Lavoro, l’equilibrio dei diritti e dei doveri

Di questi tempi, l’italiano che legge o ascolta i notiziari, si imbatte spesso in due tipologie di notizie: una ruota attorno alla crisi economica e alla disoccupazione; l’altra, rimarca periodicamente il tema dei diritti dei lavoratori, con proclamazioni di scioperi o casi di ‘facili’ licenziamenti e altre delicate situazioni analoghe. Ma si parla poco o quasi per nulla dei doveri dei lavoratori.

Da una determinata prospettiva, si potrebbe dire, in effetti, che se vengono meno i diritti e le tutele dei lavoratori, si ottiene come effetto collaterale l’aumento dei licenziamenti (tra cui anche auto-licenziamenti perché il dipendente si ritiene sfruttato) quindi della disoccupazione, fenomeno che va a incidere negativamente sul Pil del Paese.

Oggetto di particolare attenzione e discussione a questo riguardo, è stata l’introduzione dei nuovi decreti sul lavoro, entrati in vigore con il governo Renzi, e identificati sotto il nome di ‘Jobs act’. In particolare, il decreto 23 del marzo 2015, che ha modificato le regole per i licenziamenti, avrebbe fornito ai datori di lavoro un maggiore potere decisionale, e sarebbe quindi più facile adesso per un datore di lavoro licenziare un dipendente che non soddisfi determinati standard dell’azienda.
Si guardi, ad esempio, ai casi che hanno suscitato scalpore mediatico come i ‘facili licenziamenti’ da parte dell’Ikea ai danni di alcuni suoi dipendenti, che avrebbero tenuto una condotta non in linea con l’idea di ‘dedizione al lavoro’ dell’azienda svedese. O si pensi alla presa in considerazione della possibilità da parte di Amazon di adottare il braccialetto elettronico per controllare meglio il lavoro dei suoi dipendenti. O ancora, agli scioperi dei dipendenti Ryanair, per ottenere un confronto tra azienda e sindacati in Italia (che alla fine in qualche misura è stato ottenuto). Tutte situazioni scomode per i lavoratori, che molti imputano all’entrata in vigore del Jobs Act.

Tutto questo porta a pensare, che sia difficile far coincidere determinate tutele o diritti esistenti a livello legislativo, con le richieste al lavoratore da parte delle aziende, che tra l’altro mutano l’intensità delle loro esigenze a seconda dei casi. E questo è vero soprattutto con l’entrata in Italia delle grandi multinazionali.
Lasciando questa ‘casistica’ a parte, non si può non notare tuttavia che nell’art. 4 della Costituzione italiana, si parla espressamente anche di doveri: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
E questa è l’altra faccia della medaglia, che forse incide ancor di più sulla ricchezza del nostro Paese.

I lavoratori, quindi, prima di tutto hanno il dovere di essere onesti sul posto di lavoro, e poi di essere diligenti: devono svolgere bene i compiti assegnati dal datore di lavoro.
E, diverse leggi rivolte alla tutela dei lavoratori, si affidano proprio alla promessa implicita di onestà da parte dei lavoratori. Si pensi alla legge 104, e di come sia stata maliziosamente sfruttata dai cosiddetti ‘falsi invalidi’; o ancora ai ‘furbetti del cartellino’ che approfittavano della mancanza di controlli in entrata e in uscita dal lavoro ma anche sul posto di lavoro stesso; o alle tante persone che si mettono in ‘malattia’ per lunghi periodi pur essendo completamente sane, mentre continuano a percepire comunque lo stipendio senza offrire in cambio alcuna prestazione lavorativa.

La cosa, se vogliamo più ‘curiosa’ e al tempo stesso più preoccupante, è che molti approfittano col pensiero di essere nel giusto, o di rifarsi in questo modo dei ‘torti subiti’ dallo Stato. È il risultato di una diffusa mentalità secondo cui, al ‘lavoratore’, tutto sarebbe sempre dovuto.

In un certo senso si potrebbe ipotizzare che il dilagare di una certa disonestà da parte di certi lavoratori, il recriminare sempre e solo diritti e agevolazioni, senza pensare ai propri doveri, abbia contribuito al crollo della produttività e al deterioramento delle condizioni economiche del Paese. Questo avrebbe portato alla necessità, da parte del Governo, di attuare nuovi provvedimenti legislativi sul lavoro, agendo sulla diminuzione delle tutele. Misura che, ovviamente, ha coinvolto anche chi il proprio lavoro lo ha sempre fatto con onestà.

Quindi, visto da un altro punto di vista, è anche vero che uno sfoltimento dei diritti e delle tutele, potrebbe avere in realtà come conseguenza indiretta quella di incrementare il senso del dovere, e a sua volta favorire l’occupazione.

Tuttavia, molti potrebbero argomentare che, nonostante l’adozione di queste misure, sia cambiato comunque poco finora dal punto di vista economico e della disoccupazione in Italia e, quindi, potrebbero continuare a sostenere che l’articolo 18 sullo Statuto dei lavoratori avrebbe potuto rimanere benissimo così come era. E che non serva a nulla privare i lavoratori dei loro diritti e delle loro tutele per cambiare la situazione economica del Paese.

La strada della giusta misura, comunque, che non esponga i dipendenti ai ‘lavori forzati’ con la minaccia costante del licenziamento da una parte, e che non permetta l’esistenza di vuoti di efficienza dall’altra, potrebbe essere la migliore soluzione. Sempre ricordando che il lavoro è sì un diritto, ma è anche un dovere.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non necessariamente riflettono il punto di vista di Epoch Times

 
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