L’acidificazione degli oceani e il carbone sono i pezzi mancanti del puzzle climatico

L’acidificazione degli oceani viene spesso vista come una conseguenza del cambiamento climatico. Tuttavia, l’aumento di acidità degli oceani dovuto a un maggior assorbimento di anidride carbonica (CO?), è in realtà separato dal problema del clima, nonostante rimangano due problemi strettamente correlati.

L’acidificazione degli oceani viene spesso definita come «l’altro problema di CO?» dato che, al pari del cambiamento climatico, è il risultato dell’aumento delle emissioni di questo gas. Nonostante ci sia questo fattore comune, i processi e gli impatti dell’acidificazione degli oceani e dei cambiamenti climatici sono distinti. Non si dovrebbe presumere che le politiche destinate a occuparsi del clima porteranno al tempo stesso al beneficio degli oceani.

L’attuale enfasi delle politiche climatiche internazionali sul riscaldamento globale ne è un esempio calzante.

Un focus ristretto sulla stabilizzazione della temperatura, ad esempio, apre la porta a interventi politici che diano la priorità alla riduzione di gas serra diversi dal biossido di carbonio. Questo perché i gas non-CO? a effetto serra, come il metano e il protossido di azoto, che possono derivare da processi agricoli e industriali, in genere hanno un più alto potenziale di riscaldamento globale e potrebbero anche essere meno costosi da ridurre rispetto alla CO?.

Inoltre, sono stati proposti diversi schemi di geoingegneria che riducano l’impatto di un clima sempre più caldo. Eppure tali sistemi spesso non fanno nulla per ridurre le emissioni, anzi, possono persino aggravare l’assorbimento di carbonio negli oceani.

RIDURRE LA CO?: L’UNICA SOLUZIONE A LUNGO TERMINE

Il passo più importante per affrontare il cambiamento climatico e l’acidificazione degli oceani e, in ultima analisi, l’unico modo per evitare le gravi conseguenze causate da entrambi, è la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.

Gli obiettivi politici a lungo termine che sono destinati a guidare la riduzione delle emissioni a un livello tale da evitare conseguenze inaccettabili dovrebbero prendere in considerazione sia l’acidificazione degli oceani sia i cambiamenti climatici. È interessante notare che facendo in questo modo noi potremo veder convergere una soluzione per entrambi i problemi.

I paesi si sono largamente messi d’accordo sul fatto che ci sia la volontà di limitare l’aumento della temperatura globale a non più di 2? sopra le temperature pre-industriali. Questo desiderio impone una drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Infatti, il Quinto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) ha rilevato che con una possibilità del 66 per cento di rimanere al di sotto dei 2? noi potremmo emettere meno di 1.010 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, pari a circa un terzo del nostro bilancio del carbonio. Questo obiettivo è in linea con lo scenario più ambizioso di concentrazione del carbonio nell’atmosfera (chiamato RCP2.6) utilizzato dall’IPCC per modellare gli impatti climatici.

Un recente studio pubblicato sulla rivista Science e condotto da J.P. Gattuso e colleghi ha modellato lo stesso scenario dell’IPCC e ha scoperto che superare quel limite avrebbe conseguenze di vasta portata sulla vita marina, sugli ecosistemi marini, e sui beni e i servizi che forniscono all’umanità. Tuttavia, come si intende fare per il cambiamento climatico, molti dei peggiori impatti dovuti alla crescente acidità potrebbero essere evitati seguendo o rimanendo al di sotto questa traiettoria.

Per quanto riguarda l’acidificazione degli oceani, la caratteristica più importante di questo scenario è una riduzione delle emissioni del biossido di carbonio che arrivi a zero entro e non oltre il 2070.

Ma, come la squadra di Gattuso ha fatto notare, anche il raggiungere le emissioni zero entro questo lasso di tempo non impedirebbe la sostanziale acidificazione degli oceani. Le barriere coralline e le popolazioni di molluschi rimarranno particolarmente vulnerabili.

Questo vale anche per gli impatti dei cambiamenti climatici. Ed è anche la ragione per cui molti paesi in via di sviluppo e stati insulari desiderano vedere l’obiettivo a lungo termine relativo all’aumento della temperatura globale ridotto di 1,5 ?.

In effetti, questo significa che la riduzione delle emissioni di anidride carbonica a zero deve avvenire prima del 2070. L’acidificazione degli oceani, di conseguenza, fornisce l’impulso perché vi sia una maggiore urgenza di dover ridurre in poco tempo le emissioni di CO?.

EMISSIONI ZERO SUL TAVOLO DI PARIGI?

Con la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Parigi ci stiamo rapidamente avvicinando alla prossima tornata di negoziati sul clima. Se vogliamo vedere l’emergere di un qualche accordo climatico globale significativo, sul tavolo delle trattative l’acidificazione degli oceani dovrà sedere saldamente a fianco ai cambiamenti climatici.

Data la doppia minaccia che l’acidificazione degli oceani rappresenta insieme al cambiamento climatico, soprattutto per quanto riguarda una buona parte dei prodotti e dei servizi più importanti per il benessere umano, tra cui la sicurezza alimentare, lo sviluppo economico, e la vitalità degli ecosistemi, è fondamentale che i leader mondiali impostino le riduzioni delle emissioni tra le loro prospettive.

La speranza è quindi quella per cui la negoziazioni di Parigi possa essere il linguaggio che veda le parti acconsentire al netto di zero emissioni. Questo sarebbe davvero uno sviluppo molto gradito e, in fin dei conti, necessario.

Ellycia Harrould-Kolieb è Dottoranda alla Scuola australiano-tedesca di Geografia, Clima ed Energia dell’Università di Melbourne. Questo articolo è stato originariamente pubblicato su TheConversation.

Articolo in inglese: ‘Ocean Acidification: The Forgotten Piece of the Carbon Puzzle

 
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