi potrebbe anche succedere che il preside, leggendo nell’albo (in cui ci sono tutte le informazioni salienti riguardo a un professore) che una ragazza insegnante si è appena sposata, e ritenendo che quella donna potrà andare incontro a una gravidanza, sarà orientato a non sceglierla. Lo stesso per chi abbia una certificazione d’invalidità. Prendendo in considerazione queste possibilità, può sembrare che vengano solo messi «in discussione i diritti dei lavoratori acquisiti fino a oggi. Non sono immaginabili tutti i risvolti che possono esserci».

Nonostante tutto questo, i concorsi per gli insegnanti esisteranno ancora: il reclutamento avverrà tramite concorso su base regionale o provinciale, ma sarà il preside a scegliere i docenti della propria scuola tra i vincitori che verranno messi nell’albo territoriale.

Anche la valutazione del corpo docenti cambia: viene creato un comitato di valutazione in cui sono inseriti genitori, docenti, un dirigente e un funzionario esterno; e per la scuola secondaria di secondo grado anche un alunno.

Il preside, con questo piccolo team, dovrebbe essere in grado di valutare tutti gli insegnanti della scuola, e poi decidere chi siano i meritevoli di un premio in denaro. Per anni la ricerca personologica (la branca più accreditata in materia) si è interrogata su come potesse realizzarsi la meritocrazia a livello di un corpo docenti, ma ora si dovuta fermare, secondo la professoressa. «Perché non ci troviamo in un’azienda dove tu vai a verificare se il prodotto finale risponde a determinati criteri di conformità. Qui ci troviamo di fronte a dei ragazzi, per andare a valutare se un docente è competente non ci si può basare sul loro risultato finale. I punti di partenza sono estremamente diversi: da bambino a bambino. Nella stessa classe, anche se il docente è lo stesso e anche se personalizza la didattica, non si può avere un criterio univoco per valutare un insegnante».

La riflessione a questo punto nasce spontanea. Quanto era da condannare la scuola italiana com’era fino a quest’anno? Non si può negare che tante menti ‘prodotte’ dalla scuola italiana si siano rese protagoniste di primo piano nei più diversi ambiti professionali.

Ora, quello che preoccupa Daniela Margiotta, così come tanti altri docenti, è il fatto che la scuola sembra presentare risvolti aziendalistici: «Parliamoci chiaro, se un preside vuole rimanere nella sede a cui è stato assegnato, deve riconfermare un contratto triennale, e quindi sarà logicamente condizionato dalle scelte del dirigente». Ma la professoressa non riesce a entrare in quest’ottica, perché c’è bisogno di «tutta l’onestà intellettuale e tutta l’intenzione morale per formare un ragazzo».

L’articolo 33 della Costituzione afferma: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento». Il contratto di formazione è molto ampio e predispone che il docente che insegna debba essere libero di scegliere la metodologia più adeguata rispetto a chi ha di fronte. Si tratta di questioni talmente delicate che andrebbero affrontate innanzitutto dal punto di vista pedagogico, didattico e psicologico. Mentre, per la professoressa Margiotta e molti altri docenti, il punto di vista del ragazzo e della didattica non sono affatto tutelati dal testo della nuova legge di riforma della scuola italiana.

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