L’approccio sbagliato dell’Europa alle tasse

di Enrico Colombatto

Gli Stati Uniti e l’Unione europea adottano due approcci completamente diversi nei confronti della tassazione: per rendere più competitive le imprese americane, Trump ha tagliato significativamente le tasse sugli utili societari, mantenendo la sua promessa elettorale.
Invece, per impedire al resto del mondo di battere i produttori europei nella competizione, l’Ue ha annunciato nuovi sforzi nella lotta all’evasione fiscale (cioè alle violazioni delle leggi tributarie), all’elusione fiscale (ovvero allo sfruttamento di cavilli nella legislazione tributaria) e alla concorrenza sleale in ambito fiscale.

A questo scopo, la Commissione europea ha preparato una lista nera di 17 Paesi, rei di rappresentare una grave minaccia all’ordine fiscale e commerciale mondiale. La lista include Corea del Sud, Mongolia, Tunisia, Emirati Arabi Uniti e Stati più piccoli come Santa Lucia e le Samoa. Non include alcun membro dell’Ue.

CRESCITA O WELFARE?

I principi alla base dei diversi approcci tra America e Ue rispetto alla tassazione, sono chiari. Secondo l’attuale amministrazione americana, il miglior modo di risolvere i problemi economici è infatti la crescita: alti tassi di crescita rendono sostenibile la spesa pubblica, mantengono bassa la disoccupazione, eliminano il bisogno di acrobazie monetarie per stimolare la domanda e infine riducono le tensioni sociali. Riducendo le tasse, Trump ha mostrato come incoraggiare l’imprenditoria e creare ricchezza.

L’approccio dell’Unione Europa è molto diverso: dalla prospettiva europea, il principale obiettivo è infatti evitare i tagli alla spesa pubblica, in quanto la spesa è necessaria a mantenere un vasto ‘welfare state’ e ad applicare il principio della redistribuzione. Di conseguenza, i proventi derivanti dalle tasse devono rimanere alti e quando possibile vanno incrementati ulteriormente.

 
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