L’America di Trump spiegata da dentro

Intervista all’analista esperto di intelligence statunitense Sebastian Gorka sulla strategia per la sicurezza nazionale americana.
Nel 2017 Sebastian Gorka ha lavorato come consulente strategico per il presidente degli Stati Uniti. Attualmente è un collaboratore di Fox News.

Sebastian Gorka a Washington il 19 gennaio 2018 (foto: William Wu/NTD).

Perché la strategia del presidente Trump è tornata a porre l’accento sulla competizione con le superpotenze mondiali, in particolare Russia e Cina, piuttosto che sulla guerra al terrorismo?
La verità è che negli ultimi 20 anni gli Stati Uniti non hanno agito ‘strategicamente’. L’ultima volta che lo avevano fatto è stato  negli anni ’80, quando hanno vinto la Guerra Fredda. Perciò questa National Security Strategy è la prima [da quando questo documento è diventato di pubblico dominio, ndr] a essere veramente degna del nome di ‘Strategia per la Sicurezza nazionale’.
Per esempio, questo documento riconosce apertamente che l’obiettivo della Cina è diventare una potenza egemonica e che ha un piano, la strategia della Nuova Via della Seta, per diventare potenza dominante, non solo in Asia ma anche nel resto del mondo. E riconosce inoltre che il realizzarsi di tale piano danneggerebbe l’America, i suoi alleati e i suoi amici.

La Strategia per la Sicurezza nazionale si basa su una visione a lungo termine?
Una ‘strategia’ è, per definizione, una questione di lungo termine. Finché la Cina sarà una dittatura comunista con ambizioni egemoniche, il desiderio di aumentare la propria influenza non potrà giovare a nessuno all’infuori del partito comunista di Pechino.

Perché per tanti anni non ci si è focalizzati sulla competizione con la Cina e la Russia?
È una buona domanda. Penso che la tendenza sia iniziata negli anni ’90, insieme alle aspettative irrealistiche dei vantaggi che avrebbe portato la pace: «La Guerra Fredda è finita, Mosca non è più una minaccia, non c’è pericolo che scoppi una guerra nucleare, perciò non c’è bisogno di focalizzarsi o di spendere così tanto per la difesa nazionale o per la sicurezza nazionale».

Questo è stato l’errore. Analizziamo quello che è accaduto negli anni ’90: che si trattasse delle centinaia di migliaia di morti nei Balcani, del genocidio in Rwanda, o di altre crisi, così come della proliferazione delle armi di distruzione di massa, o della nascita delle organizzazioni jihadiste come Al Qaeda. Fondamentalmente non siamo stati abbastanza attenti. Non comprendevamo lucidamente quale fosse il ruolo della sicurezza nazionale dopo la fine della Guerra Fredda.

Poi c’è stato l’11 settembre e siamo stati costretti a concentrarci sul Medio Oriente. E così abbiamo trascurato il Pacifico, l’Asia e persino l’Europa. Inoltre, l’amministrazione neo-conservatrice di George W.Bush era convinta che fosse possibile portare la democrazia in Medio Oriente con l’uso della forza e anche in Asia meridionale, se pensiamo all’Afghanistan. Tuttavia, negli ultimi 17 anni abbiamo potuto constatare quanto questa idea fosse poco realistica.

Ma ora abbiamo un presidente, un comandante in capo, che è un pragmatico. Ama l’America, il che è essenziale per la realizzazione del programma ‘America First’. Ma guarda il mondo per quello che è, non per come vorrebbe che fosse, come l’amministrazione Obama era abituata a fare.

Attualmente esiste ancora una competizione ideologica?
È un’ottima domanda. Francis Fukuyama nel 1990 ha scritto un libro diventato famoso, ‘La fine della Storia e l’ultimo uomo‘, nel quale dichiarava che i conflitti e la competizione ideologici erano finiti. Perché avevamo sconfitto i nazisti nella Seconda guerra mondiale, e i comunisti nel 1989. Si sbagliava di grosso: le ideologie non sono scomparse.

C’è qualcosa che accomuna paesi come Iran, Cina, Corea del Nord e gruppi come l’Isis, Al Qaeda e così via. Non condividono la stessa ideologia, perché alcuni sono comunisti, altri nazionalisti e altri ancora jihadisti, ma sono tutti anti-occidentali, anti-americani e anti-democratici. Perciò, da questa prospettiva, l’ideologia continua a essere una componente piuttosto forte e, per quanto riguarda la Cina, è assolutamente ideologica. In effetti queste sono questioni molto importanti.

C’è qualcos’altro di particolarmente rilevante nel documento?
Sì, ma penso che se le persone vogliono capire, se vogliono veramente capire in che direzione sta andando l’America, debbano prendere questo documento [il ‘National Security Strategy’, ndr] e leggerlo dall’inizio alla fine.

Ma è ugualmente importante, se non più importante, per chi vuole sapere dove andrà l’America nei prossimi sette anni, e – se il vice presidente Pence diventasse presidente – nei prossimi 17 anni, leggere i discorsi di Donald Trump. In particolare quello di Varsavia sui valori occidentali giudaico-cristiani, quello tenuto a Riyadh sulla minaccia globale del jhadismo, quello tenuto davanti alle Camere riunite del Congresso e, a breve, probabilmente, l’importante discorso sullo stato dell’Unione. Questi discorsi forniscono la migliore indicazione di quello che ‘America first’ significhi, e di quale direzione stia prendendo l’America. I vostri lettori dovrebbero studiarli.

