Le banche internazionali scappano dalla Cina

Più debito c’è meglio è, come si suol dire, almeno finché non finisce la festa e iniziano i postumi. In Cina questo è vero sia per la situazione del debito all’interno, che per i crediti internazionali.

Secondo la Banca dei regolamenti internazionali, il credito delle banche estere nei confronti della Cina è sceso di 63 miliardi di dollari, per un totale di 698 miliardi nel primo trimestre 2016. Meno 27 percento dall’inizio dell’anno.

In una sua recente relazione, la Banca dei regolamenti internazionali scrive: «Da quando ha raggiunto il suo massimo storico alla fine di settembre 2014, il credito da parte delle banche di credito estere ha subito una contrazione totale di 367 miliardi di dollari (meno 33 per cento), con le attività interbancarie e intraufficio a guidare la diminuzione».

Il totale del saldo dei crediti delle banche estere era di 27,5 trilioni di dollari a fine di marzo 2016. Questo è importante perché è denaro che non torna più indietro: una volta che il debito è saldato, scompare e non può essere utilizzato come carburante per altre transazioni finanziarie o economiche.
Questo è uno dei motivi per cui molte economie nel mondo sono sull’orlo della recessione, con i soli prestiti bancari ai governi occidentali a controbilanciare l’emergente declino del mercato del credito.

La riduzione degli investimenti bancari, è parte delle centinaia di miliardi di dollari di capitale che stanno defluendo dalla Cina: 676 miliardi di dollari solo nel 2015. Le banche internazionali o stanno riducendo le linee di credito alle banche cinesi o stanno portando i propri interessi maturati al di fuori del Paese.

Secondo l’agenzia di rating Fitch, le banche di Hong Kong hanno diminuito la loro esposizione nei confronti della Cina di 4,5 punti percentuali, partendo dai 32,8 percento di attività alla fine del 2014, al 27,3 percento alla fine del 2015. Il primo calo da dieci anni a questa parte. Le banche internazionali sono infatti diffidenti nei confronti della lenta economia cinese e dell’aumento dei corporate default.

Standard and Poor’s (S&P), in un recente rapporto afferma che la qualità del credito della Cina «si sta deteriorando molto più velocemente rispetto a ogni altro caso precedente dal 2009». Nella prima metà del 2016, per ogni società cinese a cui S&P ha alzato il rating ve ne sono state tre a cui lo ha diminuito.

Le società cinesi «saranno soggette a sempre maggiore tensione, poiché la crescita economica è debole, la sovraccapacità industriale danneggia la profittabilità e il flusso di cassa, e un’elevata foga espansiva indebolisce la leva finanziaria».

Le banche internazionali non vogliono aspettare che la tensione aumenti. E nemmeno vogliono aspettare una brusca svalutazione della valuta cinese.
Willem Buiter, economista capo di Citigroup, ha dichiarato a riguardo: «Una forte svalutazione dello yuan, potrebbe essere conseguenza dell’impiego di riserve per tutelare in modo mirato importanti soggetti che hanno debito in valuta estera. Questa sarebbe la conseguenza di una mancata azione: una recessione e, nel peggiore dei casi, una crisi finanziaria. Ma è qualcosa da cui si può uscire, non è la fine del mondo; solo è molto costosa e politicamente destabilizzante».

Ma Hugh Hendry capo degli hedge fund Ecletica è ben più pessimista a riguardo. In un’intervista concessa all’inizio dell’anno a RealVisionTv ha infatti dichiarato: «Domani potremmo svegliarci con la Cina svalutata del 20 per cento. La fine del mondo: l’euro cadrebbe a pezzi e svanirebbe, tutto si schianterebbe contro un muro. E così finirebbe anche l’economia degli Stati Uniti. Andrebbero tutti a sbattere contro un muro».

Per approfondire:

Articolo in inglese: Global Banks Are Staging a Bank Run in China

 

 
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