Ma, per riassumere, ‘America first’ non significa che l’America sarà sola: significa un ritorno al ruolo di leadership. È importante capire che, secondo il presidente, un mondo senza la leadership dell’America sarebbe un mondo più pericoloso

Ma [Trump, ndr] non è un interventista. Non è nemmeno un isolazionista come Rand Paul e gli ultraliberali del Congresso, perché sa che il mondo è interconnesso, da Pearl Harbor all’11 settembre: non puoi isolare un Paese dal resto del pianeta. E non è un interventista come George W. Bush, ritiene che invadere un Paese e occuparlo sia contrario ai principi americani. Il presidente è nel mezzo, rispetto ai due estremi e i suoi discorsi esprimono chiaramente quello in cui crede.

Il ministro della Difesa James Mattis, presentando la National Defense Strategy il 19 gennaio, ha parlato di tre obiettivi: mettere a punto un sicuro ed efficace deterrente nucleare, rendere efficienti le forze armate convenzionali e quelle di controguerriglia.
Perché gli Stati Uniti dovrebbero adottare queste strategie?
Perché siamo tornati nell’era del pragmatismo. Il presidente e il ministro Mattis sanno che la diplomazia, se non c’è la possibilità di ricorrere all’uso della forza, è solo una parola vuota. La diplomazia di per sé conta poco, di fronte a minacce come quelle della Corea del Nord: una nazione che da 20 anni viola ogni regolamento internazionale sulle armi nucleari e sui test dei missili balistici.
In fin dei conti, è necessario dare un messaggio molto chiaro ai dittatori che minacciano le democrazie: se minacci l’Occidente, alla fine useremo la forza per proteggere i nostri interessi e la nostra gente, se saremo costretti a farlo. Questo è il motivo per cui [la Strategia per la sicurezza nazionale, ndr] dà cosi tanta importanza al deterrente nucleare.

Tuttavia, le forze armate convenzionali sono ancora molto, molto importanti, perché ci permettono di affrontare le minacce sub-strategiche.
La guerra nucleare è il più grande dei pericoli, ma quando si tratta di insurrezioni o gruppi terroristici in Africa, Medio Oriente, Filippine o in altri luoghi, bisogna affidarsi alle truppe regolari. In particolare perché l’America è una delle poche nazioni rimaste al mondo, se non l’unica, realmente capace di inviare spedizioni in terre straniere: possiamo organizzare missioni in ogni parte del mondo, non ci limitiamo al nostro territorio nazionale o alle nazioni più vicine.

Per quanto riguarda le unità di controguerriglia, fin quando esisteranno gruppi come l’Isis, lo Stato Islamico, Boko Haram, Ansar Beit al Magdis nel Sinai, sarò necessario disporre di questa possibilità. Non necessariamente per combattere in prima linea, ma per aiutare i nostri amici ad affrontare le sommosse nei loro territori. Questo è un approccio molto pragmatico.

Quali saranno le difficoltà nell’attuazione della Strategia per la sicurezza nazionale?
La prima deriva dagli ultimi otto anni: l’amministrazione Obama ha danneggiato sistematicamente le nostre forze armate. E non sono informazioni top-secret: si possono leggere sui giornali. Il corpo dei Marines ha dovuto cannibalizzare aerei funzionanti, per prendere i pezzi di ricambio per altri aerei: questa è follia.

Dobbiamo ricostruire la nostra potenza militare. Dobbiamo ridare morale al nostro esercito. Per otto anni è stato evidente che il Comandante in Capo non avesse fiducia nel suo esercito. Quando chiedi al Consiglio per la Sicurezza Nazionale di prendere decisioni tattiche, come quali bersagli attaccare in Medio Oriente, mandi un messaggio molto negativo all’esercito: «l’élite di Washington non si fida di voi». Il nuovo presidente ha già ribaltato la situazione, ma bisogna continuare a far crescere il morale.

L’ultima questione riguarda il Congresso. Abbiamo bisogno di concentrarci su queste tematiche, ma tutto quello di cui abbiamo parlato fin’ora è legato alla questione delle continuing resolution (i finanziamenti stabiliti dal Congresso). Se non riusciamo nemmeno a finanziare il governo, affinché l’esercito possa fare il proprio lavoro, diamo un segnale di grande debolezza ai nostri nemici, e ai nostri potenziali nemici. C’è molto lavoro da fare, ma questo Presidente ci riuscirà.

Una nuclear posture review (documento che determina il ruolo delle armi nucleari all’interno della strategia di sicurezza) sarà pubblicata a breve. Quale indirizzo bisogna aspettarsi da questo documento?
Penso che l’indirizzo sarà in linea con le dichiarazioni del ministro Mattis e del presidente, sul terribile stato di manutenzione in cui versano le nostre armi nucleari da otto anni. Si possono leggere molte storie, che parlano di come l’Air Force abbia avuto serie difficoltà a mantenere gli armamenti nucleari in uno stato di massima efficienza. Perciò dovremo concentrarci sul riprenderci quello che era nostro, in termini di sviluppo tecnologico e di capacità di reagire con la massima prontezza. Queste sono alcune delle dichiarazioni fatte dal presidente. Per ora non si può dire altro pubblicamente.

C’è qualcos’altro che vorrebbe aggiungere?
La cosa più importante è essere coscienti del fatto che c’è una valanga di fake news, molte rappresentazioni fuorvianti del presidente, propaganda che viene dall’estero e anche da parte delle agenzie di stampa americane. Ecco perché dico sempre guardate voi stessi, non usate fonti di seconda o terza mano. Andate a vedere le fonti primarie, leggete i documenti della National Security Strategy, le dichiarazioni del presidente e i suoi discorsi. Da questi si può capire veramente che cosa sta succedendo e che direzione sta prendendo l’America.

 

Intervista realizzata da Kitty Wang per New Tang Dynasty Television, emittente televisiva statunitense parte di Epoch Media Group.

 

Articolo in inglese: Gorka Discusses US National Security

Traduzione di Marco D’Ippolito

 
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